2 Metafisica della realtà storica

TOMMASO DEMARIA

REALISMO DINAMICO

 Volume II METAFISICA DELLA REALTÀ STORICA

LA REALTÀ STORICA COME ENTE DINAMICO

«COSTRUIRE»

 

LA REALTÀ STORICA COME ENTE DINAMICO…………………………………………………………………… 1

Premessa……………………………………………………………………………………………………………………….. 2

Introduzione………………………………………………………………………………………………………………….. 3

CAPO I DALLA CATEGORIA ONTOLOGICADELL’ENTE DINAMICO ALL’ESSENZA DELLA REALTÀ STORICA…………………………………………………………………………………………………………………………. 4

I – Un passaggio in continuità…………………………………………………………………………………………. 4

2 – Un punto d’arrivo inequivoco…………………………………………………………………………………….. 6

3 – L’oggetto formale della metafisica della realtà storica…………………………………………………. 7

4 – Evento e teologia della storia…………………………………………………………………………………….. 8

5 – Fenomenologia e filosofia della storia…………………………………………………………………………. 9

6 – Realtà storica e scienze dell’azione……………………………………………………………………………. 11

7 – Molteplicità e unità del sapere storico……………………………………………………………………….. 12

8 – Il primato dell’essenza e della sua metafisica……………………………………………………………… 13

9 – Chiave essenziale ed essenza-chiave della realtà storica……………………………………………… 15

CAPO II  ESSENZA E ANALISI DELLA REALTÀ STORICA……………………………………………….. 17

1- Definizione essenziale radicale…………………………………………………………………………………… 17

2 – Appropriazione dell’essenza dell’ente dinamico………………………………………………………….. 18

3 – Le vie dell’approfondimento e dell’esplicitazione………………………………………………………… 19

4 – Il problema dell’analisi…………………………………………………………………………………………….. 20

5 – Analisi della realtà storica……………………………………………………………………………………….. 21

6 – Realtà storica universale e particolare; totale e parziale…………………………………………….. 23

7 – Onticità e prassi……………………………………………………………………………………………………… 25

8 – Analisi causale della realtà storica……………………………………………………………………………. 27

9 – Le quattro cause come principi essenziali costitutivi intrinseci…………………………………….. 28

10 – Dinamicità e secondo grado……………………………………………………………………………………. 29

CAPO III  FORMA METAFISICA E FORMALITÀ TRASCENDENTALI………………………………… 31

I – Sintesi metafisica ontica e causale della realtà storica.………………………………………………… 31

2 – Forma e materia……………………………………………………………………………………………………… 33

3 – Il Divino come forma e l’umano come materia…………………………………………………………… 35

4 – Religione e realtà religiosa………………………………………………………………………………………. 36

5 – Realtà religiosa come realtà storica e come religione.………………………………………………… 38

6 – Essenza ontica della religione…………………………………………………………………………………… 40

7 – Conseguenze e sviluppi…………………………………………………………………………………………….. 41

8 – La forma dinamica religiosa…………………………………………………………………………………….. 42

9 – Bivalenza della forma religiosa………………………………………………………………………………… 43

10 – Primato della forma………………………………………………………………………………………………. 45

11 – Forma metafisica essenziale e formalità ontiche trascendentali………………………………….. 47

l2 – Realtà religiosa come realtà storica…………………………………………………………………………. 48

CAPO IV I CINQUE TRASCENDENTALI DINAMICI…………………………………………………………. 51

1- Trascendentali dinamici (TD) e loro articolazione……………………………………………………….. 51

2 – Aspetti fondamentali e formalità trascendentali…………………………………………………………. 53

3 – La forma e il dominio della realtà storica………………………………………………………………….. 55

4 – Trascendentali dinamici e dominio dell’uomo……………………………………………………………… 56

5 – TD sintetico e TD analitici……………………………………………………………………………………….. 58

6 – Tutti e solo i cinque TD recensiti………………………………………………………………………………. 59

7 – I cinque caratteri distintivi……………………………………………………………………………………….. 61

8 – Essi soli………………………………………………………………………………………………………………….. 62

9 – Il TD sintetico della religiosità………………………………………………………………………………….. 65

10 – I TD analitici della educatività e moralità………………………………………………………………… 67

11 – I TD analitici della socialità e missionarietà……………………………………………………………… 69

CAPO V  TD E PSEUDO-TD…………………………………………………………………………………………….. 70

1- TD e metafisica della realtà storica……………………………………………………………………………. 70

2 – Natura intima dei TD………………………………………………………………………………………………. 71

3 – Leggi dei TD…………………………………………………………………………………………………………… 73

4 – Fenomenologia correlativa al TD……………………………………………………………………………… 75

5 – Vanificazione metafisico-naturalistica dei TD…………………………………………………………….. 76

6 – Via libera agli pseudo-TD………………………………………………………………………………………… 79

7 – L’epoca d’oro degli pseudo-TD…………………………………………………………………………………. 81

8 – Ineluttabilità degli pseudo-TD…………………………………………………………………………………… 83

9 – Identità dialettica del congegno metafisico…………………………………………………………………. 85

CAPO VI  LA SCELTA TEOLOGICA COME SCELTA METAFISICA……………………………………. 88

1- Categorie filosofiche e contenuto teologico…………………………………………………………………. 88

2 – Contenuto teologico ontico e salvifico……………………………………………………………………….. 90

3 – La scelta teologica come atto di fede…………………………………………………………………………. 91

4 – Tramonto del sacro e rinascita del religioso………………………………………………………………. 94

5 – Valore metafisico della scelta teologica……………………………………………………………………… 96

6 – La scelta teologica come accettazione di fede…………………………………………………………….. 98

7 – Indole radicalmente teologica della metafisica.…………………………………………………………. 100

8 – Metafisica teologica o ateologica; cristiana o anticristiana………………………………………… 101

9 – La scelta metafisica come scelta cristiana………………………………………………………………… 104

10 – Essenza metafisica cristiana della realtà storica……………………………………………………… 106

CAPO VII  DALL’EDUC AL SUPERORGANISMO DINAMICO………………………………………….. 109

1 – Rimessa a punto della questione………………………………………………………………………………. 109

2 – Esplicitazione ontologica e storico-metafisica…………………………………………………………… 110

3 – EDUC come terminus a quo e SD come terminus ad quem…………………………………………. 111

4 – La forma come forma viva…………………………………………………………………………………….. 114

5 – Genesi della forma dinamica viva……………………………………………………………………………. 116

6 – Identificazione della forma dinamica viva………………………………………………………………… 118

7 – Qualifica metafisica della forma dinamica viva………………………………………………………… 122

8 – Forma viva e organismo………………………………………………………………………………………… 124

9 – La catena «pseudo»……………………………………………………………………………………………….. 126

10 – Verso un’essenza superorganico-dinamica cristiana………………………………………………… 129

Conclusione…………………………………………………………………………………………………………………… 130

Premessa

 

Una realistica e oggettiva metafisica della realtà storica è solo possibile in virtù della categoria ontologica che vi cor­risponde e metafisicamente l’interpreta. Tale categoria ontologica è quella dell’ente dinamico.

Di qui la giustificazione del primo volume della nostra trilogia sul realismo dinamico, intitolato appunto: Ontologia realistico-dinamica. E di lì la ragione del doverlo presupporre, per affrontare la metafisica della realtà storica, contenuta nel secondo volume di detta trilogia.

Una metafisica «dinamica» della realtà storica in senso realistico oggettivo non è nemmeno pensabile senza la disponibilità di una ontologia realistico-dinamica, che a sua volta rende disponibile la categoria ontologica dell’ente dinamico, come categoria ontologico-metafisica interpretativa della realtà storica stessa.

Senza tale categoria ontologico-metafisica (e senza la rispettiva «ontologia»), o la metafisica della realtà storica cessa di essere «dinamica», o cessa di essere metafisica dinamica «realistica e oggettiva». In ambo i casi una realistica e oggettiva metafisica dinamica della realtà storica diventa impossibile, ricadendo in una metafisica «statica», oppure in una metafisica «dinamica» di tipo «dialettico» o «evoluzionista».

Quelli son diventati oggi. i modi classici per eludere una autentica metafisica realistico-dinamica della realtà storica, sviando il pensare e l’agire a realistico» di chi realista dovrebbe e forse vorrebbe essere, anche (e oggi, soprattutto) in funzione della realtà storica precisamente come realtà dinamica.

Nessun dubbio che «realista», anche nei suo più genui­no senso dinamico, oggi debba essere il cristiano. Ciò forse si rende oggi necessario, anche per essere degli autentici cristiani, e non cristiano-laicisti, o cristiano-marxisti.

Di qui l’incidenza, non soltanto teorica, ma anche pratica, della metafisica realistico-dinamica della realtà storica.

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Incidenza positiva, nell’ipotesi che tale metafisica risulti ef­fettivamente elaborata e disponibile; incidenza negativa nella ipotesi contraria, poiché non è detto che una siffatta lacuna sia irrilevante, e i suoi surrogati non siano o non possano diventare fuorvianti.

Richiamato cosi il rapporto fra il primo e il secondo volume della trilogia sul realismo dinamico, si tratta ora di vedere qual è stato il processo di ricerca e di elaborazione dottrinale adottato in questa nostra Metafisica della realtà storica. Lo si può esprimere in una semplice frase: esso ha obbedito alla logica dell’ente dinamico stesso, lasciandosi condurre dalla medesima.

Senza dubbio l’ente dinamico porta con sè una sua sin­golare razionalità, che si esprime in una logica illuminante, sia come orientamento nella ricerca, che come alimento a una ben ponderata elaborazione dottrinale. Con ciò non è detto che il processo in questione diventi di tipo geometrico o si debba concretizzare in una linea assolutamente univoca.

La filosofia realistica non è una geometria. La metafisica realistico-dinamica soprattutto, proprio perché «realistico-dinamica», non può scambiarsi con una geometria analitica o con un’analisi matematica: tanto più che, per sua stessa natura, dev’essere «sintetica e concreta» escludendo addirittura l’analisi e l’astrazione (come vengono solitamente intese) dal suo metodo.

Tutto ciò rende evidente un fatto: la nostra Metafisica della realtà storica non potrà essere né esauriente, né rap­presentare una linea di elaborazione esclusiva. In altre pa­role, non si può trattare che di un saggio, il quale postula non poche e non piccole integrazioni, e non pone né impone un processo di elaborazione unico o univoco.

Preso atto di questo, con l’auspicio che la metafisica realistico-dinamica della realtà storica diventi un campo di lavoro privilegiato per il filosofo cristiano oggi, diciamo che, quanto di buono e di valido può riscontrarsi in questo volu­me, è paradossalmente merito della realtà storica stessa, o più esattamente dell’ente dinamico non solo come categoria ontologica «interpretativa» della realtà storica, ma come realtà storica a interpretata».

E’ la differenza fondamentale che intercorre nella trat­tazione dell’ente dinamico in sede di ontologia realistico-dinamica e in sede di metafisica della realtà storica. Là è ente dinamico come categoria interpretativa della realtà storica; qui è ente dinamico come realtà storica interpretata.

In ambo i casi  è l’ente dinamico che «parla». È l’ente dinamico che «ha parlato». È bastato «ascoltarlo», per percorrere la strada della ricerca ed arrivare a quella data elaborazione dottrinale, senza dubbio impossibile nella misura che « l’ascolto» fosse stato sopraffatto dal discorso del «soggetto», o dall’invadenza della ricerca erudita, o «distrutto» dagli altoparlanti della cultura .

È forse per questo che la filosofia realistica è oggi in decadenza. La filosofia realistica è quella che fa parlare la realtà, l’essere, conforme alla sua vera natura, che s’impone innanzitutto come esigenza di metodo.

La presente metafisica della realtà storica, proprio perché metafisica«realistica e oggettiva» si è sforzata di essere tale effettivamente. Ciò spiega anche l’assenza di un suo apparato erudito e culturale. Il che forse non è un male, perché la filosofia realista, pur senza sdegnare i libri, deve far parlare la realtà anziché la carta stampata.

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Introduzione

Messo sufficientemente a punto lo strumento ossia l’ente dinamico come categoria ontologica interpretativa della real­tà storica, ora si tratta di utilizzarlo in funzione di uno spe­cifico studio metafisico di essa. Entriamo così più diretta­mente nel campo della metafisica della realtà storica, che impegna in modo più immediato questo nostro secondo vo­lume.

Il sottotitolo – la realtà storica come ente dinamico – intende mettere a fuoco il nuovo problema che stiamo affron­tando, indicando chiaramente che si tratta di una metafisica realistica, perché metafisica della realtà storica come ente, ossia come essere, come realtà; e di una metafisica dinamica poiché la realtà storica viene appunto qualificata come ente dinamico.

Metafisica realistico-dinamica della realtà storica, dun­que, e non altra, resa possibile non altrimenti che per mezzo della categoria ontologica dell’ente dinamico e della relativa ontologia, che non soltanto fa da premessa alla metafisica della realtà storica, ma la penetra come l’anima penetra il corpo.

Il rapporto tra ontologia dell’ente dinamico e metafisica della realtà storica infatti, non è soltanto un rapporto di fon­dazione e di consequenzialità logica, ma si risolve in un rap­porto di identità ontologica tra l’oggetto dell’ontologia dina­mica e l’oggetto della metafisica della realtà storica, che si esprime in quel processo di esplicitazione, anziché di dedu­zione e di applicazione, che ci è ormai familiare.

E veramente, dobbiamo realisticamente affermare che l’ente dinamico come categoria ontologica si concretizza nella realtà storica; viceversa la realtà storica metafisicamente si risolve e si autoriconosce nell’ente dinamico.

Il fatto però che la realtà storica metafisicamente si risolva e si autoriconosca nell’ente dinamico non deve fuor­viare la nostra attenzione dal problema specifico della metafisica

 

della realtà storica, che formalmente rimane quello  dell’essenza. Dovrà anzi concentrarla piuttosto sopra di essa. Sarà l’ente dinamico infatti a rivelarci l’essenza della realtà storica, perché l’essenza di essa consiste appunto nel suo essere di ente dinamico, condotto tuttavia sino agli estremi confini metafisici della sua dialettica.

E’ per questo che già nell’introduzione iniziale al nostro studio, presentando la nostra indagine, si è detto che lo svi­luppo di essa portava «alla penetrazione e alla conquista del­l’essenza metafisica della realtà storica, condotta fino alla scoperta della realtà storica come superorganismo dinamico».

Sarà il superorganismo dinamico a segnare l’estremo punto d’arrivo dell’ente dinamico, e quindi anche della realtà storica. Col passaggio dall’ente dinamico al superorganismo dinamico e con la conseguente specificazione ultima dell’es­senza della realtà storica, concluderemo pertanto questo se­condo volume, lasciando al terzo l’ulteriore approfondimento della realtà storica appunto come superorganismo dinamico e del tema dell’organismo dinamico come tale.

 


CAPO I
DALLA CATEGORIA ONTOLOGICADELL’ENTE DINAMICO ALL’ESSENZA DELLA REALTÀ STORICA

 

I – Un passaggio in continuità

 

Si presentano due diversi modi possibili di considerare l’ontologia dell’ente dinamico, entrambi validi e giustificati. Il primo consiste nel concepirla come un momento dell’onto­logia come tale, ossia della metafisica generale considerata nel suo insieme. Il secondo consiste nel concepirla come un momento della stessa metafisica della realtà storica.

La prima considerazione si giustifica maggiormente nel­la logica dell’intero sistema realistico, che impone alla pro­blematica un certo ordine nient’affatto arbitrario, per il qua­le, un problema ontologico sarà giustamente e doverosamente trattato in sede di ontologia. E’ stato questo il nostro modo di presentare, nel primo volume, l’ontologia dell’ente dina­mico: non scelto ad arbitrio, ma per una ragione di coe­renza e di giustificazione sistematica. Una novità (almeno apparente) che interessa un sistema, in questo caso il sistema realistico, va coerentemente collocata e giustificata nel sistema.

Ma c’è pure un secondo modo di considerare l’ente dina­mico, e consiste nel considerare la sua stessa ontologia come un momento della metafisica della realtà storica. E’ questo secondo modo che ora ci interessa. Anche se formalmente la nostra ontologia dell’ente dinamico ha figurato come una pre­messa ontologica alla metafisica della realtà storica, di fatto, realisticamente ed oggettivamente, essa risulta come un mo­mento di questa, traducendosi già di per sè in vera ed autentica metafisica della realtà storica.

Basterà darsene conto con uno sguardo retrospettivo. La premessa ontologica in questione è nata dal problema meta­fisico della realtà storica. Si è sviluppata su una categoria ontologica – quella dell’ente dinamico -, che si è imposta come iniziale interpretazione della realtà storica. E ha dato

 

 

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luogo ad una teorizzazione dell’ente dinamico, ricalcata passo passo sulla medesima realtà storica come un inesauribile dato di esperienza, alimentatore ad un tempo di una ontologia di­namica pura, e di una specifica metafisica storico-realistica.

Ed invero, una ontologia dinamica estratta, (non « astrat­ta»!) dalla realtà storica e specificativa di essa, non può non essere ad un tempo anche metafisicamente interpretativa della medesima. Dimodoché, di fatto, anche senza averlo di­chiarato ed anzi pur avendolo sottaciuto, a favore di un certo nuovo sviluppo dell’ontologia, lo sviluppo della metafisica della realtà storica appare proporzionale e identico a questo stesso sviluppo ontologico.

Ora tuttavia dobbiamo cambiar modo di procedere. E’ più che altro un cambiamento formale, che ci permette di appellare più direttamente alla realtà storica non soltanto come fonte di esperienza, ma come specifico oggetto di stu­dio. Ed è necessario, poiché il nostro impegno non è di risol­vere la realtà storica in problema ontologico, ma, al contra­rio, proiettare il problema ontologico-dinamico nella realtà storica. Più che proiettarlo, anzi, si tratta di esplicitarlo, posta la reale identità ontologico-metafisica tra ente dina­mico e realtà storica, già da noi asserita, e destinata attra­verso lo sviluppo del nostro studio a rendersi sempre più evidente.

E’ un cambio tuttavia che non segna alcuna rottura di sorta. Esso si pone in continuità, senza mutazione di oggetto formale e materiale, o di metodo. Oggetto del nostro studio, formale e materiale ad un tempo, rimane la realtà storica come essere. E il metodo è sempre quello realistico-dinamico, che a questo punto può già dirsi collaudato. Si tratta per­tanto di un passaggio in continuità tra la nostra ontologia dell’ente dinamico e la metafisica della realtà storica, poiché è sempre il nostro studio metafisico della realtà storica che continua, senza possibilità di evasioni dal proprio metodo e oggetto.

Un coerente studio metafisico realistico-dinamico della realtà storica, infatti, non ammette evasioni. Metafisicamente, la realtà storica è tutta e totalmente ente dinamico, e l’ente dinamico è tutto e totalmente realtà storica. Dimodoché

 

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studiare metafisicamente la realtà storica come ente dina­mico e studiare l’ente dinamico come realtà storica, è rima­nere nell’unico e identico oggetto formale dello studio meta­fisico della realtà storica stessa, che è insieme ente dinamico e realtà storica, realtà storica e ente dinamico.

Scindere i due aspetti o momenti di studio sarebbe demo­lire in radice la stessa metafisica della realtà storica. Sarebbe cedere ancora una volta al subdolo gioco dell’analisi e del­l’astrazione. Sarebbe tornare a tradire la natura intima della realtà storica e con essa la sua metafisica.

Tutto questo rappresenta un punto talmente delicato, da escludere anche, realisticamente, uno sviluppo dell’onto­logia dell’ente dinamico per via di pura deduzione, a partire dall’iniziale definizione di esso come ente la cui essenza ancora non è ma diviene attivisticamente nello spazio e nel tempo.

A prima vista la cosa parrebbe fattibile. La logica interna dell’ente dinamico è talmente coerente, da indurre forse a pensare che la sua ontologia sia deducibile a priori, partendo dal primordiale concetto di ente dinamico, sì da potere arri­vare con identici risultati ad una ontologia dell’ente dina­mico puramente concettuale.

Anche accettando l’ipotesi, non saremmo tuttavia più di fronte ad una sua ontologia realistico-dinamica, ma ci troveremmo davanti ad una ontologia concettuale di esso, che come tale resterebbe priva del controllo e della giusti­ficazione da parte del dato di esperienza, e soprattutto non coinciderebbe più con la metafisica della realtà storica, né for­malmente, come aspetto o momento di essa, né oggettivamente, come parte convertibile in un suo elemento costitutivo.

Ciò non impedisce tuttavia che l’intuizione e la stessa esplicitazione si ponga in anticipo sulla suggestione e sul controllo derivante dal dato di esperienza. Vieta soltanto di evadere dall’impegno e dal metodo realistico.

 

2 – Un punto d’arrivo inequivoco

Il passaggio dall’ontologia dell’ente dinamico ad una più diretta metafisica della realtà storica si opera dunque in

 

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continuità, senza rotture e senza scosse, ed anzi in piena coerenza obiettiva e metodologica. Possiam dire di aver stu­diato finora la realtà storica come ente dinamico, e di comin­ciare ora a studiare l’ente dinamico come realtà storica. I due punti di vista sono talmente coerenti e reversibili da rincorrersi a vicenda e in qualche modo confondersi.

Una realistica ontologia dell’ente dinamico infatti si risolve nello studio metafisico della realtà storica come ente dinamico; e la metafisica della realtà storica a sua volta si risolve nello studio dell’ente dinamico come realtà storica. E’ una coerenza e reversibilità che si traduce in una reciproca esplicitazione ed integrazione.

Ma è possibile prospettare la cosa anche un po’ diver­samente, dicendo che l’ontologia dinamica è nient’altro che lo studio dell’ente dinamico come categoria ontologica della realtà storica; e che la metafisica della realtà storica è nien­t’altro che lo studio della realtà storica come l’ente dinamico che invera detta categoria ontologico-metafisica.

Di fatto, per le ragioni dette, ci siamo tenuti finora a questo secondo schema, che sistematicamente crea una distin­zione tra ontologia dinamica e metafisica della realtà storica, prospettando quest’ultima quale studio metafisico della realtà storica come ente dinamico. In coerenza con tale linea sche­matica, questo secondo momento del nostro studio si intitola ancora: La realtà storica come ente dinamico.

Diciamo «ancora», poiché, nonostante il persistere del­l’impegno verbale, il nostro modo di procedere sta inver­tendosi o meglio trasformandosi in un modo di procedere composito, il quale dovrà condurre avanti contemporanea­mente, ed in funzione dello specifico ed immediato studio metafisico della realtà storica, e la metafisica della realtà storica stessa e l’ontologia dell’ente dinamico.

La nostra ontologia dell’ente dinamico, come avremo occasione di constatare, è rimasta di fatto incompleta. E’ stata condotta avanti fino alla conquista dell’indispensabile punto di sutura tra ontologia dinamica e metafisica della realtà storica, per avere una base sicura, un fondamento del tutto inequivoco, per lo specifico studio metafisico della realtà storica stessa. Tale fondamento si è raggiunto nell’EDUC, ossia nell’ente dinamico universale e concreto.

 

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Raggiunto tale fondamento, non v’è più ragione di pro­cedere sul terreno dell’ontologia dinamica pura, poiché il suo stesso impegno realistico induce a spostarci sul terreno di quella concretezza piena, ormai indispensabile allo stesso EDUC come ente dinamico universale e concreto, la quale si trova appunto ed unicamente nella realtà storica ed anzi è la stessa realtà storica. Torna così il passaggio in conti­nuità tra ontologia dinamica e metafisica della realtà storica. Appare anzi, la fondamentale identità realistico-dinamica tra le due.

Ciò posto, prima di riprendere il cammino, si tratta pre­cisamente di valutare il punto d’arrivo finora raggiunto, rap­presentato dall’EDUC, il quale è un punto d’arrivo manife­stamente bivalente: ontologico, e storico-metafisico ad un tempo.

Che dire pertanto riguardo a questo punto d’arrivo?.. Ci limiteremo nel corso di questo capitolo ad alcuni rilievi che vi si riferiscono, in rapporto alla sua bivalenza nonché al suo significato, importanza, valore e funzione.

Cominciamo dalla bivalenza dell’EDUC. Essa è già stata delineata ponendo la distinzione tra EDUC primario e EDUC derivato, intendendo per EDUC primario l’ente dinamico universale e concreto come categoria ontologica; e per EDUC derivato l’ente dinamico universale e concreto come realtà storica. Si tratta per la verità di due formalità diverse, ma riferentisi ad una sola e identica realtà, che è la realtà storica stessa.

Ed invero, essa assume metafisicamente ad un tempo il significato di realtà storica come EDUC, e di EDUC come realtà storica, segnando le due formalità nient’altro che due momenti della sua esplicitazione ontologico-metafisica, da affrontarsi con le reciproche interferenze imposte dallo stesso metodo realistico-dinamico, e in quel certo ordine che viene richiesto dalla dialettica della loro esplicitazione. E’ ovvio infatti che la formalità primaria dell’EDUC come categoria ontologica, deve venire prima della formalità derivata storico-metafisica, poiché rimarrebbe filosoficamente impossibile penetrare la natura profonda della realtà storica senza la chiave della categoria ontologica interpretativa di essa.

E tuttavia, è importantissimo darsi conto del fatto che

 

 

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si tratta in ogni caso di due formalità non separabili, tali perciò da non potersi proiettare nell’ente dinamico rispetti­vamente come categoria ontologica e come realtà storica, quasi fossero due realtà diverse, con due essenze diverse, chiuse ciascuna in una propria specificità analitica ed astrattiva.

Non dobbiamo dimenticarci che ci troviamo in campo dinamico, a contatto con la natura sintetica e concreta della realtà dinamica stessa, la quale si impone a cominciare dal­l’essenza dell’ente dinamico senza ammettere analisi od astra­zioni di sorta, ma solo esplicitazioni dell’unica e identica realtà storica colta nella sua essenza. Realtà storica, appunto, non riducibile a una formalità unica e tanto meno fraziona­bile in formalità molteplici, pel fatto che da una parte pos­siede una essenza dinamica sintetica e concreta, ricchissima di formalità; e dall’altra esclude l’analisi e l’astrazione.

Le due formalità dell’EDUC, pertanto, vanno colte nell’unità dell’essenza della realtà storica come ente dinamico, della quale rappresentano le due formalità primordiali e veramente decisive. L’EDUC, con la sua bivalenza, assume innanzitutto questo significato, segnando il punto d’arrivo che pone la metafisica della realtà storica al di fuori di ogni equivoco, poiché ne pone l’oggetto formale specifico proprio, in termini perentori.

 

3 – L’oggetto formale della metafisica della realtà storica

 

In virtù della bivalenza che lo trasferisce dall’ontologia alla metafisica della realtà storica, il significato, il valore e la funzione dell’EDUC, si moltiplica, o meglio si esplicita con l’esplicitazione della sua ricchezza essenziale. Tra il resto, il bivalente significato dell’EDUC pone, esprime e definisce pure l’oggetto formale della metafisica della realtà storica.

Questione epistemologica questa, assai delicata, sia al­l’interno di essa che in rapporto ad altre forme di sapere, sempre in riferimento alla realtà storica. Questione, aggiungiamo, definibile e risolvibile soltanto a questo punto della nostra ricerca, poiché il dire inizialmente, come ora possiamo effettivamente dire, che l’oggetto formale della metafisica della realtà storica era l’ente dinamico universale e concreto

 

ossia l’EDUC, oltre all’impossibilità di una giustificazione sarebbe stato addirittura un non senso.

Facciamo pertanto qualche riflessione anche a tale riguardo, allo scopo soprattutto di chiarire sempre più gl’im­pegni della metafisica della realtà storica come metafisica realistico-dinamica, senza dar luogo ad equivoci o nutrire illusioni, immaginandola diversa da quella che giustamente deve essere.

Conforme alla nostra buona tradizione epistemologica, l’oggetto di uno studio scientifico e della relativa scienza (filosofica o meno), compresa la metafisica della realtà sto­rica, si suole distinguere in oggetto materiale e oggetto formale.

L’oggetto materiale è ciò a cui si riferisce un dato tipo di studio, senza ulteriori determinazioni. Noi già sappiamo che il nostro studio si riferisce alla realtà storica, che perciò ne sarà prima di tutto l’oggetto materiale.

L’oggetto formale invece è ciò che propriamente e spe­cificamente si intende studiare nell’oggetto materiale. E’ il punto di vista secondo il quale si studia l’oggetto materiale. A questo proposito, noi abbiamo sempre insistito sul fatto di voler studiare la realtà storica come tale.

Insistendo sul come tale, noi poniamo appunto l’accento sull’oggetto formale della nostra metafisica, sull’oggetto cioè che la specifica e la giustifica. Ma, ecco la difficoltà: che cosa sarà questa realtà storica come tale, ossia come oggetto formale del nostro studio metafisico?…

Ora, ed ora soltanto, possiamo rispondere con lucidità e con cognizione di causa, dopo il lungo cammino chiarifica­tore percorso nel primo volume, che la realtà storica come tale, ossia come oggetto formale della metafisica della realtà storica, è la realtà storica stessa come ente dinamico univer­sale e concreto e cioè come EDUC.

Ed è una risposta esauriente, specifica ed inequivoca. Ma per poterla avere a disposizione si è dovuto raggiungere quel­l’inequivoco punto d’arrivo di cui si è trattato al paragrafo precedente, rappresentato appunto dall’EDUC. In sostanza, dobbiamo dire che la metafisica della realtà storica ha dovuto in qualche modo scoprire il proprio oggetto formale, innan­zitutto. E’ anche questa una delle tante ragioni che possono

 

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spiegarne la difficoltà e l’assenza.

Per le altre scienze infatti, il problema dell’oggetto for­male appare piuttosto semplice. Il loro oggetto formale risulta praticamente ovvio ed intuitivo, o comunque facilmente chia­rificabile per via pratica, senza necessità di ricorrere ad uno studio metafisico.

Sempre in forza dell’abitudine mentale e della spinta dell’analogia (anche se forse si risolve in pseudoanalogia), si è inclini a pensare che debba essere così per qualsiasi studio scientifico, compresa la metafisica della realtà storica. Ma sta di fatto che il suo oggetto formale, ossia la realtà storica come tale, importa un significato ed una sua configurazione che non è per nulla ovvia od intuitiva.

Non si tratta per essa del solito punto di vista astrattivo, che qualifica l’oggetto formale della scienza. AL contrario. Dire che l’oggetto formale della metafisica della realtà storica è la stessa realtà storica come tale, è impegnarsi a cogliere la realtà storica così com’è, in tutta la sua concretezza essen­ziale ed esistenziale, appunto come oggetto formale di detta metafisica.

Questo vuol dire infatti «realtà storica come tale»: la realtà storica, ossia la realtà umana esistenziale, nella totalità e concretezza del suo essere, risolvendola appunto, metafisi­camente, nell’ente dinamico universale e concreto, ossia nell’EDUC. Il quale pertanto, verrà anche a definire in tal modo la realtà storica come oggetto formale della relativa metafisica.

Senza il raggiungimento dell’EDUC e della sua prima e fondamentale interpretazione come ente dinamico universale e concreto, che significato potrebbe avere la realtà storica come tale?… Resterebbe un enigma epistemologico e gnoseo­logico, poiché la realtà storica come tale e cioè presa nella totalità e concretezza del suo essere, non sarebbe né astrat­tizzabile né divisibile, né analizzabile, restando, al di fuori del metodo realistico-dinamico, inconoscibile e traducendosi di conseguenza epistemiologicamente in un impossibile oggetto di studio, irrimediabilmente condannato a naufragare in cate­gorie interpretative che metafisicamente e realisticamente lo svuotano o lo tradiscono.

Ed invero, se ci domandiamo come la realtà storica, al

 

di fuori della sua interpretazione in EDUC, possa venire studiata ed effettivamente venga studiata a livello metafisico o comunque con intendimenti metafisici; noi constatiamo che la metafisica della realtà storica rimane praticamente inaccessibile.

Per ragione di ordine e di aderenza alla realtà storica stessa, ci poniamo detta domanda in base al quattro piani dell’essere applicati alla realtà storica e in riferimento alle discipline chiamate in causa, anche per una maggiore deter­minazione della stessa metafisica della realtà storica.

 

4 – Evento e teologia della storia

 

Un primo modo di studiare la realtà storica è di stu­diarla semplicemente come storia, ossia come insieme di fatti storici, res gestae. I soliti libri di storia la studiano appunto in tal modo. E gli storiografi concepiscono la storia come un succedersi di fatti storici.

Indubbiamente, anche il fatto storico può assumersi come una categoria ontica – non però a valore metafisico – inter­pretativa della realtà storica. E’ possibile infatti interpretare la realtà storica attraverso la categoria del fatto storico, riducendola a storia, a fatti storici. E ne è la interpretazione più facile e comune.

Ma il fatto storico non è che una categoria empirica, che come tale non può servire per lo studio metafisico della realtà storica. Detto studio, come ormai sappiamo, abbisogna di una categoria ontologica metafisica e non empirica; e per di più, categoria ontologica metafisica, a valore sintetico e concreto.

Il fatto storico pertanto, come categoria interpretativa soltanto empirica della realtà storica, qui non ci interessa. Esso d’altra parte si pone sul semplice piano fenomenico della realtà storica, poiché il fatto storico di per sè appartiene all’ordine fenomenico. Per lo studio metafisico di essa è necessario risalire al piano essenziale, o per lo meno al suo piano esistenziale.

E’ così che la realtà storica, oltre che come res gestae, viene studiata anche come evento, ossia come l’avvenimento per eccellenza. In sede di pensiero cristiano, viene così stu-

 

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diata da quella che oggi si chiama teologia della storia. L’evento si pone formalmente sul piano esistenziale della realtà storica, impegnando a studiarla metafisicamente, non tanto per cogliere la essenza della realtà storica stessa, quanto piuttosto per cogliere quello che viene chiamato il senso della storia. E’ uno studio «metafisico» che qualifica anche lo studio teologico, poiché la teologia, al vertici delle sue con­clusioni e della sua speculazione, può dirsi una metafisica del soprannaturale.

Ora l’evento è già una categoria interpretativa della realtà storica e più precisamente della storia, a valore meta­fisico, e non più soltanto empirico. Non però ancora a valore ontologico essenziale rispetto alla realtà storica come tale. L’evento infatti si esaurisce anch’esso nella realtà storica intesa formalmente non già come essere, ma come complesso di fatti storici, dal quale complesso fa emergere precisamente l’avvenimento per eccellenza, che fa da centro alla storia, le conferisce un senso, ne svela la ragione, ne traccia il cammino, ne segna lo sbocco finale.

L’evento pertanto implica senz’altro una considerazione metafisica della realtà storica stessa, non però sul suo piano essenziale, ma sul suo piano esistenziale, che la traduce pre­cisamente nella complessità dei fatti storici facendola cogliere formalmente come storia, di cui vuole sciogliere l’enigma carpendone il senso.

Ne segue che l’evento conduce ad attingere metafisica­mente la realtà storica come dal di fuori, e cioè non già attraverso la sua intima essenza reale, ma attraverso la sua manifestazione esistenziale, e come tale non pone un pro­blema di essenza, ma un problema di esistenza e dunque di causalità multipla e suprema nell’ordine degli avvenimenti, che così vengono riportati ad un Superagente che li domina, li conduce, li finalizza, dà loro un senso recondito e trascen­dente, precisamente per mezzo ed in funzione dell’evento, che come tale rimane il privilegio ed incarna la responsabilità e l’iniziativa del Superagente stesso, nella costruzione, nel corso, e nel destino finale della storia.

Lo studio della storia in funzione dell’evento così inteso appare senz’altro interessantissimo. Ma non è ancora, o non è più, la metafisica della realtà storica, poiché il piano esi­stenziale di questa non è ancora e non è più il suo piano essenziale, e l’essenza della realtà storica rimane in ogni caso un qualcosa di diverso dall’evento.

Essenza ed evento: si tratta in verità di due formalità di una identica realtà storica come oggetto materiale. Ma sono due formalità talmente diverse, da porsi su due piani diffe­renti dell’essere: il piano essenziale, per l’essenza, e il piano esistenziale, per l’evento. E traducono l’identico oggetto ma­teriale rispettivamente in realtà storica come essere e realtà storica come storia.

Nondimeno, l’insufficienza maggiore per lo studio della realtà storica come evento, rispetto allo studio metafisico di essa come essere, deriva dal fatto che, secondo il debito ordine e la necessaria fondazione ontologica, non è possibile porre soddisfacentemente lo studio della realtà storica e più precisamente lo studio della storia come evento, se non dopo e sulla base dello studio metafisico essenziale della realtà storica come essere. Torna in altre parole, la congenita insuf­ficienza della filosofia (e anche della teologia) dell’esistenza la quale non può venire sanata al di fuori di una correlativa e specifica metafisica dell’essere e dell’essenza.

 

5 – Fenomenologia e filosofia della storia

 

L’evento è senza dubbio una categoria storica a valore metafisico. Rappresenta infatti l’avvenimento unico, lunga­mente atteso, preparato e consumato e pur sempre in fase di realizzazione, il quale domina la storia e le dà un senso, riducendo ad unità la molteplicità dei fatti storici, che tutta­via sarà unità non propriamente ontologica ma finalistica. Il senso della storia, che rappresenta la trama unificatrice dei fatti storici, diventa sinonimo di finalismo della storia.

E tuttavia non è da pensare che dietro alla trama fina­listica e causale dell’evento non si celi una realtà unificante e unificata, che reclama di venire colta e studiata, in defini­tiva, nel suo specifico essere, il quale rievoca il problema metafisico dell’essere stesso della realtà storica, e non sem­plicemente il problema di essa come evento.

Non è detto pertanto che lo studio della storia come evento non interferisca nello studio dell’essere della realtà

 

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storica, pur senza risolversi, per molteplici ragioni, in una specifica metafisica (filosofica o teologica) della realtà sto­rica come essere. E’ ciò che si riscontra per esempio nel De Civitate Dei. di Sant’Agostino, che rappresenta la prima grande opera di teologia della storia, dopo la Bibbia, se si vuole.

Giustamente per Sant’Agostino il senso della storia è dato dalla Città di Dio, contrapposta alla Città di Satana. Essa è ad un tempo la grande realtà e il grande evento, nei suoi due aspetti sempre in via di attuazione, che domina la storia da Adamo ed Eva sino alla fine dei tempi, culminando nel fatto della Redenzione che ha per centro l’incarnazione del Verbo e lo stesso Verbo incarnato, come Cristo storico e Cristo totale.

La teologia della storia tuttavia, e con essa la filosofia della storia, non sono entrate a far parte del sistema (filo­sofico e teologico) scolastico o più esattamente realistico, come trattati del sistema stesso. La ragione si è che la filo­sofia scolastica come filosofia realista studia ogni cosa for­malmente come ente, mentre la filosofia e teologia della storia non studiano la realtà storica come ente formalmente, ma rispettivamente come evento, o come fenomenologia gene­ralizzata.

Ed invero se si vuole stabilire (benché ancora al di fuori di una piena dialettica realistico-dinamica) una valida distin­zione tra teologia e filosofia della storia, è necessario appel­larsi anche per esse a due piani dell’essere diversi tra loro quali sono rispettivamente il piano esistenziale dominato dalla formalità dell’evento, e il piano fenomenico dominabile dalla formalità della generalizzazione fenomenologica.

Il piano fenomenico della realtà storica, specialmente se già tradotta esistenzialmente nella storia, si risolve nei fatti storici presi nella loro singolarità, ed anche in una fenomenologia che prescinde formalmente dal fatto singolo, impegnando in una considerazione fenomenologica d’insieme, nella quale prevale la ricerca delle leggi universali o almeno più generali, che governano i fatti storici stessi nonché lo sviluppo del divenire storico.

Il piano fenomenico della realtà storica importa quindi una doppia formalità: l’una di indole puramente positiva, che

 

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è quella del fatto storico come tale, di specifico e immediato interesse per lo storiografo e lo storico; l’altra d’indole posi­tiva e speculativa ad un tempo, e dunque anche metafisica sulla linea di una ricerca causale generalissima. E questa è appunto la formalità della fenomenologia storica generaliz­zata che viene a interessare specificamente il filosofo della storia.

Si offre in tal modo una qualche possibilità di distinzione tra teologia e filosofia della storia, la quale interesserebbe particolarmente il pensatore cristiano, per la diversità di impegno e di oggetto, che in sede di riflessione storica cri­stiana si dimostra pienamente fondata e giustificata, e si impone in qualche modo spontaneamente.

Sorge nondimeno un problema piuttosto delicato, ed è quello della distinzione ed insieme della radicale unità di questi diversi saperi che si prospettano in campo storico, nonché della loro connaturale funzione.

Pensare infatti tali saperi al di fuori di una loro unità e distinzione nonché di una loro interdipendenza e condi­zionamento reciproco, è pressoché impossibile. E’ necessario tuttavia possedere una chiave dialettica valida che li ponga al di fuori della confusione e della separazione, segnandone ad un tempo la natura e la funzione specifica.

E una questione che interessa direttamente la metafisica della realtà storica, da affrontarsi pertanto dopo aver esau­rito il quadro delle fondamentali discipline correlative al quattro piani della realtà storica come essere, quivi appena delineato al solo scopo di una maggiore illuminazione di detta metafisica, e del trascendente significato e funzione dell’es­senza della realtà storica stessa.

 

6 – Realtà storica e scienze dell’azione

Per completare il quadro suaccennato dobbiamo ancora prendere in considerazione il piano dell’essere che chiamiamo operativo e il sapere che vi corre onde da noi riassunto nell’espressione di «scienze dell’azione».

Le scienze dell’azione, appunto come sapere correlativo al quarto piano dell’essere della realtà storica che è il piano dell’azione ossia il piano operativo, saranno un tema di

 

 

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particolare interesse per l’epistemologia realistico-dinamica da trattarsi esaurientemente in rispettiva sede.

Se vogliamo tuttavia avere dinanzi agli occhi il quadro completo delle discipline fondamentali che si innestano al­l’essere della realtà storica e che pertanto importano una relazione con la metafisica della realtà storica, dobbiamo aggiungere qui una parola anche sulle scienze dell’azione intese appunto come lo specifico sapere che si annoda al piano operativo della realtà storica come essere.

La realtà storica, precisamente come EDUC e dunque come essere, importa quell’essenziale attivismo che entra a far parte della sua dinamicità, ed appare addirittura come elemento essenziale costitutivo dello stesso EDUC e quindi della realtà storica. Per darcene conto, basta richiamare la definizione dell’ente dinamico, che come categoria ontolo­gica riflette la propria essenza nell’essenza stessa della realtà storica. L’ente dinamico, come sappiamo, è l’ente la cui essenza ancora non è ma si fa attivisticamente nello spazio e nel tempo. E’ appunto da questo suo essenziale divenire attivistico che nasce l’attivismo essenziale della realtà storica come EDUC.

La realtà storica dunque, appare ed è essenzialmente attivistica. L’attivismo è una delle fondamentali e molteplici formalità che interessano la sua essenza. Ed è appunto la formalità che pone il piano operativo della realtà storica come essere.

Da questo attivismo essenziale della realtà storica, che la traduce in essere operativo, nasce la possibilità, ed oggi la necessità, delle scienze dell’azione, intese appunto come studio della realtà storica in quanto operativa, e della rispettiva azione che ne segue.

Per l’esattezza facciamo rilevare che le scienze dell’azione non studiano l’attivismo esistenziale della realtà storica come costitutivo della sua essenza. Come tale, infatti, è di com­petenza della metafisica della realtà storica. Diciamo che le scienze dell’azione sono studio della realtà storica in quanto realtà operativa che dà luogo alle grandi azioni storiche (ben distinte dalle grandi gesta individuali). Quello è il loro og­getto formale, che le distingue nettamente dagli altri saperi

 

 

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storici già presi in considerazione, e dalla stessa metafisica della realtà storica.

Ciò posto, le scienze dell’azione studieranno precisa­mente l’azione e più specificamente le azioni emananti dal­l’attivismo essenziale della realtà storica, per ora colta solo inizialmente nella sua essenza come EDUC. Si tratterà per­tanto delle grandi azioni storiche le quali metafisicamente ed essenzialmente (dunque non esistenzialmente e fenomeni­camente!…) avranno come soggetto agente, il superagente «realtà storica» come EDUC, a cominciare dalle grandi azioni che si innestano alle formalità operative supreme della realtà storica stessa, che tratteremo in seguito, sempre a proposito dell’essenza di essa.

Come semplice dato di esperienza, che in qualche modo può aprire un adito all’intuizione delle grandi azioni sto­riche, possiamo riferirci alle grandi correnti di vita e di azione (in campo educativo, sociale, culturale, etico, ecc.) che ema­nano dal moderno vivere ed agire collettivo e s’impongono ad esso come una incoercibile ed anonima fiumana, non diver­samente controllabile che alla sorgente e per mezzo di argini adatti.

La sorgente, è appunto quella della realtà storica stessa come ente dinamico, come EDUC, e quindi come superagente. E gli argini validi per il bene, non potranno essere in defi­nitiva che quelli della sua natura genuinamente dinamica e cristiana, traducendosi in coerente ed operante dialettica in tal senso.

 

 

7 – Molteplicità e unità del sapere storico

 

Il quadro completo del sapere storico fondamentale, dunque, delineato in rapporto al quattro piani dell’essere della realtà storica, si presenta come segue: sul piano del­l’essenza, si pone la metafisica della realtà storica, precisa­mente come studio metafisico dell’essenza di essa. Sul piano dell’esistenza si pone la teologia della storia, come introspe­zione ideale e finalistica di essa attraverso la categoria esi­stenziale dell’evento.

Sul piano fenomenico si pone la filosofia della storia, come ricerca delle grandi leggi che governano la storia, vista

 

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formalmente come una fenomenologia generalizzata che pone appunto il problema delle leggi fondamentali e supreme di se stessa. Sul piano operativo finalmente, si pongono le scienze dell’azione, precisamente come studio della realtà storica in quanto realtà operativa che dà luogo alle grandi azioni collettive e transpersonali che chiamiamo storiche, per distinguerle dall’attività direttamente legata alla persona come soggetto agente di primo grado.

Le grandi azioni storiche infatti si pongono in rapporto al superagente della realtà storica stessa come ente dinamico e dunque come soggetto agente di secondo grado, che coin­volge la potenza misteriosa di un nuovo tipo di azione, appena adombrato nel proverbio che dice: l’unione fa la forza.

Prescindiamo in questo quadro dallo studio della realtà storica risolta nei fatti storici, perché di per sè privo di rile­vanza metafisica, e non fondamentale dal nostro punto di vista, pur nella sua elementarità e immediatezza, che lo pon­gono all’inizio della riflessione sulla realtà storica come storia.

Ora, è facile constatare che questo quadro assume una sua caratteristica unità nell’unità della realtà storica come essere, pur nella sua ordinata molteplicità, oggettivamente motivata e giustificata dai quattro piani dell’essere stesso della realtà storica.

Ma appare anche evidente che il suo gioco unitario e molteplice, inequivoco e pienamente coerente, crolla non appena venga a mancare la chiave di volta che sul piano dell’essere rimane l’essere stesso della realtà storica e con esso la relativa essenza. Chiave che, sul piano dei saperi, verrà necessariamente a coincidere con la metafisica della realtà storica precisamente come essere e perciò studiata nella sua essenza. L’essere infatti, per diventare epistemiologicamente operante, deve passare attraverso la propria metafisica.

Venendo a mancare tale chiave di volta, l’unità e mol­teplicità del sapere storico, che pure rappresenta una esi­genza oggettiva ed epistemologica irrinunciabile, darà luogo ad ambiguità ed oscurità, che si rifletteranno necessariamente sui saperi singoli e sul loro complesso, rendendoli più o meno equivoci.

E’ questo uno dei motivi per cui teologia e filosofia della storia ad esempio non riescono ad impostare una loro coerente

 

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distinzione e a definire in termini adeguati la propria natura e funzione. Ed è sempre lo stesso motivo, che sotto la pres­sione dell’esigenza di unità e di una fondazione metafisica, spinge lo studio esistenziale della realtà storica ossia della storia, sulla via di una metafisica della realtà storica con indirizzi ed esiti diversi, ma radicalmente insoddisfacenti.

Realisticamente, infatti, lo studio esistenziale della realtà storica tanto in sede di teologia della storia che (a maggior ragione) in sede di filosofia della storia, sia esso di ispirazione più propriamente realistica, o platonizzante, non potrà avere che un valore surrogatorio, in quanto la metafisica della realtà storica non può realisticamente porsi che come pro­blema dell’essere e della essenza della realtà storica stessa.

L’esito invece sarà più fecondo, sia pure a servizio di una concezione metafisica erronea e dunque inaccettabile, in sede di uno studio fondamentalmente idealistico. Con la riduzione dell’essere al divenire, esso ha la possibilità di tradurre l’esistenza in essenza, aprendosi così la strada ad una metafisica della realtà storica in sede di filosofia della storia, ridotta quest’ultima sostanzialmente a fenomenologia essen­zializzata.

Ma la disfunzione e l’insufficienza più grave dell’impo­stazione dello studio della realtà storica al di fuori di una specifica metafisica essenziale di essa, consiste nel fatto che senza di questa diventano impossibili le scienze dell’azione come da noi concepite e quali oggi s’impongono, sì che lo studio della realtà storica non riesce ad assumere quel valore e quella funzione operativa che ad esso compete, rivelandosi sempre più indispensabile.

Uno studio metafisico essenziale della realtà storica è di per sè quanto di più teoretico si possa pensare. Ma, come già sappiamo, esso è anche in modo specialissimo una immer­sione nel concreto, e in quel concreto operativo che è appunto l’essenza dinamica della realtà storica come natura ossia come principio di operazione. Il quale, identificandosi con lo stesso superagente, viene anche a identificarsi metafisicamente con il soggetto agente più immediato e specifico delle grandi azioni storiche.

E’ così che l’essenza della realtà storica viene a fondare le scienze dell’azione e le fonda essa sola, rendendo in tal

 

 

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modo possibile uno strumento di indole teoretica, sì, ma, come scienza dell’azione, a valore squisitamente pratico operativo. Strumento che oggi può portare con sè una incidenza deci­siva nella tremenda battaglia tra la verità e l’errore, e tra le forze del bene e del male.

Lo stesso criterio di verità, che in passato poteva im­porsi nella pratica, anche come criterio puramente teoretico, per via autoritativa o razionale; ora invece, per diventare efficiente, è necessario che si combini con l’operatività, non già nel senso di un pragmatismo puramente utilitario od empirico, ma nel senso dell’operatività che emana da una fede come scelta vitale fondamentale: accettazione ed espres­sione essa stessa di una data essenza della realtà storica, che per una fede siffatta si manifesta non soltanto come un vero a valore contemplativo, ma anche e soprattutto a valore operativo.

Siamo qui a contatto con la potenza di quella fede (sem­pre di natura religiosa o antireligiosa) proiettata nel profano, che si chiama ideologia, la quale può innestarsi tanto alla verità quanto all’errore, appunto come proiezione dell’es­senza (cristiana o anticristiana) della realtà storica e della sua inesauribile dialetticità, nella vita.

Le metafisiche diveniriste della realtà storica o comun­que della storia, che per la ragione già detta esprimono, sia pure a modo loro, il valore essenziale e quindi anche la funzione dell’essenza di essa, sono in grado di sprigionare detta potenza, e la sprigionano effettivamente.

Una teologia e filosofia della storia in senso puramente esistenziale invece, rimangono operativamente sterili, poiché, nonostante il punto di partenza e il continuo appello alla con­cretezza, danno ancora luogo in definitiva ad una fuga nel­l’astratto, risolvendosi in saperi a valore culturale e contem­plativo, ma purtroppo non ancora a valore formalmente operativo.

 

8 – Il primato dell’essenza e della sua metafisica

Se pertanto, da quanto si è venuti dicendo, si vuole trarre una conclusione, questa non può essere, per ragioni e sotto aspetti molteplici e confluenti, che quella del primato

 

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dell’essenza della realtà storica e conseguentemente anche della sua metafisica; primato che s’impone sulla stessa realtà storica e sui fondamentali saperi che vi si riferiscono.

Facciamo qualche riflessione al riguardo, rilevando per prima cosa la netta distinzione fra metafisica della realtà storica in senso realistico-dinamico, e qualsiasi altro sapere di indole metafisica o filosofica riferentesi alla realtà storica stessa. Se all’inizio del nostro studio poteva restare qualche perplessità per una effettiva distinzione tra la nostra meta­fisica della realtà storica e la teologia e filosofia della storia, ora tale perplessità non avrebbe più ragione di esistere, poiché risulta fin troppo evidente che si tratta di cose diverse.

 

E’ una diversità che deriva dal diverso oggetto formale; dal diverso piano dell’essere in cui i saperi in questione si collocano; dai diversi impegni che si perseguono; dal diverso strumento metafisico che si utilizza; dal diverso sviluppo dottrinale che ne consegue; dalla diversa funzione che si garantisce; dal diverso intento che ne viene inspirato e sorretto.

Senza tornare ad esplicitare o voler maggiormente illu­minare queste varie ragioni di diversificazione, basti aver assodato che la metafisica della realtà storica non è né la teologia della storia, né la filosofia della storia, né una scienza dell’azione. Ma rappresenta un sapere metafisico ben distinto dagli altri, con un oggetto, un metodo, una problematica propria, sì da doverle richiedere ciò che giustamente può e deve dare, senza tuttavia aspettarsi da essa o dentro di essa una teologia o filosofia della storia.

Posta così in rilievo l’identità della metafisica della realtà storica, poiché si tratta per noi di una metafisica realistico-dinamica e non comunque, accentuiamo ancora la differenza di essa dalle metafisiche essenziali diveniriste di marca hege­liana e marxista. La differenza con le medesime si pone fondamentalmente col problema dell’essere: essere tradotto in divenire o in «prassi» per l’hegelismo e il marxismo; divenire e «prassi» ricondotti all’essere, per la nostra meta­fisica realistico-dinamica, sottraendo così i due sbocchi sud­detti all’arbitrarietà di una fenomenologia assolutizzata, per

 

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riinchiodarli all’obiettività e alla suprema trascendenza del­l’essere.

Non dunque identità o anche solo analogia tra le due posizioni, ma nemmeno un rapporto di derivazione o di adattamento. Si tratta semplicemente di novità di problema in sede realistica, ed in termini di radicale opposizione alla impostazione e alle soluzioni del corrispettivo problema (se così si può dire), in sede di pensiero hegeliano e marxista, e possiamo aggiungere anche teilhardiano.

Veniamo ora al primato dell’essenza e della sua meta­fisica, sulle altre considerazioni e saperi riguardanti la realtà storica. Tale primato si giustifica in sede teoretica e in sede pratica. Teoreticamente, appare ormai evidente che i saperi che si pongono al di sotto del piano essenziale della realtà storica come essere, si trovano subalternati alla metafisica della realtà storica stessa, stabilendone un indiscutibile pri­mato teoretico. Ciò almeno in sede di pensiero e di impegno genuinamente realistico che come tale si specifica per la realtà storica, in senso realistico-dinamico.

In senso realistico-dinamico infatti, e cioè nel senso rea­listicamente più coerente e plausibile per quanto riguarda la realtà storica, i piani dell’essere conseguenti a quello del­l’essenza assumono un loro vero significato in quanto, in modo confacente, ripetono l’essenza di essa. Ed invero, in questo nostro mondo dinamico, che significato avrebbe ancora una realtà storica esistenziale che non ne incarnasse l’effet­tiva essenza? E come potrebbe diventare espressione della dinamica della stessa realtà storica, una fenomenologia gene­ralizzata con le leggi trascendenti che la riguardano, se non si pone in funzione dell’essenza della realtà storica?

Quanto poi alle scienze dell’azione, la questione non sarebbe nemmeno da porsi, poiché, senza la presenza imma­nente nell’azione, della essenza della realtà storica, verrebbe addirittura a mancare il superagente come specifico soggetto agente di esse, eliminando la stessa ragion d’essere delle scienze dell’azione in senso realistico-dinamico, ossia come studio di una realtà storica dinamica sul piano operativo.

Resta così sufficientemente chiarito il primato teoretico della metafisica della realtà storica e quindi anche dell’essen­za di questa, sui diversi piani dell’essere della realtà storica

 

stessa e di conseguenza sui saperi che li riguardano. Passiamo pertanto al primato pratico. Esso può porsi in linea episte­mologica e in linea più propriamente operativa.

Anche la costruzione di una scienza e la elaborazione di un sapere sono un’azione, una pratica. Ora, se appunto si tratta di scienze e saperi subalternati alla metafisica della realtà storica, sono intuitivi i riflessi pratici che ne derivano, fino a dover concludere che la costruzione e l’elaborazione delle scienze e saperi in questione, rimane condizionata alla suddetta metafisica non soltanto ad melius esse, ma anche ad simpliciter esse. Questo sarà il caso per lo meno delle scienze dell’azione intese in senso realistico-dinamico. Esse risultano di fatto impossibili senza la preventiva elaborazione di una metafisica realistico-dinamica della realtà storica, e la conseguente sua utilizzazione.

Ma veniamo al primato pratico operativo. E’ forse tale primato pratico operativo che pone la questione cruciale del rapporto tra metafisica della realtà storica da una parte, e teologia e filosofia della storia dall’altra. Essa si può riassu­mere in questi termini. Si danno delle scienze, dei saperi scientifici, compresi quelli di ordine metafisico, filosofico e teologico, chiamati a rivestire una funzione pratica operativa di primo piano, fino a diventare questione di vita o di morte per il nuovo mondo dinamico in cui viviamo. E’ necessario pertanto fornire questo nostro mondo dei saperi e delle scienze adatte, compresi quelli metafisici e le scienze in derivazione.

Ora, solo una metafisica realistico-dinamica della realtà storica rappresenta quel sapere metafisico o quella chiave metafisica di cui il mondo di oggi ha estremo bisogno; e solo essa è in grado di fondare quelle scienze dell’azione che diventano sempre più indispensabili e decisive. Ne segue, proprio in virtù di questo bisogno pratico operativo, che la metafisica realistico-dinamica della realtà storica riveste un indiscutibile primato sugli altri saperi storico-metafisici, privi della capacità fondante sopraddetta e di per sè non in grado di soddisfare l’oggettiva richiesta metafisica del mondo attuale. Richiesta metafisica che riguarda innanzitutto la realtà storica e la sua essenza, e dunque, in definitiva, la spe­cifica conoscenza di se stessa come realtà dinamica.

 

 

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Se pertanto vogliamo concludere sul primato teoretico e pratico della metafisica della realtà storica, diremo che esso si pone non già su un piano di dominio, ma in funzione di integrazione e di servizio, conforme alla natura integrativa della stessa metafisica dinamica. E ciò, solo e sempre attra­verso la mediazione dell’essenza della realtà storica. E’ ad essa pertanto che il primato effettivamente compete. E la metafisica della realtà storica, di essa specificamente e spe­cialissimamente – per non dire esclusivamente – si occupa.

 

9 – Chiave essenziale ed essenza-chiave della realtà storica

E’ dunque sull’essenza della realtà storica che è neces­sario puntare, concentrando su di essa il nostro studio meta­fisico. Il passaggio dalla categoria ontologica dell’ente dina­mico all’essenza della realtà storica, si compie entrando in pieno nella sua metafisica. Le riflessioni fatte hanno avuto lo scopo di operare questo passaggio nel modo più significa­tivo, penetrando maggiormente il valore, l’importanza e la funzione della metafisica della realtà storica, nonché la sua natura specifica. Ne è risultata e ne risulterà sempre più una metafisica tutta impostata sull’essenza della realtà sto­rica, ed in funzione di tale essenza.

Ma come precisamente abbordarla e dominarla? L’EDUC ne offre la possibilità piena. Esso è ad un tempo la chiave essenziale della realtà storica, e l’essenza-chiave di essa. Di qui il suo ruolo del tutto decisivo ed insostituibile in una metafisica realistico-dinamica della realtà storica.

Abbiamo detto a suo tempo che senza l’accettazione totale e sincera dell’ente dinamico fenomenico umano in quanto implica la persona come elemento costitutivo di esso la dia­lettica dell’ente dinamico non poteva scattare, rimanendo così bloccata fin dall’inizio la sua ontologia.

Un qualcosa di analogo dobbiamo ripetere per l’EDUC. Senza di esso non scatterebbe la metafisica della realtà sto­rica, e l’essenza di questa rimarrebbe impenetrabile e ino­perante. Ne è infatti la chiave: chiave essenziale, ed essenza-chiave, senza la quale non è possibile aprirsi la strada alla metafisica realistico-dinamica della realtà storica e con essa al saperi che realisticamente vi si subalternano.

 

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Come si è constatato, l’EDUC compete alla realtà storica in virtù della sua stessa bivalenza formale, la quale lo pone ad un tempo come categoria ontologica e come realtà storica e più precisamente come categoria ontologica risolventesi nella realtà storica, sì che, in senso reale e concreto, l’EDUC risulti la realtà storica stessa.

Non comunque, però. Ma realtà storica come essere. Come essere colto per l’appunto nella sua natura profonda di ente dinamico, e non già come semplice esistenza o dive­nire, come fenomenologia, come azione. Come essere per di più, colto sul piano della sua natura profonda e nella sua natura profonda. Colto cioè sul piano della sua essenza. Colto anzi nella sua essenza, semplicemente come essenza.

E appunto perché in tal modo vien colto come EDUC, questo sarà l’essenza della realtà storica stessa come essere, o più precisamente ne sarà il nucleo essenziale.

L’EDUC pertanto non sarà l’essenza completa della realtà storica. Ma ne sarà per lo meno l’essenza colta nel suo punto chiave. Ne sarà l’essenza-chiave, che è insieme la chiave essenziale dell’intera essenza di essa. Senza la chiave del­l’EDUC, il problema dell’essenza della realtà storica rimar­rebbe ancora insolubile. In tanto diventa solubile, in quanto si coglie e si accetta quell’essenza radicale della realtà storica che viene appunto rappresentata dall’EDUC come essenza-chiave e chiave essenziale di essa.

Qui sta la ragione dell’interesse e dell’importanza deci­siva dell’EDUC, nel suo duplice ed insieme unitario signifi­cato ontologico e storico-realistico. L’EDUC infatti non si esaurisce nella immediata contemplazione di sè, come può avvenire per talune verità metafisiche astratte. Ed invero, essendo la chiave essenziale della realtà storica, è per ciò stesso la chiave di immersione in quel concreto ricchissimo e a valore operativo, che è l’essenza della realtà storica iden­tificantesi col superagente; e nel contempo è anche la chiave di apertura a quelle scienze dell’azione, che esplicitano la funzione operativa dell’essenza della realtà storica e della sua metafisica, nel modo più responsabile e impegnativo.

Il valore metafisico essenziale dell’EDUC, pertanto, è anche una via al superamento di una contemplazione meta­fisica pura, che come tale finirebbe per rimanere sterile.

 

 

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La contemplazione mistica dei Santi era senz’altro una con­templazione altamente operativa perché si consumava nell’amore. Ma la contemplazione dei filosofi rischia di isterilirsi consumandosi nella contemplazione della verità astratta. E’ necessario quindi compiere il passaggio da una filosofia pura­mente contemplativa ad una filosofia operativa. E’ il bisogno della cultura e soprattutto della vita di oggi. Ed è anche questo un servizio che trova nell’EDUC la chiave di una sua possibile realizzazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CAPO II
ESSENZA E ANALISI DELLA REALTÀ STORICA

 

1- Definizione essenziale radicale

 

Essendone l’essenza-chiave, l’EDUC rappresenta la prima espressione essenziale della realtà storica. Possiamo quindi tentarne una prima definizione, in funzione di esso. Avremo così modo di riflettere alquanto su questo fonda­mentale punto d’arrivo, per ripartire più orientati verso ulteriori mete.

In funzione dell’EDUC, la realtà storica si può definire nei termini seguenti: la realtà storica è la stessa realtà uma­na esistenziale colta metafisicamente nella propria essenza di ente dinamico universale e concreto, che come tale ancora non è ma diviene, si fa attivisticamente nello spazzo e nel tempo.

Come si constata, al centro della definizione sta l’EDUC (= ente dinamico universale e concreto), come chiave, e per ora anche come limite della definizione stessa. Essa pertanto risulta palesemente incompleta e forse anche insoddisfa­cente per chi si aspetta i grandi voli del pensiero esistenziale. Ma è cosa inevitabile. Il reale essenziale, ad un pensare uma­no condito di fantasia, di emozioni e di senso, od anche librantesi più o meno estrosamente nelle grandi panoramiche dell’essere e del vero, non coartate da specifiche formalità metafisiche, finisce per apparire piuttosto pedestre. Sia ora che in seguito dobbiamo quindi saperci rassegnare. Ciò pre­messo, passiamo a qualche riflessione sulla definizione data.

Prima di tutto è da notarsi la sinonimia, già altrove stabilita, tra realtà storica e realtà umana esistenziale. Il definire pertanto la realtà storica a partire da questa sino­nimia, è come voler cadere in una tautologia. Ma è stato fatto di proposito, per richiamare il superamento del «fatto sto­rico» e con esso della categoria del «passato  e del «tem­po», troppo legate all’aggettivo «storico , che inavveduta­mente e quasi automaticamente traducono la realtà storica nella storia o in categorie temporali.

La realtà storica non è la storia, e neppure il divenire

 

 

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storico, o il «mistero» del tempo. Anche quando si parla della «sbalorditiva novità di questo nostro tempo , ci si riferisce alla realtà storica di oggi, poiché, in concreto, è il tempo che si risolve nella realtà storica, e non viceversa. Per questo diciamo che la realtà storica è semplicemente la realtà umana esistenziale di sempre: di ieri, di oggi, di doma­ni. Ed è appunto la realtà storica intesa in questo senso che viene suffragata dal dato di esperienza e viene interpretata dall’ente dinamico, che come EDUC ne esprime l’essenza radicale.

Giustamente quindi, nella definizione, si dice che la realtà storica così intesa viene colta metafisicamente nella propria essenza di ente dinamico universale e concreto [= EDUC). E’ questa infatti la sua natura ontica: essere ente dinamico essere metafisicamente l’ente dinamico universale e concreto, si da risultare, in prima istanza metafisica, essenzialmente EDUC.

Ciò è diventato possibile, partendo dalla considerazione della realtà storica come essere. Ed è un inestimabile van­taggio della metafisica realistica, poter risolvere nella elemen­tare e insieme inesauribile razionalità dell’essere, gli acro­batici e a volte sconcertanti giochi del pensiero sganciati da esso.

Né la primordiale interpretazione della realtà storica come EDUC potrebbe ridursi ad una c immagine  del mondo della storia, analogamente a quanto avviene per le cosiddette «immagini del mondo» fisico. Queste sono le più remote dal dato di esperienza, e rappresentano l’ultima ipotesi al di là dei dati scientifici acquisiti, come un invalicabile e sempre criticabile punto di arrivo.

Al contrario, l’essenza della realtà storica come EDUC non è che il punto di sutura più immediato tra esperienza e speculazione, tra realtà storica ed essere, il quale si pone come chiave essenziale iniziale e come un inesauribile punto di partenza teoretico e pratico.

Dice infatti in continuazione la definizione, che l’essenza di ente dinamico universale e concreto, propria della realtà storica, come tale ancora non è ma diviene, si fa attivistica­mente nello spazio e nel tempo. Si tratta pertanto di una essenza aperta all’universale e concreto divenire attivistico

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di se stessa, comprensivo della totalità dello spazio e del tempo che compete alla stessa realtà storica.

Quali siano le caratteristiche, le componenti, i contenuti di questa essenza che si fa, ancora non lo sappiamo con precisione, ma già se ne è stabilita e se ne possiede la chiave consistente appunto nell’essenza stessa della realtà storica definita nei termini suddetti.

L’unico rilievo che rimane da aggiungere in riferimento alla definizione data, è che essa appropria alla realtà storica l’essenza della categoria ontologica dell’ente dinamico preci­samente perché l’essenza della realtà storica consiste innanzi­tutto nell’essere ente dinamico universale e concreto e cioè nell’incarnare e nell’identificarsi realmente e concretamente con la stessa categoria ontologica dell’ente dinamico nella sua pienezza metafisica di EDUC.

 

2 – Appropriazione dell’essenza dell’ente dinamico

Se pertanto vogliamo ora iniziare il lavoro di approfondimento e di esplicitazione dell’essenza della realtà storica per prima cosa dobbiamo proiettare nell’essenza di essa quan­to è già stato da noi acquisito a proposito dell’essenza del­l’ente dinamico come categoria ontologica. E ciò, appunto in virtù dell’appropriazione di essa da parte della realtà storica e per di più nella sua pienezza di EDUC, come risulta dalla iniziale definizione essenziale suesposta.

Ora, quel che più importa nell’essenza dell’ente dinamico come categoria ontologica, e che è stato da noi acquisito in sede della sua ontologia, sono precisamente quei principi metafisici che lo costituiscono come ente dinamico, e che proiettati nella realtà storica pongono quest’ultima nella sua essenza viva ed operante di ente dinamico universale e concreto.

Detti principi metafisici,che esprimono e importano la corrispondente realtà ontica, sono prima di tutto quelli dell’identità reale tra ente ed essenza  nonché fra essenza ed esistenza. Dinamicamente tra le coppie di termini si  pone l’identità reale, con la  sola possibilità di una distinzione formale.

La realtà storica come essere pertanto, appunto perché

 

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ente dinamico, perché metafisicamente EDUC, implica l’iden­tità reale con la propria essenza, e conseguentemente anche l’identità reale tra la propria essenza ed esistenza.

È  di qui, a partire da questa premessa metafisica fonda­mentalissima e di estrema importanza, che per la realtà storica scatta una dialettica essenziale nuova, la quale ne domina innanzitutto la metafisica. Ed è appunto la dialettica dell’ente dinamico universale e concreto, operante nel cuore stesso della realtà storica, ed anzi della sua essenza.

Tale dialettica che è precisamente la dialettica «dina­mica», parte dalla dinamicità dell’ente dinamico come essen­ziale divenire attivistico, coerente ed univoco, nello spazio e nel tempo. Essa pertanto verrà necessariamente a far parte anche dell’essenza della realtà storica sempre come ente dina­mico universale e concreto, sì da doversi metafisicamente predicare per essa la stessa dinamicità fondamentale del­l’EDUC.

Ma non basta. Dalla dinamicità dell’ente dinamico ema­nano le quattro proprietà essenziali di esso, e cioè le proprie­tà della sinteticità, della concretezza, dell’accidentalità e del­la transpersonalità. Ne segue che esse saranno anche pro­prietà essenziali della realtà storica, la cui essenza dinamica pertanto sarà sintetica, concreta, a forma essenziale acci­dentale, e transpersonale. E con l’essenza, sarà tale la stessa realtà storica come EDUC.

Sulla base di questa iniziale e pur già complessa appro­priazione dell’essenza dell’ente dinamico, e più specificamente sulla base della dinamicità e delle quattro proprietà essen­ziali, si pone quello sviluppo dialettico che traduce l’ente dinamico in EDUC, e dunque la stessa realtà storica in ente dinamico universale e concreto.

Torniamo così alla prima e fondamentale specificazione metafisica essenziale della realtà storica, non semplicemente mutuata (come si potrebbe pensare) da una categoria ontolo­gica che si dice interpretativa di essa, ma emergente dalla stessa dialettica ontologica dell’ente dinamico, che in con­creto, in base allo stesso dato di esperienza, si identifica con la realtà storica.

 

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3 – Le vie dell’approfondimento e dell’esplicitazione

Ci troviamo dunque di fronte ad una essenza della realtà

storica ancora appena sfiorata, eppure già così ricca di signi­ficato, perché detentrice dello stesso contenuto essenziale dell’ente dinamico come categoria ontologica. E tuttavia, come abbiamo detto, si tratta ancora semplicemente di una essenza-chiave, di una essenza radicale, le cui virtualità ed aperture possono essere innumerevoli ed impensate, ma che riman­gono tuttora oscure, ed appaiono, nelle loro ultime esplici­tazioni, assai lontane se pure non irraggiungibili. E’ neces­sario pertanto tentarne le opportune esplicitazioni; è neces­sario approfondire.

Ma appunto per questo è necessario tracciarsi un cam­mino. Ciò diventa possibile, tenendo conto della specifica natura dell’essenza che interessa, del regime della sua for­mulazione concettuale e definitoria, come pure della via che non senza fatica è stata aperta e ci rimane aperta.

Quest’ultima è precisamente la via realistico-dinamica caratterizzata gnoseologicaniente da un pensare sintetico e concreto, metodologicamente da una ininterrotta prospezione sul dato di esperienza e da un continuo appello e controllo da parte della medesima, ed epistemologicamente dal princi­pio dell’adaequatio intellectus et rei, obbedendo prima di tutto alle sue esigenze, anche se difformi da una consuetudine che, nell’ipotesi di una disarmonia con esso, non avrebbe più diritto di chiamarsi tradizione.

Quanto al regime della formulazione concettuale e della definizione dell’essenza della realtà storica, ci limitiamo qui a notare che esso non potrà più essere quello del genere prossimo e della differenza specifica, per la semplice ragione già da noi fatta presente, che nel mondo della realtà storica e dinamica metafisicamente più non esistono i generi e le specie con la correlativa scala mobile dell’albero di Porfirio: con la conseguente impossibilità di definire l’essenza della realtà storica per genere e differenza specifica.

Tale regime definitorio obbedisce alla legge dell’analisi e della astrazione, ed è quindi proprio dell’ente statico. Ma l’ente dinamico è di natura sintetica e concreta. Esso pertanto, e con esso la realtà storica, non potranno venire sottoposti al regime dell’ente statico, tanto meno nel loro elemento più

 

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delicato, quale è quello dell’essenza e della definizione essenziale.

Ed allora, quale verrebbe ad essere il regime della for­mulazione concettuale e definitoria della realtà storica?.. Rispondiamo: quello dell’ente dinamico universale sintetico e concreto. Una realtà essenzialmente dinamica, sintetica e concreta non può esprimersi nella sua essenza che per mezzo della categoria ontologica che la interpreta come tale, e che pertanto, in sostituzione del genere e della differenza speci­fica, rappresenterà lo strumento per la interpretazione e quindi anche per la formulazione concettuale e definitoria di essa.

Quella sarà la legge dell’interpretazione e definizione essenziale della realtà storica e con essa dell’intera realtà dinamica, considerata nella sua totalità e nelle sue parti. Se ben si riflette, già si constata che la definizione iniziale della realtà storica, posta precisamente in funzione dell’EDUC, è stata data in conformità con questa legge, che è appunto la legge interpretativa e definitoria della realtà dinamica.

E’ essa infatti che in definitiva traccia il cammino che stiamo cercando, e che anche in tema di definizione sarà quello dell’approfondimento e dell’esplicitazione, anziché quello dell’analisi e dell’astrazione, e di una conseguente composizione logica.

Ed invero, una realtà dinamica, sintetica e concreta per essenza, non può venir penetrata e perciò stesso non potrà nemmeno esser convenientemente definita, se non per via dinamica, sintetica e concreta, e dunque percorrendo la strada metafisica dell’ente dinamico sintetico e concreto, che è pre­cisamente quella dell’EDUC. Sarebbe assai strano in verità che una realtà essenzialmente dinamica, sintetica e concreta dovesse definirsi con uno strumento logico e metafisico di indole statica, analitica ed astratta, anziché per mezzo di uno strumento logico e metafisico di natura dinamica sintetica e concreta. Si cadrebbe in una flagrante e radicale violazione del principio epistemologico realistico che impone l’adaequatio intellectus et rei, la quale adeguazione comincia prima di tutto dallo strumento logico e metafisico.

La realtà storica pertanto, e con essa le sue parti, non potranno metafisicamente venire definite che come EDUC o

 

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in funzione dell’EDUC, e non più per mezzo di un’analitica ed astratta composizione di genere e differenza specifica. Il che importerà indubbiamente delle complicazioni, che per noi qui possono richiamarsi in gran parte al nuovo ruolo che viene ad assumere l’analisi stessa, nel lavoro di approfondi­mento e di esplicitazione che deve impegnarci. Passiamo perciò al problema dell’analisi, vista sotto questo profilo.

 

4 – Il problema dell’analisi

 

L’analisi è strettamente legata all’astrazione. Nella meta­fisica dell’ente statico, l’astrazione è il corrispettivo logico dell’analisi, che ha valore ontologico. Staticità, analiticità ed astrattezza diventano così un sistema solidale nella costru­zione metafisica, che pone le sue radici nella condizione ontica della stessa realtà statica, e riceve la sua espressione ultima nella definizione essenziale di essa.

E’ un fatto che una definizione essenziale statica segna un vertice di analisi e di astrazione, ciò che le permette di esprimersi, nell’ipotesi che venga raggiunta, con brevità, sem­plicità e chiarezza. Esempio classico rimane sempre quello della definizione essenziale dell’uomo come ente di primo grado ossia come ente statico, definito appunto con la nota formula di animale ragionevole.

Evidentemente, anche tale definizione va concepita in sintesi, sia logicamente che ontologicamente. Ma è sempre la sintesi di due elementi estremamente analitici ed astratti, se considerati in se stessi. E per di più si tratterà di una sintesi logica e metafisica, la quale rimane sempre fondata su quella radicale condizione analitica ed astrattiva che si verifica nell’ente statico per la distinzione reale tra essenza ed esi­stenza. In ragione di tale distinzione infatti, l’essenza degli enti statici, espressa appunto dalla loro definizione metafisica, non potrà non portare con sè una fuga nell’astrazione e segna­re un vertice della astrattezza e dell’analisi. Ciò spiega ad esempio come la definizione essenziale dell’uomo appaia così distante dalla sua concretezza esistenziale, e come, nelle com­plicazioni della vita moderna, diventi sempre più difficile applicare i principi che da essa derivano, alle situazioni concrete.

 

 

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Che il meccanismo della definizione essenziale dell’ente dinamico e perciò della realtà storica debba essere tutt’affatto diverso, lo si può presagire ormai in virtù di quel criterio pratico di giudizio che abbiamo chiamato delle metafisiche rovesciate, il quale si collauda man mano che procediamo, fino ad apparire se bene applicato, in qualche modo infallibile.

In virtù di esso dobbiamo dire che, come in parte si è già constatato e motivato, l’essenza della realtà storica e con essa la sua definizione, non è più una fuga nell’astratto, ma una immersione nel concreto; non è più astratta ed analitica, ma sintetica e concreta; non si ottiene più con un processo di spoliazione dell’ente, ma con un processo di accumulazione e di arricchimento; non si esprime più in genere e differenza specifica, ma per mezzo dello stesso ente dinamico; non è più di indole scalare, nel senso che genere e differenza defi­niscono l’essenza collocandola nella scala dell’essere, ma è di indole, diciamo, sferica, per la stessa natura dell’EDUC, che nell’ambito della realtà dinamica tutto essenzializza e tutto contiene; non è più ignorazione metafisica del concreto, ma essenzializzazione e metafisicizzazione di esso; non dà più luogo a deduzioni da principi e a loro applicazioni più o meno remote, ma darà luogo ad approfondimenti esplicita­tivi, interpretativi ed applicativi dal di dentro; non darà più luogo, finalmente, ad una espressione definitoria la cui bre­vità e chiarezza dipende dalla semplicità; ma implicherà una espressione definitoria necessariamente complessa, la cui brevità e chiarezza non sarà più questione di idee cartesiana­mente chiare e distinte, ma deriverà semmai da un’operazione interpretativa della realtà storica come una ed unica realtà dinamica universale, sintetica e concreta, nell’ipotesi che la definizione sia pienamente riuscita…

E’ appunto qui, di fronte ad un’essenza così diversa da quella dell’ente statico, che torna il problema dell’analisi, e con essa anche quello dell’astrazione.

Pensare sinteticamente e concretamente. Questa è stata la consegna a cui ci siamo metodologicamente sottoposti. Ma ormai, essendoci spostati dal momento ontologico al momento storico-metafisico della nostra ricerca, si ha quasi la sensa­zione di essere giunti ad un punto morto senza tornare al­l’analisi.

 

Ed invero, come affrontare utilmente l’approfondimento essenziale della realtà storica, senza ricorrere all’analisi? A differenza dell’ente dinamico, la cui coerenza come categoria ontologica, è quasi geometrica, la realtà storica nella sua com­plessità e nelle sue almeno apparenti contraddizioni, ci si presenta più come un caos disorientante che come un cosmo, sicché per orientarsi, altro non sembrerebbe possibile che tornare a ricorrere all’astrazione e all’analisi…

Ma la realtà storica è realtà dinamica, e perciò stesso sintetica e concreta per essenza. Una sua analisi metafisica ed essenziale significherebbe la sua demolizione essenziale e metafisica. Come dunque combinare con essa l’analisi? E’ il problema che a questo punto della nostra ricerca è neces­sario porre e risolvere per aprire il giusto sbocco alla meta­fisica della realtà storica.

 

5 – Analisi della realtà storica

 

Per risolvere tale problema dobbiamo darci conto per prima cosa che esso si pone in modo del tutto diverso in sede di ente statico e di ente dinamico. Mentre l’analisi meta­fisica è connaturale all’ente statico, perché imposta radical­mente dalla distinzione reale tra essenza ed esistenza, nonché fra ente ed essenza, che gli è propria; per l’ente dinamico invece l’analisi risulta di per sè un non senso, perché in con­traddizione con l’essenza di esso, la quale appunto è essenza sintetica e concreta, e dunque non analizzabile né astrat­tizzabile.

Se pertanto il problema dell’analisi si pone anche per l’ente dinamico, la prima conclusione da trarre sarà preci­samente questa: per l’ente dinamico il problema dell’analisi si porrà in senso affatto diverso che per l’ente statico. Per quest’ultimo l’analisi assume un senso e un valore metafisico

‘e viene imposta dalla sua stessa natura. Per l’ente dinamico invece l’analisi non potrà assumere detto senso e valore, onde, per esclusione, non potendo avere un valore ontologico, avrà solo un valore logico, in senso gnoseologico e meto­dologico.

Torna così, attraverso il problema dell’analisi, il proble­ma gnoseologico in rapporto allo strumento di conoscenza

 

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intellettuale di cui disponiamo, e il problema metodologico in rapporto alla via da seguire nella elaborazione di un dato sapere scientifico.

A parte ogni forzatura retorica, l’intelligenza di cui l’uo­mo dispone, compresa quella dei più grandi geni, è per sua natura limitata, e perciò stesso a funzionamento razionale e riflesso essenzialmente analitico. L’analisi infatti è essa stessa limitazione, ed espressione di limitatezza, sia in senso ogget­tivo (quando fa parte dell’essere stesso), sia in senso sogget­tivo, in riferimento al soggetto conoscente.

Questo nostro meccanismo conoscitivo non importa in­convenienti trattandosi della conoscenza riflessa e scientifica dell’ente statico, poiché, essendo questo limitato e risultando essenzialmente analitico, si tratterà dopo tutto di uno stru­mento conoscitivo fatto in qualche modo su misura, sì che il procedere per analisi ed astrazione sia quanto di più consen­taneo si possa immaginare per lo studio dell’ente statico.

Per l’ente dinamico invece si verifica precisamente il contrario. Esso è sintetico e concreto per essenza, non solo, ma metafisicamente, e cioè nella sua intima essenza reale di EDUC, è anche illimitato, possiamo dire infinito in rapporto all’universalità che gli compete, anche se si tratta come ben sappiamo, di una infinitezza ben diversa da quella di Dio che è l’essere perfettissimo: essendo appunto l’infinitezza non di Dio ma dell’ente dinamico, che come tale è l’essere imperfettissimo per essenza.

Sta di fatto tuttavia, che l’ente dinamico è illimitato risolvendosi così in un oggetto di conoscenza in qualche modo sproporzionato all’intelligenza umana che è limitata. Di qui una triplice difficoltà per il suo studio metafisico, derivante appunto dalla limitatezza dello strumento conoscitivo, dal­l’infinitezza dell’oggetto da conoscersi, e dalla natura essen­zialmente sintetica e concreta di esso, sì da precludere la via all’analisi e conseguentemente all’astrazione, costringen­do, come abbiamo sempre affermato, a pensare sinteticamente e concretamente.

Cessa in tal modo l’espediente del divide et impera, che potrebbe far comodo gnoseologicamente e metodologicamente, specialmente di fronte alle difficoltà della realtà storica. Come infatti pensare concretamente e sinteticamente un

 

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oggetto per sua natura illimitato, con uno strumento conosci­tivo limitato e funzionalmente analitico ed astrattivo?

Per quanto l’antinomia possa apparire insuperabile, la risposta alla nostra domanda è già stata da noi data per via di fatto e continuerà a darsi per tale via. Né potrebbe esserci in questo caso risposta migliore. Nondimeno, al solo scopo di facilitare detta via di fatto e rispondere in qualche modo alla suesposta domanda anche per via di ragione, diciamo che l’antinomia diventa superabile attraverso la giusta com­binazione gnoseologica della categoria ontologica dell’ente dinamico, con il ripensamento critico frazionato, del tutto.

Ed invero, come già abbiamo affermato e si è sperimen­tato, il pensare sinteticamente e concretamente diventa effet­tivamente possibile attraverso la categoria ontologica del­l’ente dinamico, per la stessa ragione che si penserà in funzione di detta categoria. Così ora aggiungiamo che, l’attin­gere riflessamente l’infinitezza propria della realtà storica ‘diventerà possibile combinando insieme la categoria ontolo­gica dell’ente dinamico e un particolare tipo di analisi a valore puramente metodologico, consistente in un puro ripen­samento critico frazionato della realtà storica stessa, che come EDUC rimane ontologicamente e formalmente sempre una, universale, sintetica e concreta, continuando ad essere vista e pensata come tale. L’EDUC assolverà appunto la funzione di escludere in modo assoluto l’analisi a valore ontologico e metafisico, riducendola a puro espediente metodologico.

L’analisi della realtà storica dunque non assumerà altro significato e non avrà altro valore, come abbiamo detto, che quello di un puro ripensamento critico sintetico e concreto di essa, in funzione del suo approfondimento metafisico e della sua esplicitazione essenziale, intendendo sempre la realtà storica come EDUC ossia come realtà sintetica e con­creta e dinamicamente illimitata.

In una parola, l’analisi della realtà storica consisterà nel ripensare la realtà storica stessa, sempre come una e univer­sale, sintetica e concreta, in funzione di qualche suo elemento, allo scopo di approfondirne ed esplicitarne l’essenza. Si tratterà cioè di ripensare il tutto in funzione di un suo aspetto o di una sua parte. Questo sarà il significato dell’analisi in sede di metafisica della realtà storica.

 

 

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Fuori di essa, ma sempre nell’ambito di saperi ad essa subalternati, l’analisi consisterà nel ripensare la parte (= una parte della realtà storica: per es. l’educazione, l’econo­mia, la vita sociale, ecc.) in funzione di quel tutto che è la realtà storica stessa, intesa formalmente ed essenzialmente come EDUC, e possibilmente già esplicitata come tale.

E’ in questo senso che l’analisi si pone anche per l’ente dinamico e per la realtà storica, segnando una linea metodo­logica che diventa ormai indispensabile per il lavoro di appro­fondimento e di esplicitazione essenziale che dobbiamo in­traprendere.

Concludendo pertanto il problema dell’analisi nella cono­scenza metafisica della realtà storica, possiamo riassumerne il significato ed il valore puramente metodologico in questi termini: essa non è che un ripensamento critico della sintesi, allo scopo di approfondire, esplicitare, applicare. In sede di ente dinamico, che è il regno della concretezza e della sintesi, l’analisi non è neppure concepibile al di fuori della sintesi. Essa è possibile soltanto in funzione ed a servizio della sin­tesi. Per la nostra metafisica, una analisi come scomposizione della sintesi è quanto di più contraddittorio si possa imma­ginare, poiché essa equivarrebbe alla demolizione ontologica della realtà storica e dello stesso ente dinamico.

 

 

6 – Realtà storica universale e particolare; totale e parziale

 

Come ben ricordiamo, la nostra ontologia dell’ente dina­mico ha diviso quest’ultimo in universale e particolare; totale e parziale. E’ una divisione che importa una duplice analisi, e che dall’ente dinamico come categoria ontologica si proietta nella realtà storica, secondo la legge dell’appropriazione onto­logica che già conosciamo. Per essa, quel che si predica del­l’ente dinamico, va pure predicato per la realtà storica. Anche questa pertanto si presenterà come realtà storica universale e particolare; totale e parziale.

Quale il significato di questa duplice divisione?… Quale il valore delle rispettive analisi?… Cominciamo dalla prima divisione, riappellandoci alla nostra ontologia. In essa, l’ente dinamico universale assumeva un valore metafisico, tradu­cendosi in ente dinamico universale e concreto ed assumendo

 

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quindi il valore e il significato di EDUC.

Ecco pertanto ciò che era l’ente dinamico universale: era l’EDUC, nel suo significato proprio di categoria ontolo­gica. Ed ecco ciò che è, correlativamente, la realtà storica universale: è l’EDUC, nel senso derivato di realtà storica come ente dinamico universale e concreto.

Fin qui, a dir vero, non siamo ancora di fronte ad una analisi, ma ad una sintesi: ed anzi alla sintesi-chiave del­l’ente dinamico e dell’intera realtà storica.

Ma passiamo all’ente dinamico particolare. Ontologica­mente, questo aveva solo valore fenomenico, risultando così molteplice, e restando privo di per sè di una specifica rile­vanza metafisica, a parte il suo valore come dato di espe­rienza, da concentrarsi, come abbiamo insistito, nell’ente dina­mico fenomenico umano.

Applicando alla realtà storica, diremo che essa, a pari, come realtà storica particolare, avrà solo valore fenomenico, risultando anch’essa molteplice, e senza una specifica rile­vanza metafisica, a parte anche per essa il suo valore di dato di esperienza, che si concentrerà appunto nell’ente dinamico fenomenico umano come realtà storica particolare, assunta in tutta la sua concretezza.

Mentre l’ente dinamico e la realtà storica sono metafi­sicamente uno, sia il primo che la seconda saranno fenomenicamente molteplici, secondo i due coefficenti di moltiplica­zione che già conosciamo: quello del prodotto tecnico, e quello del raggruppamento umano. Fenomenicamente, ogni pro­dotto tecnico rappresenta un ente dinamico fenomenico infra­umano, e dunque una realtà storica particolare. Analoga­mente ogni raggruppamento di persone, in quanto concretamente storicizzato, si tradurrà in ente dinamico fenomenico umano, che è anch’esso realtà storica particolare.

Ma realtà storica particolare sarà pure qualsiasi realtà storica intesa in senso fenomenico, anche se collettivamente comprende una quantità innumerevole di enti dinamici feno­menici, fino a coincidere con gran parte della realtà storica stessa, e nell’ipotesi estrema, con la totalità fenomenica di essa.

Anche in quest’ultimo caso infatti si tratterebbe di una realtà storica universale soltanto in senso collettivo e non

 

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già in senso metafisico, appunto perché, come totalità sempli­cemente fenomenica, non solo non esclude la molteplicità, ma ne è la consacrazione piena. Mentre invece, la realtà storica universale in senso metafisico esclude la molteplicità in modo radicale ed assoluto, traducendo la totalità della realtà storica stessa in quell’unico ente dinamico universale e concreto che è appunto l’EDUC.

Da quanto si è detto sgorga pertanto questa conclusione. La divisione dell’ente dinamico prima, e della realtà storica poi, in universale e particolare, risulta una divisione di natura eterogenea, per il fatto che il primo termine ha valore meta­fisico, e il secondo ha sempre e soltanto un valore fenomenico.

La conseguenza che ne deriva è tremenda. Dividere effet­tivamente la realtà storica in universale e particolare, attri­buendo un valore metafisico ad ambedue i termini, significa demolire metafisicamente la stessa realtà storica. E’ vera­mente un cadere nell’analisi che demolisce e uccide. Metafi­sicamente, l’ente dinamico e con esso la realtà storica, sono un universale reale e concreto, uno ed unico. Sono EDUC. Ogni loro moltiplicazione ontica, non è che una loro demoli­zione metafisica. E’ una falsa applicazione dell’analisi, che non solo non giova metafisicamente, ma getta nell’impossi­bilità di comprendere la vera natura della realtà storica stessa, nella sua totalità e nelle sue parti, con delle conse­guenze negative, teoretiche e pratiche, semplicemente incal­colabili.

Dovremo pertanto rinunciare alla divisione della realtà storica in universale e particolare, e all’analisi che ne viene implicata? No certamente. Si tratterà piuttosto di intendere le due cose e di utilizzarle nel loro giusto senso, che torna ad essere il senso gnoseologico e metodologico. Per il fatto stesso che metodologicamente e gnoseologicamente dobbiamo partire dal dato di esperienza, è necessario tener conto della realtà storica particolare e ad essa riappellarci di continuo, poiché il dato di esperienza si pone innanzitutto nel fenome­nico che è particolare. Ma sarà sempre un «particolare» da trascendersi e come dato di esperienza e come oggetto di studio.

Il «particolare » in quanto tale, infatti, in campo dinamico non beneficia di consistenza e di senso ontologico pro-­

 

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prii, risolvendosi metafisicamente in non-ente, restando in tal modo inconoscibile nella sua natura profonda. La realtà storica particolare metafisicamente non assume un suo valore ontico e una sua razionalità, che partecipando l’onticità e la razionalità della realtà storica universale, e dunque diventando parte (meglio: accettandosi come parte) di essa. Ed è appunto da questa sua situazione, che nasce la necessità di integrare la divisione della realtà storica in universale e particolare, con la sua divisione in realtà storica totale, e parziale.

Questa seconda divisione infatti, come già sappiamo dalla nostra ontologia dell’ente dinamico, si riferisce primariamente all’ente dinamico già esplicitato come EDUC, e quindi anche per derivazione, alla sola realtà storica universale, e cioè già stata colta nella sua essenza metafisica di EDUC.

A differenza pertanto della prima divisione, questa seconda appare omogenea, ed ha soltanto un significato meta­fisico. E’ in altre parole una divisione che divide formalmente l’EDUC, sia come categoria ontologica sia come realtà sto­rica, in totale e parziale senza uscire dalla sua unità ed uni­versalità metafisica.

Ed invero, per l’EDUC come tale, non è possibile altra considerazione. O lo si considera metafisicamente nella sua totalità di ente dinamico universale e concreto, uno ed unico; o lo si considera nelle sue parti, dividendolo appunto in totale e parziale.

E sarà questa una divisione che avrà valore di analisi esclusivamente in senso gnoseologico e metodologico. Ontolo­gicamente infatti la parte richiama la propria sintesi nel tutto, e in virtù dello stesso EDUC non è concepibile che come tale.

Gnoseologicamente e metodologicamente invece, la parte si distinguerà dal tutto, precisamente per render possibile il ripensamento del tutto in funzione della parte, e lo studio della parte in funzione del tutto: condizioni indispensabili sia per l’approfondimento e l’esplicitazione dell’essenza della realtà storica totale, sia per la comprensione della natura pro­fonda di una sua parte, che metafisicamente non può aver significato e valore – e dunque non può rivelare la propria essenza – che nel tutto.

 

 

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La realtà storica parziale, quindi, non sarà affatto sino­nima di realtà storica particolare. Fra di esse si pone la dif­ferenza che esiste tra il metafisico e il fenomenico, tra l’uno e il molteplice, tra la sintesi e l’analisi ontica, tra una analisi semplicemente gnoseologica e metodologica, ed una innatu­rale anatomia metafisicamente demolitrice della realtà storica.

Positivamente, la realtà storica parziale segna la reden­zione metafisica della realtà storica particolare, inserendola nel suo vero essere, rivelatore della sua natura profonda e promotore della sua genuina ed inequivocabile dialettica. Si tratterà pertanto, formalmente, non già di discendere dalla realtà storica universale alla particolare, ma di risalire da questa, come dato di esperienza, alla realtà storica universale e totale. E se si ridiscende metodologicamente ad una realtà storica particolare o comunque ci si trova impegnati con essa, ciò non sarà che per tradurla formalmente da realtà storica particolare in realtà storica parziale, a fine di poterla meta­fisicamente situare e studiare in funzione del tutto.

 

7 – Onticità e prassi

 

Il primo caso di analisi che ci si presenta nel senso e nella funzione da noi precisata, è quello della distinzione, nell’EDUC, della onticità e della prassi. Chiamiamo prassi l’attivismo essenziale dell’EDUC.

Come ormai sappiamo, l’elemento analitico escludente la realtà storica come particolare, è soltanto la parte, intesa formalmente come realtà storica parziale in rapporto e in funzione della realtà storica totale. Ne segue che anche l’onticità e la prassi, come elementi analitici dell’EDUC e con esso della realtà storica sempre come EDUC, saranno parti, più che dividenti, componenti la totalità di esso.

Ma parti di che natura? E’ una precisazione che dob­biamo fare una volta per tutte, proprio allo scopo di non equivocare sulla realtà storica parziale, in riferimento alla realtà storica totale.

Sempre in sede di considerazione metafisica dell’ente dinamico e della realtà storica, la parte può venire intesa in senso trascendentale, in senso essenziale, in senso formale, o

 

in senso puramente materiale. In senso trascendentale, la parte diventa sinonimo di aspetto dell’EDUC e della stessa realtà storica come EDUC. In senso essenziale, rappresenta un loro elemento costitutivo. In senso formale, torna a rap­presentare un aspetto della forma. In senso materiale, final­mente, la parte assume il significato di realtà storica parti­colare, non però affermata come tale, ma vista e assorbita nell’EDUC, appunto come parte della sua causa materiale. Le esemplificazioni verranno in seguito.

Ciò premesso, domandiamoci: che significato verranno ad assumere l’onticità e la prassi, come elementi analitici dell’EDUC e con esso della realtà storica? La risposta è ovvia: l’onticità e la prassi sono due aspetti trascendentali dell’EDUC, e della stessa realtà storica come EDUC.

Sono i due aspetti trascendentali che nella loro neces­saria sintesi metafisica compongono l’EDUC totale, come universale dinamico sintetico e concreto, uno ed unico. L’EDUC infatti, per la trascendentalità di questi suoi due aspetti primordiali e fondamentalissimi, è tutto «ente» e tutto «prassi», sì che onticità e prassi rappresentino come le due facce simmetriche, compenetrantisi ed equivalentisi, di una stessa medaglia.

E’ un primo approfondimento e una prima esplicitazione dell’EDUC (e con esso della realtà storica come EDUC), che si chiarirà man mano in seguito, e che qui conviene soltanto mettere a fuoco nel suo significato e nella sua importanza.

Ed anzitutto, aspetto trascendentale significa che esso domina dal di sopra e dal di dentro il rispettivo ente (nel caso nostro l’EDUC), tutto e totalmente. Che sia effettiva­mente così per l’onticità e la prassi rispetto all’EDUC, basti riflettere che esso, in quanto essenzialmente diveniente è tutto ente, e in quanto essenzialmente attivistico è tutto prassi.

Ed infatti , l’essere reale si commisura al proprio esistere ,

che per l’ente dinamico è appunto il suo divenire attivistico. Questo invero ne pone addirittura l’essenza, che in tanto è l’essenza reale dell’ente dinamico in quanto si fa attivisti­camente. E pertanto, per il fatto stesso che l’ente dinamico come tale si commisura al suo divenire attivistico, esso sarà tutto essere, tutto ente: la sua onticità dovrà dominarlo tutto

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e totalmente, dal di sopra (in quanto ad esso s’impone), e dal di dentro (in quanto lo costituisce).

Un qualcosa di analogo va ripetuto per la prassi. e cioè per l’attivismo essenziale dell’EDUC. Esso infatti in tanto è, in quanto si fa attivisticamente nello spazio e nel tempo; e dunque in quanto la prassi, che è il suo attivismo essenziale, lo autocostruisce. Ma deve autocostruirlo totalmente, poiché ammettere per ipotesi che anche una sua minima frazione non divenga attivisticamente, è negarlo come ente dinamico, ossia è negare non soltanto la trascendentalità della prassi, ma è negare la onticità propria dell’ente dinamico, e dunque l’ente dinamico stesso.

Onticità e prassi, per la loro trascendentalità rispetto all’EDUC, convengono in esso e si identificano con esso real­mente, rappresentando due sue formalità diverse, poiché altro è la formalità dell’onticità, e altro la formalità della prassi.

La prassi, come aspetto trascendentale dell’EDUC, con cui realmente si identifica, sarà per ciò stesso cosa assai diversa dall’attività od azione intesa nel senso corrente. Que­ste infatti sono espressione della persona umana come sog­getto agente (individuale o collettivo: non importa), che è ente di primo grado; mentre la prassi è espressione del superagente EDUC, ed anzi si identifica con esso.

Come l’ente di primo grado (a partire dalla persona uma­na) storicizzandosi diventa metafisicamente ente di secondo grado e cioè ente dinamico, così l’attività della persona uma­na come soggetto agente di primo grado, storicizzandosi diventa metafisicamente azione di secondo grado ossia prassi, rifondendosi in essa. Ed infatti storicizzandosi diventerà ente dinamico, diventerà metafisicamente parte dell’EDUC, e pre­cisamente dell’EDUC inteso nel suo aspetto attivistico essen­ziale che lo traduce formalmente in prassi.

Per distinguere nettamente l’agire umano in quanto fa capo alla persona come soggetto agente di primo grado, dall’attivismo essenziale dell’EDUC come superagente di secondo grado, useremo regolarmente il termine «prassi » in questo suo senso preciso, e cioè nel suo significato metafi­sico specifico di attivismo essenziale dell’EDUC come super­agente di secondo grado, in contrapposizione all’attività della

 

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persona umana come soggetto agente di primo grado. E’ necessario darsi conto del fatto che la prassi così

intesa fa parte dell’essenza dell’EDUC, ed anzi, è l’essenza stessa di esso, vista nel suo aspetto attivistico. Ora come già sappiamo, l’essenza dell’EDUC sul piano della concretezza esistenziale può restare una criptoessenza, senza tradursi in dato di esperienza. Ne segue in tale ipotesi che anche la prassi resterà sperimentalmente inafferrabile, se pure non si rive­lerà praticamente inesistente, perché personalisticamente rinnegata, o perché storicamente non posta.

Può nascere da questa situazione uno dei problemi più formidabili sul piano operativo della realtà storica: quello, appunto, di mettere in moto la prassi a servizio del bene, supposto che già sia esistenzialmente in atto ed efficiente la prassi a servizio del male. Il che sarà sperimentalmente rile­vabile attraverso la constatazione di quel nuovo tipo di azione complessa e continuata, che si traduce in una grande corrente dinamica attiva della storia. Tale infatti si presenta la prassi come dato di esperienza, nelle sue caratteristiche esistenziali più elementari e più ovvie.

Prescindendo dal giudicare la situazione, diremo soltanto che, per mettere in moto la prassi anche a servizio del bene non basterà invocare l’unità azione, specialmente se si tratta ancor sempre di azione di primo grado, per l’ignorazione della vera natura della prassi e del superagente da cui emana: perché appunto, la prassi è unità d’azione non solo in senso finalistico, ma anche, e prima di ogni altra cosa e soprattutto, in senso ontologico, che per il bene dovrà essere il senso ontologico realistico-dinamico. Realisticamente infatti, la prassi è la stessa realtà storica come EDUC, quale super­agente che sprigiona un attivismo autocostruttivo proporzio­nato, e perciò di tale potenza, che nessuna unità d’azione puramente finalistica (supposto che sia effettivamente otte­nibile) potrebbe umanamente contrastare o resistergli.

Ma è appunto qui che, in rapporto alla prassi, si pone una differenza radicale. La prassi infatti, può venir messa in moto con tutta la sua potenza, anche indipendentemente da esigenze realistiche ortodosse. Il suo meccanismo dinamico può favorire tanto una prassi a servizio del bene che a ser­vizio del male, dando così al figli delle tenebre la possibilità

 

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di essere più «prudenti» e più efficienti dei figli della luce. Ora precisamente, mentre per noi la realtà storica meta­fisicamente è ad un tempo onticità e prassi, per essi è sol­tanto  «prassi». Ne segue che l’impegno realistico oggettivo derivante dall’onticità di essa ed implicante una dialettica virtualmente ortodossa, rimane ignorato quando non è di proposito rifiutato. Ed invero, una realtà storica ridotta metafisicamente a puro divenire attivistico e quindi a una prassi sganciata dall’essere, diventa indipendente, e peggio rinnegatrice, della sua dialettica, originariamente trascen­dente, e conclusivamente addirittura cristianamente religiosa e soprannaturale.

Ciò non blocca purtroppo l’efficienza della prassi sgan­ciata dall’onticità della realtà storica e ridotta metafisica­mente a puro divenire attivistico. La rende, anzi, più spregiu­dicata, e in un certo senso più energica. Ma serve ad un tempo a porre in rilievo l’importanza dell’onticità della realtà storica, come unica garanzia realistica della prassi, e a indi­care la via giusta per contrapporre teoreticamente e pratica­mente in modo valido, prassi a prassi, al di sopra di un sem­pre possibile equivoco realistico statico e al di fuori di ogni equivoco antirealistico, o anche semplicemente arealistico. Per via arealistica infatti, anche se pienamente ortodossa, non è possibile mettere convenientemente in moto la prassi, per la ragione che essa consiste nell’attivistica messa in moto della realtà storica come tale, e dunque come EDUC. Più ancora, come si vedrà a suo tempo, come superorganismo dinamico.

 

8 – Analisi causale della realtà storica

 

Onticità e prassi ci hanno posto di fronte all’analisi tra­scendentale ontica della realtà storica come EDUC, dandoci modo di approfondirla ed esplicitarla nella sua inviolabile sintesi metafisica di dette due formalità, che realmente si reciprocano, risultando una stessa e identica cosa: l’EDUC, che sarà appunto tutto e totalmente ente, e tutto e totalmente prassi.

E’ anche questa una delle tante implicanze della dinami­cità, che conferisce all’ente dinamico come tale la imprescin­dibile bivalenza dell’onticità e della prassi. L’analisi da noi

 

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condotta, come puro ripensamento critico dell’EDUC e della realtà storica come EDUC, non ha fatto che accentuare tale loro natura intima, approfondendo ed esplicitando. Avverrà ora lo stesso per l’analisi essenziale della realtà storica, che si esprime innanzitutto nella sua analisi causale. Sono le quattro cause aristoteliche infatti che spiegano l’ente. Ma ente ed essenza si identificano nella realtà storica. Dunque le quattro cause ne rappresentano l’analisi essenziale più carat­teristica, che verrà da noi qui appena delineata, sempre al solo scopo di un maggiore approfondimento ed esplicitazione dell’essenza della realtà storica stessa.

Le cause di cui ci occupiamo riguardano com’è ovvio la spiegazione del solo ente contingente. Dio, che è la Causa incausata, non ha altra spiegazione all’infuori di se stesso e pertanto non ha cause. Tutti gli altri esseri invece, che, com­presa la realtà storica, in contrapposizione a Dio il quale è l’Ente necessario, sono contingenti, hanno bisogno di una causa, anzi di un complesso di cause che diano ragione di essi.

Se non ci fermiamo nelle cause prossime, ma risaliamo alle cause ultime, supreme, oppure discendiamo (ciò che può risultare più vero e significativo) nelle cause profonde, intime dell’essere, noi ci troveremo di fronte alle cause che lo spie­gano, constatando che tali cause esplicative dell’ente si posso­no ridurre alle quattro cause aristotelico-tomiste a tutti note, dette precisamente: causa formale, materiale, efficiente, e finale.

Saper individuare queste quattro cause per un determi­nato ente, oltre ad approfondirne ed esplicitarne la conoscen­za, significa avere in mano una sua chiave metafisica di estre­ma importanza teoretica e pratica. Ecco perché esse interes­sano la ricerca filosofica e teologica e in modo speciale quella dinamica. Le scienze matematiche e sperimentali, come già osservava Bacone, ci garantiscono il dominio della natura. La metafisica filosofica e teologica invece, specie se dinamica, tramite soprattutto le quattro cause dell’ente, può garantirci il dominio della realtà storica e della sua prassi.

Anche la teoria delle quattro cause è stata elaborata da Aristotele e dopo di lui dalla Scolastica, in funzione dell’ente statico. Aristotele, pur non ignorando il divenire e il moto

 

 

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metafisico, ed anzi, pur avendone elaborata con la potenza e l’atto una teoria eternamente valida, ha tuttavia ignorato l’ente dinamico come da noi inteso. Sarà quindi necessaria pure qui una qualche integrazione, impostaci dalla stessa analisi essenziale-causale della realtà storica, di cui ci occupiamo.

Staticamente, le quattro cause vengono concepite in fun­zione dell’ente, e più specificamente in funzione dell’ente se si tratta della causa efficiente e finale; ed in funzione della sua essenza, se si tratta della causa formale e materiale. Nella concezione statica pertanto, le quattro cause vengono distri­buite in due coppie di principi dell’ente: una coppia di prin­cipi intrinseci all’ente stesso, corrispondente alla causa for­male e materiale; e una coppia di principi ad esso estrinseci, corrispondenti alla causa efficiente e finale.

Per l’ente statico, la causa formale e materiale risultano principi intrinseci di esso, in quanto sono i due principi co­stitutivi della sua essenza, ognuno secondo la sua specifica natura e funzione. La causa formale infatti, tramite l’essenza di cui è il principio costitutivo determinante e specificativo, è il principio attualizzante ed unificatore dell’essere, dimodoché ogni essere effettivamente esistente dovrà possedere una forma che lo attui e lo renda uno.

La causa materiale invece corrisponde al principio costi­tutivo essenziale per sua natura puramente potenziale e in­determinato, sì da dover essere attuato da parte della causa formale. Essendo la causa materiale di natura indeterminata e dunque moltiplicabile, in sede di ente statico la sua funzione sarà quella della moltiplicazione ontologico-metafisica di es­so, in quanto ogni nuova determinazione della materia da parte della forma darà luogo ad un nuovo ente.

Sempre in sede di ente statico, causa efficiente e finale ne saranno i principi estrinseci, non soltanto rispetto all’es­senza, ma, ontologicamente, anche rispetto all’ente statico stesso. Ed invero ciò che è estrinseco alla sua essenza perché non costitutivo di essa, dovrà essere estrinseco anche al ri­spettivo ente, poiché ciò che è costitutivo è anche intrinseco, e ciò che non è costitutivo non sarà nemmeno intrinseco. Ora, la causa efficiente e finale dell’ente statico, non essendo prin­cipi costitutivi di esso, ma solo principi produttivi ed espli-

 

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cativi, ne saranno soltanto principi estrinseci, precisamente nel senso di principi produttivi ed esplicativi.

Per l’ente statico, quindi, la causa efficiente sarà il prin­cipio estrinseco produttivo dell’essere, in quanto appunto lo produce dal di fuori, e cioè attraverso l’alterità dell’essere. Ed effettivamente, come causa efficiente il padre è altro dal figlio; il Creatore è Altro dalla creatura.

La causa finale, sempre per l’ente statico, è anch’essa un principio estrinseco dell’essere, ma come causa motrice di esso nel senso di una sua spinta attrattiva. Dagli Scolastici, la causa finale viene appunto definita in questi termini: id cuius gratia aliquid fit; ciò per cui si agisce; ciò per la cui spinta attrattiva avviene qualcosa.

Riassumendo, salva la necessaria integrazione dinamica diremo brevissimamente che la causa formale costituisce at­tuando; la causa materiale costituisce venendo attuata; la causa efficiente produce; la causa finale attrae. Sono le quat­tro cause dell’essere, e dunque anche della realtà storica, di cui prospettano appunto l’analisi che chiamiamo causale. At­traverso una integrazione dinamica della rispettiva teoria, tenuta nei limiti dell’indispensabile, vediamone il significato essenziale e con esso il valore di approfondimento e di espli­citazione dell’essenza stessa della realtà storica.

 

9 – Le quattro cause come principi essenziali costitutivi intrinseci

 

L’integrazione dinamica alla teoria delle quattro cause, per quanto qui ci interessa, può riassumersi nella duplice af­fermazione della loro dinamicità, e del loro valore costitutivo intrinseco essenziale.

Cominciamo da questa seconda affermazione, che inte­ressa in modo speciale la causa efficiente e finale. Il valore costitutivo intrinseco essenziale della causa formale e mate­riale rimane infatti pacifico. Detto valore invece può fare problema per le altre due cause, concepite abitualmente come principi estrinseci al relativo essere e non costitutivi della sua essenza. Ma vale anche per esse il criterio delle metafi­siche rovesciate, che già in preventiva pone la presunzione a

 

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favore del nostro asserto. Esso richiede nondimeno una ragio­ne probativa, che diamo senz’altro.

Per metterla anzitutto a fuoco, teniamo presente che stia­mo trattando delle quattro cause in rapporto all’EDUC e alla realtà storica come EDUC, colta cioè nella sua essenza meta­fisica radicale di ente dinamico universale e concreto. E, per la stessa natura della metafisica che ci impegna, intendiamo trattarle sul piano metafisico essenziale, e non già sul piano semplicemente esistenziale, e meno ancora fenomenico.

Orbene, l’EDUC, e la realtà storica come EDUC, appunto perché ente dinamico universale e concreto comprende neces­sariamente tutta la realtà storica, traducendola appunto nell’EDUC, e per di più in ragione dell’identità tra ente ed es­senza e tra essenza ed esistenza, in campo dinamico, essenzia­lizzandola nell’essenza di esso. Tutto ciò che è realtà storica, dunque, farà metafisicamente parte dell’EDUC e dell’essenza di esso, secondo la propria natura metafisica. Ma le quattro cause della realtà storica come EDUC sono realtà storica anch’esse. Dunque fanno parte del suo essere e della sua essenza secondo la loro natura di cause, che perciò risulteranno tutte e quattro principi costitutivi intrinseci essenziali ,componendone addirittura la specifica essenza dinamica.

Anche le due cause efficiente e finale pertanto, al pari delle due cause formale e materiale, saranno principi essen­ziali costitutivi intrinseci dell’EDUC e della realtà storica come EDUC. Non solo: ma proprio dalla loro essenzializza­zione e traduzione in principi costitutivi intrinseci, dipenderà la possibilità della realtà storica stessa come EDUC. Essa infatti, in tanto è EDUC, in quanto possiede quell’essenziale divenire attivistico che la pone metafisicamente come realtà dinamica. Ma l’attivismo essenziale, implicato appunto nel suo essenziale divenire attivistico, rimane condizionato alla essenzializzazione della causa efficiente e finale. Senza questa loro essenzializzazione, e cioè senza la loro traduzione in prin­cipi costitutivi intrinseci essenziali, l’EDUC e con esso la realtà storica come EDUC risultano un non senso ontologico e logico. L’EDUC, infatti, privo del suo essenziale dinamismo efficiente e finale, resta privato del suo essenziale divenire attivistico coerente ed univoco. In una parola, viene negato nella sua dinamicità, nella sua stessa essenza di EDUC.

 

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Questa nuova ed insieme decisiva condizione delle due cause efficiente e finale, da una parte appare legata alla loro storicizzazione, e dall’altra inverte il loro rapporto metafisico col rispettivo essere, traducendole da cause estrinseche, meta­fisicamente ultime e remote, in cause intrinseche intime ed immediate.

Cominciamo dalla loro storicizzazione. Perché le due cau­se efficiente e finale possano tradursi in principi costitutivi intrinseci essenziali dell’ente dinamico, è necessario che si storicizzino, e cioè che diventino realtà storica anch’esse e formalmente siano riconosciute ed accettate come storiciz­zate. Ed invero, una causa efficiente e finale non storicizzata o non accettata formalmente come tale rimarrebbe estranea alla realtà storica come EDUC, negandosi come causa effi­ciente e finale di esso. Sarebbe un ristagnare nello schema statico, che ancora una volta renderebbe impossibile la com­prensione della realtà storica come realtà dinamica.

Alla storicizzazione che le traduce in principi costitutivi intrinseci essenziali dell’EDUC, è legata la traduzione delle cause efficiente e finale, da cause ultime e remote, in cause intime e immediate. L’intimità e immediatezza delle cause metafisiche dell’ente, infatti, non è che un corollario della loro essenzialità costitutiva intrinseca, in virtù della quale il principio costitutivo intrinseco essenziale dell’ente non può non risultare un principio intimo e immediato di esso. Ciò già risulta vero per la causa formale e materiale dell’ente statico; ma lo sarà a fortiori per tutte quattro le cause del­l’ente dinamico, precisamente per l’identità reale tra ente ed essenza, essenza ed esistenza, che gli è propria.

E lo sarà a cominciare dalla causa efficiente e finale, che dunque risulteranno non più cause remote ed ultime, ma cau­se intimissime ed immediatissime dell’EDUC, fino a imme­desimarsi con esso.

 

 

10 – Dinamicità e secondo grado

 

L’integrazione dinamica della teoria delle quattro cause non si esaurisce nell’affermare l’essenzialità costitutiva in­trinseca di ognuna di esse, ma importa soprattutto l’afferma­zione della loro natura dinamica, che oltre al resto le pone

 

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come enti di secondo grado.

Affermare le quattro cause come cause dinamiche, signi­fica immetterle nella dialettica della metafisica realistico-dinamica, ed immettere la stessa dialettica della dinamicità dentro di esse. Ed è appunto dalla dinamicità che nasce la loro condizione del tutto particolare. Già abbiamo visto sgor­gare da essa l’essenzialità costitutiva intrinseca per la causa efficiente e finale. Ma la dinamicità appare rinnovatrice anche della stessa causa formale e materiale, non già nel senso che cessino di essere principi costitutivi intrinseci essenziali, ma in quanto, sempre per l’identità reale fra ente ed essenza dinamica, lo saranno nel modo più pieno e totale sia rispetto all’essenza che all’ente dinamico.

In virtù della dinamicità, inoltre, le quattro cause parteciperanno le quattro proprietà essenziali dell’ente dinamico risultando cause dinamiche di natura sintetica, concreta, ac­cidentale e transpersonale.

Come cause dinamiche sintetiche innanzitutto, non sa­ranno concepibili analiticamente, sì da risultare separate o separabili le une dalle altre, e nemmeno distinte realmente. Ognuna di esse, con la propria inviolabile formalità, compe­netra le rimanenti e ne viene compenetrata, sì da non poter concepire in concreto la causa formale dinamica, ad esempio, senza vederla contemporaneamente nella causa efficiente, materiale, finale, ed in sintesi con esse. Pensarla diversa­mente, sarebbe cadere in quel tipo di analisi e di astrazione che risulta ontologicamente e logicamente incompossibile con la dinamicità dell’ente e della realtà dinamica.

Dicasi altrettanto delle altre cause. La causa efficiente non sarà metafisicamente e dinamicamente tale, se non in quanto portatrice e donatrice di forma alla causa materiale, e realizzatrice della causa finale, attraverso quella immanen­tizzazione reciproca che viene imposta dalla stessa dinami­cità, la quale rimarrebbe bloccata senza di essa.

Egualmente, se ci appelliamo alla causa finale nella sua dinamicità e concretezza, constatiamo che anch’essa nasce onticamente dalla causa efficiente e si realizza attraverso la mediazione della causa formale e materiale, non più come primum in intentione et ultimum in executione, ma come realizzazione contemporanea all’ente dinamico stesso. Dina-

 

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micamente infatti la causa finale non è che lo stesso ente dinamico in quanto si realizza sotto la spinta sinergica delle quattro cause in esso sintetizzate.

Quanto alla causa materiale in senso dinamico, si tenga presente che essa non è effettivamente tale se non nella mi­sura che cade sotto l’azione della causa efficiente che la attua per mezzo della causa formale per la costruzione del rispet­tivo ente dinamico, ossia per la contemporanea realizzazione della causa finale.

Dire pertanto che le quattro cause dinamiche sono sinte­tiche, significa affermare non soltanto una loro giustapposi­zione come principi costitutivi dell’essere, ma affermare la loro reciproca compenetrazione e immanentizzazione, sì da risultarne una sintesi ontica ed essenziale, che sarà tale non solo rispetto al terminus ad quem e cioè all’essenza e all’ente che ne risultano, ma anche rispetto al terminus a quo, ossia alle quattro cause come loro principi costitutivi. Ed invero, la sintesi dell’essenza e dell’ente dinamico, effettuale rispetto alle quattro cause che la producono, non può porsi, pena la violazione dello stesso principio di causalità, che come effetto della loro sinteticità causale, e cioè della loro stessa dinami­cità che ne opera la sintesi e le rende operative della sintesi.

Ora, alla dinamicità e sinteticità è legata la concretezza, e cioè la presenza dell’ente dinamico concretamente esistente. Le quattro cause dinamiche, pertanto, dovranno consistere in enti dinamici – ossia in enti di secondo grado – concretamente esistenti. Tale dovrà essere la causa efficiente. E tale la causa formale, materiale, nonché la causa finale. Non saranno però enti di secondo grado metafisicamente auto­nomi, ma bensì parte essenziale dell’ente dinamico a cui si riferiscono: per noi qui, dell’EDUC, e della realtà storica come EDUC.

Le quattro cause infatti, come si è detto, rappresentano l’analisi causale dell’essenza e dell’ente dinamico, e cioè sono parti ontiche ed essenziali di esso, benché parti eminente­mente sintetiche e addirittura sintetizzatrici, sì da dar luogo alla pura analisi di approfondimento e di esplicitazione che ormai conosciamo.

Ciò posto, diremo che la causa efficiente dell’EDUC e con esso della realtà storica, cesserà di essere ente di primo

 

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grado, per diventare ente di secondo grado ossia ente dina­mico. Non però ente autonomo, ma come parte essenziale di esso, sì da esserne metafisicamente causa, solo in quanto è e si accetta come sua parte essenziale. Del pari la causa for­male non sarà più concepibile come forma sostanziale, ma sarà anch’essa ente di secondo grado, non però autonomo, ma come parte, principio essenziale, forma dinamica dell’EDUC e della realtà storica come EDUC, soggetta anch’essa all’es­senziale divenire attivistico dell’ente dinamico, che si trasfe­risce così alla forma dinamica.

La stessa causa materiale, ben lungi dal risolversi nella materia prima o in una materia seconda a rilevanza puramente tecnica od artistica, sarà già essa ente di secondo grado e dunque ente dinamico: ma ente dinamico che rinun­cia alla sua autonomia ontica per offrirsi alla forma dina­mica metafisica dell’EDUC, la quale lo trascende e lo traduce in una nuova sintesi superiore ed anzi suprema, conferendogli la sua specifica natura e funzione di causa materiale di se­condo grado.

La causa finale, per ultimo, coincidendo con lo stesso EDUC che si realizza e con la realtà storica in quanto si realizza come EDUC non potrà non essere ente di secondo grado, coincidendo con lo stesso ente dinamico della cui di­namicità esprime lo sbocco effettuale concepito anch’esso onticamente e dinamicamente come ente dinamico effettuale sempre in via di realizzazione, fino al suo sbocco finale che dovrà consumare in modo definitivo la spinta escatologica dell’EDUC e della realtà storica come EDUC.

Concludiamo pertanto questa nostra elementare analisi essenziale-causale della realtà storica come EDUC, insistendo sulla dinamicità e il secondo grado delle sue quattro cause. Le quattro cause metafisiche essenziali (e non semplicemente esistenziali o fenomeniche) della realtà storica sono sempre ente dinamico e dunque cause dinamiche e di secondo grado, nel loro specifico significato di principi costitutivi intrinseci essenziali della realtà storica come EDUC.

 

 

 

 

 

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CAPO III
FORMA METAFISICA E FORMALITÀ TRASCENDENTALI

 

I – Sintesi metafisica ontica e causale della realtà storica.

Che l’analisi della realtà storica da noi fatta sinora, altro non sia che un ripensamento critico della sua essenza di EDUC in ordine ad un suo approfondimento ed esplicitazione può apparire chiaro dal ripensamento essenziale sintetico a cui ora dobbiamo tornare, per riprendere il nostro discorso metafisico sopra l’essenza della realtà storica stessa.

Realtà totalmente ontica e totalmente praxiologica, la realtà storica nella sua essenza metafisica di EDUC. Ma è tale, unicamente in virtù della sua dinamicità che sintetizza l’uno e l’altro aspetto nell’essenzialità dell’EDUC e nella sua unità, non già come comprincipi dell’ente dinamico stesso e della sua essenza, ma come aspetti trascendentali di essi, sì da indurne la reciprocità nonché l’equivalenza e identità rea­le, pur nella loro inviolabile distinzione formale.

Ciò rimane vero sempre e soltanto se la prassi viene colta nel suo significato ontico dinamico che la contrappone alla attività concepita personalisticamente. Dicasi altrettanto per il significato dell’aggettivo «praxiologico» per noi ben diverso da quello dell’analogo aggettivo «prassiologico», in quanto il primo viene assunto come l’oggettivazione della prassi in senso realistico dinamico, mentre il secondo non va oltre il significato di una attività od azione, a valore per­sonalistico, restando un’aggettivazione dell’attività personale.

La realtà storica, dunque, metafisicamente sarà tutta en­te e tutta prassi, semplicemente perché è ente dinamico, la cui sinteticità raggiunge uno dei vertici massimi precisamen­te nella sua trascendentalità ontica e praxiologica, che altro non è se non la trascendentalità dell’ente dinamico stesso «sempre inteso e già metafisicamente interpretato come EDUC.» Tramite la dinamicità, onticità e prassi si ricollegano al­l’esistenza essenzializzata dell’EDUC, ossia al suo essenziale divenire attivistico, esplicitandone il duplice aspetto ontico e praxiologico in funzione della sua esistenza, diveniristica ed attivistica ad un tempo. Come già si è constatato, è tale esi-­

 

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stenza essenzializzata che assume un ruolo preminente nell’ente dinamico e nella sua essenza, conferendo loro, tramite il superamento della distinzione reale fra essenza ed esisten­za, quella consistenza ontica e praxiologica diveniristica ed attivistica ad un tempo, che rappresenta la caratteristica con­figurazione metafisica dell’EDUC e della realtà storica come EDUC.

Ma onticità e prassi non esprimono la loro divenienza ed attivismo essenziali, se non attraverso la mediazione delle quattro cause, che pongono EDUC e realtà storica nel loro essere metafisico integrale e concreto, del quale onticità e prassi rappresentano la trascendentalità formalmente biva­lente e realmente unitaria.

Ne segue che la realtà storica come ente ed essenza andrà vista contemporaneamente come sintesi ontica e causale, nel­la ricchezza delle esplicitazioni già fatte e da farsi, sì da saperla concretamente ripensare, nella sua sintesi metafisica, e come onticità e come prassi, e come causa efficiente, for­male, materiale e finale.

Onticità e prassi infatti, senza le quattro cause e dunque al di fuori della integrale ed essenziale concretezza della realtà storica, rimarrebbero una bivalente formalità vuota di contenuto e di direzione. Ma anche le quattro cause, al di fuori della sintesi ontica e praxiologica, cesserebbero di esse­re cause dinamiche ed effettivamente sintetiche, nel senso illustrato sopra di una loro reciproca ed attiva sintetizza­zione. Questa infatti viene ad essere mutuata dall’onticità e dalla prassi, che investendo trascendentalmente le singole cause conferiscono alle medesime la dinamicità, fatta di onti­cità attivistica e di prassi diveniente che è loro propria.

Tutto ciò appare effettivamente vero sul piano della con­siderazione metafisica essenziale della realtà storica e delle sue quattro cause, la quale del resto è l’unica considerazione che interessa qui il nostro studio, che è appunto lo studio metafisico della realtà storica. Sul piano esistenziale e feno­menico, infatti, la sintesi torna a frantumarsi in enti di primo grado o anche di secondo grado, nonché in dati di esperienza, multipli; e le quattro cause con la loro considerazione pren­dono altri indirizzi.

In modo speciale soggiacciono alla dialettica esistenziale

 

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e fenomenica la causa efficiente e finale, pel fatto stesso che si pongono di nuovo in rapporto con l’agire di tipo persona­listico nel quale prevale la molteplicità dei valori e dei fini non sanabile ontologicamente da alcuna scala o gerarchia. In modo specialissimo la causa efficiente della realtà storica, pel fatto che si tende a identificarla sul piano esistenziale e feno­menico, nonché operativo empirico, con la persona umana, viene ad assumere una direzione centrifuga rispetto all’es­senza della realtà storica come EDUC, rivestendo un signifi­cato personalistico affatto diverso da quello della causa effi­ciente di essa, in senso metafisico essenziale.

Ed invero, in quest’ultimo senso, la causa efficiente della realtà storica risulta ovviamente la realtà storica stessa come EDUC, che appunto attraverso la prassi si autocostruisce. Mentre la causa efficiente di essa in senso esistenziale e fenomenico torna ad essere la persona umana, anche se ri­mane sempre vero che l’uomo si agita e Dio lo conduce, come diventa vero, sul piano storico esistenziale, che la persona umana si agita e l’EDUC la conduce. In altre parole la causa efficiente dell’EDUC è «transpersonale», mentre la causa efficiente «umana» nello schema metafisico statico rimane sempre la persona umana autonoma (e sovrana) come ente di primo grado.

Ne segue che lo studio della causa efficiente in senso metafisico essenziale della realtà storica si compie di pari passo con l’approfondimento di essa come EDUC, mentre il suo studio sul piano esistenziale, fenomenico ed operativo «prassiologico», rimane estraneo come tale alla metafisica della realtà storica esaurendosi nello schema personalistico. Oppure, un suo studio anche su tali piani, per essere dina­micamente adeguato e realisticamente valido, dovrà tener conto della causa efficiente in senso metafisico dinamico es­senziale, subalternandosi di conseguenza alla metafisica della realtà storica stessa.

La causa finale della realtà storica, intesa anch’essa in senso metafisico essenziale, coincide, come già si è accennato, con la realtà storica come EDUC, non già in quanto attivi­sticamente si autocostruisce con la sua prassi; bensì in quan­to effettualmente vien costruita. Non comunque, però: ma in funzione delle sue ultime e definitive determinazioni es-­

 

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senziali concrete, che (come vedremo a suo tempo) saranno organico-teologiche, od organico-ateologiche.

Risulta da questa sua specifica natura, che detta causa finale dovrà interessare in modo specialissimo la teologia, prospettando degli sviluppi teoretici e dottrinali che evadono dalla metafisica della realtà storica come tale, benché questa ne risulti una premessa metodologica strumentale possiam dire indispensabile.

Pertanto, come prescindiamo da uno studio diretto delle articolazioni esistenziali della causa efficiente della realtà storica così prescinderemo dagli sviluppi teologici della sua causa finale pur non ignorando i rapporti con essi da parte della nostra metafisica.

Di conseguenza, qui ci concentriamo sulle due cause che decidono dell’essenza della realtà storica come EDUC, e che ne favoriscono gli approfondimenti e le necessarie esplicita­zioni, ponendo ad un tempo le basi della sua causa efficiente e creando le fondamentali prospettive per la sua causa finale.

 

2 – Forma e materia

 

Le due restanti cause a cui alludiamo sono precisamente la causa formale e la causa materiale, che per comodità di espressione ed anche per una sfumatura di significato che ne consegue, chiameremo semplicemente forma e materia. Pri­ma di individuarle nell’essenza della realtà storica, torniamo a misurarne il significato, per poterne apprezzare il valore e la portata. Si tratta di cause essenziali della realtà storica come EDUC, e dunque di cause dinamiche e sintetiche, se­condo il tipo di dinamicità e sinteticità che è già stato pre­cisato.

Ora appunto, in virtù di tale dinamicità e sinteticità, causa formale e materiale si compenetrano a vicenda e com­penetrano, sempre in senso metafisico essenziale, anche la causa efficiente e finale della realtà storica, venendo a loro volta da esse compenetrate. Causa formale e materiale per­tanto non è già che si identifichino semplicemente fra di loro e con la causa efficiente e finale: ciò che viene impedito dalla loro specifica formalità e sarebbe del resto una violazione del principio di contraddizione. Ma compenetrano, si trovano

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compresenti, nella causa efficiente e finale, nonché fra di loro, rispettivamente come forma e materia.

Forma e materia, quindi, diventano espressione di que­sta reciproca compenetrazione, accentuando non tanto la di­stinzione formale tra le varie cause, quanto piuttosto la loro competenza e compenetrazione in ciascuna di esse, pur nella propria assoluta irriducibilità di forma e materia. Causa ef­ficiente e finale invero, saranno riducibili a forma e materia (non a causa formale e materiale, per la ragione detta). Ed anche la stessa causa formale e materiale potranno apparire come una combinazione di forma e materia. La forma tutta­via sarà irriducibilmente forma; e la materia non sarà che materia, di per sè priva di valore e di funzione di forma.

Se vogliamo brevemente darci conto di questa partico­lare situazione, possiamo tornare al confronto tra ente statico ed ente dinamico. Per il fatto che causa efficiente e finale sono principi estrinseci dell’ente statico, come tali non pos­sono ammettere alcuna competenza o compenetrazione con la causa formale e materiale, che sono principi costitutivi intrinseci di esso. Questi, riferiti all’ente statico, rimangono una privativa dell’essenza di esso. Non solo, ma come sem­plici principi ammetteranno la propria composizione nel ri­spettivo ente ma non in se stessi, sicché per l’ente statico la causa formale è solo forma e la causa materiale solo materia.

Causa formale e materiale dell’ente dinamico invece come abbiamo detto, sono già esse stesse ente di secondo gra­do e dunque sintesi dinamica ossia attivisticamente divenien­te, aprendo così la via a quella competenza e compenetra­zione che risulta inseparabile dalla dinamicità dell’ente di­namico e delle sue cause, nella misura della sua dialettica alla quale obbedisce.

E’ appunto questa diversa situazione della causa formale e materiale nell’ente dinamico, che dà origine ad un signifi­cato di forma e materia non più riservato alle loro specifiche cause, ma allargato alle quattro cause dell’ente dinamico, sicché ognuna di esse risulti composta di forma e materia, in quanto precisamente in virtù della suddetta competenza e compenetrazione, anche la causa efficiente e finale parteci­pano della causa formale e materiale.

Metafisicamente, pertanto, nell’ente dinamico forma e

 

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materia non si esauriscono più nell’essenza di esso, ma sono coestensive all’ente dinamico stesso, innanzitutto per la sua identità reale con la sua essenza, e inoltre per la conseguente ragione della loro compenetrazione da parte della causa ef­ficiente e finale. Da tale stato di fatto segue nell’ente dina­mico un meccanismo causale a condizionamento reciproco, per cui ogni singola causa sarà effettivamente quella data causa dinamica nella misura che comprende in sintesi le altre cause, le sintetizza e viene da esse sintetizzata.

Così, ad esempio, la causa efficiente in tanto sarà meta­fisicamente e dinamicamente tale, in quanto è EDUC già «formato», ossia causa finale dinamica già parzialmente rea­lizzata. Ma per ciò stesso risulterà anche causa formale, perché possiede in qualche misura la forma. E mediante la for­ma, che già redime la sua propria materia, sarà in grado di porsi in efficiente contatto con la causa materiale presa nel suo senso più pieno.

Un ragionamento analogo si deve ripetere per le altre tre cause, compresa la causa formale che più direttamente ci interessa, per la quale dobbiamo dire quanto segue. In tanto essa sarà causa formale dell’EDUC e della realtà storica come EDUC, in quanto sarà forma di tutto l’EDUC, e dunque delle quattro cause che Io costituiscono, attraverso una reciproca identificazione non già indiscriminata, ma ben qualificata. Ve­diamole singolarmente, ricominciando dalla causa efficiente.

Essa sarà veramente tale, in quanto sarà «formata», e cioè nella misura che possiede la forma. La causa efficiente e dinamica infatti sarà metafisicamente tale risultando effet­tivamente produttrice dell’ente, in quanto è portatrice di for­ma, senza la quale si ridurrebbe ad una causa metafisica­mente illusoria. Sarà dunque causa efficiente effettiva, nella misura che è formata e nella misura che dinamicamente si autocostruisce essa stessa maggiorando la sua forma.

Quanto alla causa finale, basta concepirla dinamicamente per afferrarla senz’altro come lo sbocco sinergico effettuale della causa efficiente, formale e materiale. Ed invero, la cau­sa finale dinamica non è che la forma realizzata o realizzan­tesi nella materia sotto la spinta della causa efficiente.

Che poi la causa materiale interessi la forma è superfluo il dichiararlo, essendo essa in funzione della causa materiale.

 

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Ma lo è tramite le altre cause, sotto il cui dominio si trova ‘

in regime di solidarietà e collaborazione. La causa materiale dinamica infatti è già essa stessa ente di secondo grado, e dunque non materia puramente passiva, ma solidale e colla­borante con le altre cause dinamiche, in funzione recettiva o anche veicolare di forma, poiché la recettività e la veicolarità della forma sono appunto le due caratteristiche della causa materiale dinamica.

Ma, dall’esame della forma nelle altre cause, passiamo all’esame di queste nella forma, che rappresenta il nostro attuale centro di interesse, nonché, come dovremo tosto con­statare, un centro di interesse metafisico preminente.

La forma, per sua intima natura è attualizzante. Ciò vale anche per la forma essenziale dell’ente dinamico. Ma per le compresenze e compenetrazioni ontiche e sinergiche suespo­ste, la forma dinamica, oltre ad essere attualizzante, è anche forma causale, effettuale, e materiata, secondo che si trova nella causa efficiente, finale e materiale, qualificandole e ve­nendone qualificata, assorbendole e venendone assorbita.

Ne segue una polivalenza della forma dinamica che la adegua all’ente dinamico e alle sue quattro cause nel modo che le è proprio ed esclusivo. Ed invero la causa efficiente si adegua all’EDUC come prassi; la causa finale si adegua al­l’EDUC come onticità diveniente. Ma la forma, in virtù della polivalenza suddetta, si adegua all’EDUC come onticità e come prassi.

E poiché la stessa materia dinamica si trova distribuita in tutto l’EDUC attraverso la gamma delle sue cause ne segue che l’EDUC, in virtù della sua forma dinamica, potrà concepirsi come sintesi di forma e materia, in funzione di una sua sintesi ontica ed essenziale metafisicamente e dina­micamente adeguata.

E’ anche questa un’altra conseguenza dell’identità reale per l’EDUC tra ente ed essenza, che lo rende metafisicamente interpretabile come forma e materia dinamiche, aprendo la via ad un indiscutibile primato assoluto e totale della forma.

 

3 – Il Divino come forma e l’umano come materia

Dopo gli approfondimenti e le esplicitazioni sinora fatte a proposito dell’essenza della realtà storica come EDUC, con

 

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clusesi nel porre in evidenza la preminente singolarità e fun­zione della sua forma dinamica; e prima di illustrare il con­seguente primato di questa, è ormai necessario specificare la causa formale stessa, e correlativamente la causa materiale dell’EDUC. Lo facciamo, riferendoci al loro senso più pieno di forma e materia, e dichiarando senz’altro che la forma dinamica dell’EDUC è il Divino, mentre la sua materia an­ch’essa dinamica, è l’umano.

L’affermazione va ovviamente riferita alla realtà storica appunto come EDUC, alla quale si applica e nella quale si invera con tutti gli approfondimenti e precisazioni rese pos­sibili dalla sua concretezza essenziale piena, rivelanti in qualche modo nel dato di esperienza offerto dalla sua concretezza esistenziale.

La prima precisazione da farsi è questa: che nella con­cretezza della realtà storica sarà forma ciò che rispetto ad essa assume il ruolo di Assoluto, sia esso il vero Assoluto coincidente col Divino vero, sia esso un falso Assoluto nega­tore di quello. Metafisicamente tuttavia, detta negazione non si pone attraverso una semplice equivocazione esistenziale o fenomenica del Divino, come solitamente si è verificato nelle religioni pagane tradizionali; ma si pone attraverso il formale rifiuto del Divino vero, sia che esso si effettui sul piano essenziale, od esistenziale, o anche semplicemente fenome­nico ed operativo, della realtà storica stessa.

In ciascuna delle ipotesi fatte, sia pure con incidenze diverse, al vero Assoluto si contrapporrà il falso Assoluto al Divino vero l’Antidivino, sostituendo in tal modo la forma metafisica vera della realtà storica come EDUC, con una for­ma metafisica falsa, che chiameremo pseudoforma.

Sarebbe fuori luogo inoltrarci qui nella dialettica della forma in quanto è divina. In questo senso, essa interessa piuttosto una teologia dinamica e una scienza realistico-dina­mica delle religioni[1]. Al contrario, la realtà storica viene interessata dal Divino (e purtroppo anche dall’antidivino) non già in quanto «Divino», ma in quanto è forma meta­-

 

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fisica della realtà storica stessa. E il Divino sarà forma di essa come EDUC, evidentemente, e tramite la dialettica del­l’EDUC. Il Divino infatti è la forma metafisica della realtà storica nella sua essenza di EDUC.

Dal nostro studio ontologico dell’ente dinamico, già sap­piamo che la dialettica dell’EDUC impone innanzitutto la interpretazione di esso come ente dinamico universale e con­creto. Da noi è chiamato EDUC precisamente per questo. Ed è ente reale, perché universale concreto. Ed è uno ed unico perché concreto e reale universale. E lo è, a cominciare dalla sua essenza metafisica, che d’altronde si identifica con esso.

Ora, come qualsiasi altro ente reale impastato di materia sensibile, pur non appartenendo al mondo della natura fisica anche l’ente dinamico universale e concreto che appartiene al mondo della realtà storica ed anzi come categoria ontolo­gica ne è la chiave metafisica interpretativa, dovrà risultare composto di materia e forma, pena la sua inconsistenza ontica e il crollo della sua unità metafisica e specifica. Questo era il postulato dell’onticità dell’EDUC ancora come categoria ontologica, già risolvibile a priori come esigenza ontica, ma da risolversi anche e in modo speciale a posteriori., in sede di EDUC come essenza-chiave della realtà storica.

Sarà dunque veramente il Divino la forma della realtà storica come EDUC, e l’umano, la materia di essa sempre come EDUC? La ragione probante emerge dalla stessa esi­genza ilemorfica dell’EDUC, e dalla natura e funzione del Divino come forma.

La realtà storica universale, per comporsi metafisica­mente in EDUC, abbisogna di una effettiva sintesi ontica che la assuma integralmente e totalmente come materia, per at­tualizzarla in funzione di una forma, capace di dominarla totalmente e integralmente secondo la sua natura di realtà dinamica. La realtà storica infatti, come dato di esperienza corrisponde alla realtà umana esistenziale, la cui moltepli­cità, complessità, diversità e dispersione nello spazio e nel tempo, appare quasi infinita ed insanabile.

Ma allo stesso tempo si tratta di una realtà umana esi­stenziale che attraverso la sua stessa costruttività e dinami­cità sia pure ancora semplicemente fenomenica, all’osserva­tore cosciente si rivela protesa verso una sua sintesi, e come

 

 

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estremamente bisognosa di unità e di una sua intima consi­stenza ontica, ponendosi appunto come concreto problema dell’ente di secondo grado, la cui dialettica è precisamente quella dell’ente dinamico come categoria ontica condotta fino alla sua esplicitazione metafisicamente risolutiva di EDUC.

Tutto sta a vedere, quindi, se esisterà effettivamente una forma capace di tanto. Una forma cioè, capace di dominare la realtà storica universale e totale, sì da attuarla, attraverso una sintesi ilemorfica ontica ed essenziale, nella sua consi­stenza, unità e specificità di ente dinamico universale e concreto. Perché sia tale, la forma in questione dovrà risolversi in una forma dinamica polivalente, quale è emersa nel suo dover essere, dall’approfondimento fatto sopra: forma attualizzante, causale, effettuale, e materiata ad un tempo. E per altro verso, dominatrice, della realtà storica totale.

Ora precisamente, non è che l’Assoluto e cioè il Divino che possa assolvere il ruolo di una tale forma. L’Assoluto vero, o l’Assoluto falso. Il Divino, o l’Antidivino. Poiché solo esso è in grado di imporsi all’uomo e dominare la realtà umana esistenziale tutta quanta. Ma deve trattarsi di un Assoluto che s’incarni nella realtà storica, si storicizzi, di­venti realtà storica esso stesso, appunto come forma. E dovrà incarnarvisi come forma dinamica, perché appunto forma della realtà storica come realtà dinamica e diventata realtà storica essa stessa.

Né basta ancora. Dobbiamo aggiungere che si tratterà di forma dinamica religiosa, o almeno a valore religioso, poiché il Divino (o l’Antidivino) storicizzato nella forma, dovrà e potrà venire accettato come tale, soltanto diventando forma dinamica religiosa, o a valore religioso. Il Divino infatti, in tanto diventa forma della realtà storica, in quanto vi si in­carna come forma e viene assunto come forma di essa. Il che è solo possibile con la mediazione della religione. In altre parole, è solo possibile in quanto il Divino si traduce in forma dinamica religiosa, o per lo meno a valore religioso[2], come avviene in sede di ideologia come anima della prassi.

 

 

 

4 – Religione e realtà religiosa

 

L’elementare introspezione del Divino da noi fatta, quale forma della realtà storica come EDUC, ce l’ha rivelato nella sua intima natura di forma dinamica «religiosa», (o a valore religioso) come effettiva ed unica forma metafisica possibile di essa, a livello ontologico-dinamico supremo. Si tratta di una acquisizione talmente importante, valida sia per una me­tafisica «teologica », che «ateologica», della realtà storica, da richiedere una sua immediata ulteriore messa a punto.

L’aggettivo «religioso» ci richiama automaticamente la religione, la quale a sua volta s’innesta in uno schema men­tale già acquisito, che potrebbe anche importare un senso non adeguato e non adeguabile a quello dell’aggettivo a reli­gioso» da noi attribuito alla forma dinamica divina della realtà storica e alla realtà storica stessa come realtà religiosa. Esso infatti si riconnette con la religione, richiamandoci la religione stessa.

Ne è certo uno degli elementi principalissimi, per non dire l’elemento principalissimo in modo assoluto. Si tratta della religione intesa come «essere », quale si pone nel con­testo di una metafisica realistico-dinamica della realtà sto­rica e realtà storica essa stessa.

La religione, appunto come realtà storica, non può sot­trarsi al proprio problema ontico, poiché la realtà storica è essere, e dunque anche la religione come realtà storica sarà essere.

Ma l’essere della realtà storica importa i quattro piani a noi ben noti, ognuno dei quali invera la realtà storica – o un elemento della realtà storica – secondo la propria natura e funzione. Come realtà storica pertanto, anche la religione invererà il suo essere totale in modo diverso nei quattro piani suddetti, sì da presentarsi diversamente secondo che la si consideri sul piano operativo, fenomenico, esistenziale, od essenziale.

L’importante sarà non mutilare la religione come realtà storica esaurendola in qualche piano dell’essere, anziché sa-

 

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perla cogliere e valutare nei suoi quattro piani, a cominciare, se mai, dal piano essenziale, che rappresenta la chiave meta­fisica degli altri, e della sintesi ontica di tutti.

La religione, come dato di esperienza globale e global­mente interpretato, si manifesta come una espressione di vita, rivelando la sua intima natura di vita in rapporto di salvezza col Divino. Non è perciò da stupirsi che una iniziale riflessione ascetico-morale l’abbia situata sul piano vitale ope­rativo dell’essere, interpretandola come la virtù che inclina a dare a Dio il culto dovuto.

I moderni osservatori più solleciti forse dell’indagine scientifico-positiva sulla religione che non della sua messa in pratica, l’hanno invece situata di preferenza sul piano feno­menico, riducendo la religione stessa ad una fenomenologia diversamente interpretata e variamente interpretativa della religione stessa.

Una sua considerazione più adeguata, più profonda e più vera, di ispirazione filosofico-teologica, l’ha proiettata sul pia­no esistenziale immergendola nell’intimo della vicenda uma­na, sia individuale che collettiva, tanto passata che presente e persino futura, indagandone gli aspetti soggettivi e ogget­tivi, in linea genetica, funzionale e costitutiva.

Ne è nata così una vasta letteratura, che va dalla filoso­fia e scienza della religione, alla teologia della storia, come storia della salvezza, a un numero sempre crescente di di­scipline che ne affrontano per la teoria e per la pratica i temi vitali più disparati.

Ma è ancora una letteratura che non riesce a varcare i confini del piano esistenziale della religione, non perché vi si chiuda di proposito, ma perché rimane sprovvista di una valida e realistica chiave di apertura sul piano essenziale del suo essere. L’essenza esistenziale della religione infatti, non ne è ancora l’essenza ontica, poiché il piano esistenziale avul­so dal suo piano essenziale non si redime in definitiva dalla fenomenologia, per quanto possa venire nutrito da raffinati ed elevatissimi elementi metafisici anche di indole teologica o addirittura mistica.

La ragione si è che la reale e realistica essenza ontica della religione come di qualsiasi altra realtà storica, è solo attingibile attraverso l’ente che la contiene, e dunque attra-

 

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verso la religione stessa come realtà storica e come essere non però attraverso l’esistenza, che non la contiene. Ed invero benché l’esistenza si trovi necessariamente in rapporto con l’essenza e sia chiamata ad esprimerla anche attraverso la sua fenomenologia, sta di fatto che ciò si opera automaticamente e fecondamente solo per l’ente statico in natura rerum e per merito della natura, che garantisce la essenza reale a cui è legata l’esistenza e da cui la fenome­nologia emana.

Ma, diversamente dalla natura rerum, nel campo della realtà storica nulla risulta garantito, poiché la sua essenza reale dinamica deve venir garantita essa stessa, attraverso un incessante conato di adeguamento tra essere e dover es­sere, e dunque tra l’esistenza con la connessa fenomenologia, e l’essenza che la riguarda. Ne consegue che senza passare attraverso la metafisica del rispettivo essere, l’esistenza e la connessa fenomenologia non solo non saranno rivelatrici del­l’essenza, ma nonostante la buona volontà in contrario, si risolveranno fatalmente in una discordanza da essa più o meno conclamata, per la ragione che, ignorando l’essenza rea­le che debbono incarnare, viene loro a mancare la stessa pie­tra di paragone per la loro necessaria congrua adeguazione esistenziale e fenomenica con l’essenza suddetta.

Tant’è vero che l’essenza esistenziale della religione non la si fa andare oltre il suo schema etico-rituale-dogmatico, dal punto di vista oggettivo; e soggettivamente si risolve la religione o la fede nel riconoscimento ed accettazione di Dio come salvezza, sia pure attraverso quella scelta fondamentale, che rappresenta il supremo esercizio della libertà, il quale impegna per sua natura tutta e totalmente la vita, e parrebbe esaurire in radice il problema religioso dell’uomo.

Ma questa pur ricchissima e fecondissima essenza esi­stenziale della religione, non ne è ancora l’essenza ontica. Non ne coglie quindi ancora interamente la natura e la fun­zione. E’ possibile anzi, che in qualche modo vi contrasti creando complicazioni impreviste e forse insolubili, o precludendo la strada a problemi ulteriori.

La differenza radicale fra le due essenze nasce precisamente da questo, che l’essenza esistenziale coglie e presenta la religione come vita; mentre l’essenza ontica la coglie e la

 

 

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presenta come essere, come realtà storica, e quindi anche come ente dinamico, aprendo la strada all’intera problematica realistico-dinamica.

La conseguenza che immediatamente c’interessa diventa per noi intuitiva: solo attraverso la religione come realtà religiosa, e dunque solo attraverso la sua essenza ontica, si può cogliere la realtà non solo esistenziale, ma anche essenziale della religione. E solo attraverso questa sua realtà essenziale la forma metafisica della realtà storica potrà essere il Divino storicizzato, precisamente come forma dinamica religiosa, che a livello ontologico-metafisico essenziale, tradurrà l’intera realtà storica in realtà religiosa.

Nasce così, a rigor di termini, un triplice problema meta­fisico: il problema dell’essenza ontologico-dinamica della religione come tale; il problema dell’essenza ontologico-dina­mica dell’intera realtà storica; e il problema dell’essenza ontologico-dinamica della realtà storica profana.

Cominciando dal primo, ci occupiamo qui dell’essenza ontica della religione come realtà religiosa (il quale di per sè è un problema di metafisica della religione), nella misura necessaria per chiarire il nostro senso dell’aggettivo «reli­gioso», che è il suo nuovo senso metafisico ontologico-dina­mico, e per giustificare la forma metafisica della realtà sto­rica come forma dinamica religiosa.

 

5 – Realtà religiosa come realtà storica e come religione.

Nell’ipotesi (la quale per quanto si è detto per noi ha già valore di tesi) che la forma metafisica della realtà storica sia veramente il Divino come forma dinamica religiosa (o a valore religioso), segue senz’altro che la realtà storica stessa sarà in qualche modo realtà religiosa. Si trova infatti attua­lizzata e posta nella propria unità e nel suo essere di EDUC, da una forma metafisica religiosa, venendo da essa specifi­cata in realtà religiosa. Ma non per questo si identificherà con la religione.

Di qui il problema dell’essenza ontica della religione o più esattamente della realtà religiosa come religione, che differirà dall’essenza esistenziale della religione, nella misura che la realtà storica totale differisce da ciò che esisten­-

 

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zialmente appare ed è religione. Com’è ovvio, esistenzialmente la religione non è tutta la realtà storica, ma ne rap­presenta unicamente il settore del «sacro» in contrapposi­zione al settore «profano» di essa. Di conseguenza, la reli­gione non potrebbe esserne la forma essenziale adeguata. Al più, ne sarebbe una forma esistenziale sacrale e sacralizzante.

Onticamente tuttavia, dobbiamo affermare che tutta la realtà storica è realtà religiosa, compresa la realtà storica profana, benché non tutta sia sacrale o sacralizzata né sacra­lizzabile.

Ne segue che la realtà religiosa comprende tutta e inte­gralmente la realtà storica, non come religione tuttavia, ma come realtà storica e in virtù della forma religiosa di questa. In virtù della forma metafisica religiosa, infatti, la realtà storica non può non essere onticamente tutta e totalmente religiosa, perché appunto la forma sopraddetta ne specifica l’essenza in essenza religiosa, e per l’identità reale fra ente ed essenza che le è propria, la specifica in «religiosa » anche come realtà storica ossia come ente dinamico universale e concreto.

La realtà religiosa così intesa, tuttavia, ha valore onto­logico e non sacrale, e rischia di rimanere ambigua. Rispec­chia infatti l’essenza della realtà storica, connotandone uno speciale profilo, ma non esprime l’essenza della religione. Con più precisione, la realtà religiosa ben distinta dalla reli­gione si pone al vertice metafisico della realtà storica, da cui partono i due versanti del mondo religioso e del mondo profano.

Per chiarire di più la questione, è necessario anzitutto operare il passaggio realistico dal piano esistenziale al piano essenziale della religione, che le compete precisamente come essere. Il punto cruciale dell’interpretazione metafisica della religione, e con essa di ogni altra realtà storica, è proprio questo: afferrarla ed affermarla come essere, per poterla metafisicamente interpretare come essere.

Come giudice inappellabile della questione torna a porsi il dato di esperienza, che presenta appunto la religione non semplicemente come esistenza, come vita od azione, e tanto meno come sola fenomenologia: ma la presenta come realtà storica e dunque come essere, ed essere dinamico, ente dina­

 

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mico, perché appunto la realtà storica è ente dinamico. Si tratta dunque semplicemente di questo: di appellare al dato di esperienza completo, che per una adeguata inter­pretazione metafisica della religione è quello della religione stessa come essere, che nella sua peculiarità di realtà storica è l’ente dinamico. Agire altrimenti, sarebbe adottare fin dal­l’inizio una posizione antirealistica che pregiudica in radice una adeguata interpretazione essenziale della religione stes­sa, compromettendone per certi aspetti irrimediabilmente la dialettica teoretica e pratica.

Staccarsi da tale norma, se pure può apparire cultural­mente lecito e in certe condizioni inevitabile, non può esserlo tuttavia per il metafisico della religione, la cui prima respon­sabilità è di offrire di essa una realistica e adeguata inter­pretazione essenziale.

Né si dica che ciò è possibile, fermi restando al piano esistenziale, se non altro per non tradire un senso tradizio­nale o il senso corrente della parola «religione», che non va oltre il piano suddetto. L’impegno metafisico, e la stessa ve­rità oggettiva della religione, infatti, reclamano l’approfondi­mento ontico di essa, l’unico effettivamente rivelatore della sua genuina e profonda natura e liberatore della totale dia­lettica di questa. Non è infatti la verità che deve piegarsi al senso consuetudinario della parola, ma, sia pur nei limiti di una oggettiva e giustificata ragionevolezza, è la parola che deve piegarsi alla verità delle cose, compresa la parola «reli­gione», perché solo superando sia un irragionevole immobi­lismo verbale sia una arbitraria mutevolezza, la parola diven­ta davvero funzionale e stimolatrice del progresso culturale e vitale.

Ciò posto, si tratta di cogliere l’essenza ontica della reli­gione, non per inoltrarci in una metafisica di essa che per noi qui non sarebbe possibile, ma per chiarirne il rapporto con la realtà storica, che interessa direttamente il nostro speci­fico studio metafisico. A tale scopo, sarà sufficiente rilevare la perfetta sinonimia tra religione e realtà religiosa limitata a se stessa sul piano ontico essenziale della religione stessa, e dunque in funzione della sua essenza ontica, e non solo esistenziale, specificandone ulteriormente il significato for­male.

 

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Nel suo respiro esistenziale più ampio e profondo, che senza dubbio rappresenta un dato di esperienza fondamentale e quanto mai significativo la religione si presenta come un rapporto di salvezza fra Dio e l’uomo e l’uomo e Dio. Ed è un rapporto che, a buon diritto, possiamo prospettare in seno alla religione cristiana come l’unica vera non solo teologicamente, ma anche metafisicamente, nel senso che della reli­gione realizza pienamente l’essenza.

Ed infatti, siccome nell’ambito della realtà storica non sono metafisicamente possibili i generi e le specie, ne segue che, o non vi sarà verità ontologica della religione, o questa la si dovrà per lo meno trovare nella religione teologicamente vera. Sarà pertanto un diritto e un dovere del filosofo cristia­no, non solo perché cristiano ma anche semplicemente perché è realista, appellarsi come dato di esperienza alla religione cristiana nella sicurezza che almeno essa sarà metafisica­mente ed onticamente vera, e cioè tale da offrire al filosofo il vero essere ed essenza metafisica della religione stessa, pur prescindendo come puro metafisico dal suo aspetto sal­vifico in quanto tale.

 

6 – Essenza ontica della religione

 

Torniamo dunque al dato di esperienza esistenziale proiettato nella religione cristiana per una sua maggiore capacità espressiva – della religione come rapporto di salvezza tra Dio e l’uomo e l’uomo e Dio. E cerchiamo di inter­pretarlo metafisicamente senza lasciarci bloccare dalle categorie esistenziali dell’Io e del Tu, o del dialogo ed altre con­generi: miriamo infatti a cogliere l’essenza ontica, e non semplicemente esistenziale, della religione.

Orbene, a tale scopo, realisticamente non abbiamo che da concretizzare il rapporto suddetto. Concretizzarlo, vuol dire riimmergerlo nella sua realtà concreta. Vuol dire, anzi, riidentificarlo con la sua realtà concreta, dalla quale una ope­razione astrattiva l’ha «liberato », per liberarsi essa stessa, in verità, di una realtà concreta metafisicamente scomoda e sconcertante, per non dire inafferrabile.

Ma la liberazione dalla realtà religiosa concreta per mezzo dell’astratto rapporto religioso porta purtroppo con sè

 

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anche la liberazione metafisica dall’essere della religione e dalla religione come essere, stroncando in radice la possibili­tà di una sua metafisica realistica che ne attinga la insosti­tuibile essenza ontica. Col rapporto religioso si verifica in sostanza per la religione, ciò che si verifica per la realtà storica e diciamolo pure per la storia, con il divenire storico: un processo di deonticizzazione che scalza il terreno sotto i piedi al sistema realista, impedendogli di camminare e por­tarsi sul campo di battaglia metafisicamente più impegnativo, che oggi è appunto quello della storia come essere e della religione come essere.

Con la reimmersione del rapporto religioso nella realtà religiosa concreta quindi, altro non facciamo che risalire a ritroso il processo di deonticizzazione in corso, per rionticizzare la religione, ritornando alla religione come essere, ana­logamente a quanto abbiam fatto per la rionticizzazione della storia. Divenire storico e rapporto religioso infatti non pos­sono restare metafisicamente campati in aria, e nemmeno ridursi personalisticamente ad un epifenomeno dell’essere umano.

Se esiste un divenire storico, è perché qualcosa diviene, perché la realtà storica diviene. Se esiste un rapporto religioso, è perché esso si incarna concretamente in una realtà religiosa, nella religione come realtà religiosa. E se la realtà storica come tale diviene, vuol dire che, come metafisicamente è stata interpretata, sarà ente dinamico. E se la religione come concreta realtà religiosa è realtà storica essa stessa, vuol dire che come realtà storica sarà anch’essa ente dinamico. Si torna così alla onticità della religione; e la sua interpretazione metafisica come essere ritrova la via aperta attraverso l’ente dinamico.

Vediamone dunque il procedimento. Se la religione come essere è ente dinamico, vuol dire che la sua essenza ontica obbedirà alla dialettica dell’ente dinamico sì da dover attri­buire all’essenza della religione come essere, tutte le prerogative ontologiche dell’ente dinamico stesso, che nel limite della nostra attuale elaborazione culminano nell’EDUC in senso primario e derivato. All’essenza ontica della religione pertanto competerà l’essenza dell’EDUC sia come categoria ontologica che come realtà storica universale e totale, secondo

 

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la natura della religione stessa, che è quella di porsi al livello supremo. Illazione di capitale importanza: essenza ontica del­la religione ed essenza dell’EDUC sono dunque la stessa cosa. Essenza ontica della religione ed essenza ontica della realtà storica si identificano. Ma non perfettamente, perché è stato detto che ciò avviene «secondo la natura della religione stessa», e dunque secondo formalità e con funzioni diverse.

Orbene, questa natura profonda di EDUC della religione che si pone a livello supremo, in rapporto alla realtà storica come EDUC assume la funzione di forma. Si traduce nel Divino incarnato nella storia come forma.

Ne consegue che l’essenza dell’EDUC come categoria ontologica e come realtà storica assumerà dalla religione, e più esattamente dall’essenza ontica di essa, la sua forma. La realtà storica diventerà quindi realtà religiosa, ma restando realtà storica distinta dalla religione, per cui si potrà parlare di realtà religiosa come realtà storica, e insieme si dovrà par­lare di realtà religiosa come religione.

 

7 – Conseguenze e sviluppi

Le conseguenze che ne derivano sono molteplici: rile­viamo le seguenti. Primo, la religione sarà dunque forma della realtà storica come EDUC, nella sua intima e primor­diale essenza di EDUC; secondo, il Divino pertanto sarà ne­cessariamente forma della realtà storica come forma dina­mica religiosa; lo è infatti tramite l’essenza ontica della reli­gione, che rispetto alla realtà storica ha evidentemente valore di forma religiosa; terzo, l’EDUC stesso viene ad assumere una duplice specificazione essenziale: quella di EDUC come forma dinamica religiosa e quella di realtà storica attuata dalla forma dinamica religiosa che è EDUC essa stessa. Più esattamente l’EDUC come categoria ontologica, interpreta nella loro specificità, sia la religione che la realtà storica totale, ponendone il giusto rapporto.

Questa interpretazione essenziale ontica della religione, e dunque per noi, qui, del Divino come forma dinamica reli­giosa della realtà storica, si pone come una sorgente inesau­ribile di esplicitazioni ed approfondimenti dell’essenza della realtà storica come EDUC, da sfruttarsi negli sviluppi che

 

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seguono. Per ora bastino questi semplici rilievi: vista nella sua essenza profonda di EDUC, la realtà storica totale è dunque realtà religiosa, sì da non potersi comprendere metafisicamente e non potersi trattare ontologicamente, che come tale. Ma si tratta per essa di una realtà religiosa essenziale derivata dalla realtà religiosa essenziale originaria della reli­gione, che ne è precisamente la forma. Il Divino non è forma nella realtà storica totale in senso immediato, ma attraverso la mediazione della religione colta nella sua essenza ontica di EDUC. Il Divino è immediatamente forma della religione, ossia è forma della forma. Per diventare forma della realtà storica dovrà tradursi in forma dinamica religiosa. Come forma della realtà storica, è forma dinamica religiosa. E’ religione, ma religione come realtà religiosa originaria, come essere, colta nella sua essenza ontica di EDUC: ma EDUC-religione, e non EDUC-realtà storica: e dunque in rapporto a quest’ultimo, EDUC come forma dinamica religiosa. Il Di­vino è appunto forma come EDUC-religione, che diventa forma dinamica religiosa. In altre parole il Divino è forma della realtà storica a livello religioso essenziale, e non esisten­ziale pena il passaggio dalla forma ontologica religiosa, ad una forma esistenziale sacrale.

Senza violentare il senso di religione, ricuperandone anzi il senso essenziale ontico fondamentale e decisivo anche per il senso di essa sugli altri piani, risulta in tal modo evidente che, metafisicamente, in riferimento alla loro essenza ontica, realtà storica e religione come essere confluiscono nell’EDUC, vengono radicalmente a identificarsi con esso, differendo tra loro come forma e materia. La realtà storica infatti, nella sua essenza ontica altro non è che la stessa realtà storica univer­sale e totale come EDUC; e la religione nella sua essenza ontica è essa stessa EDUC precisamente come realtà religiosa. Ma l’EDUC-religione assume la funzione di forma rispetto all’EDUC-realtà storica.

Per una maggior comprensione del significato e della portata di queste illazioni, dobbiamo appellare ad esplicitazioni, sempre in sede di metafisica della realtà storica, che verranno in seguito. E’ un’esigenza della stessa realtà storica come EDUC, che si riflette sulla metafisica di essa conferen­dole una specie di dimensione sferica. anziché lineare, per

 

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cui la comprensione delle singole parti esige l’esplicitazione del tutto, e l’approfondimento del tutto è condizionato alla esauriente esplicitazione delle singole parti. Si tratta dunque di un approfondimento del tutto, che si ottiene per graduali esplicitazioni ed arricchimenti.

Ciò si verifica per prima cosa a proposito della definizione essenziale della realtà storica. Se ne è già data una defini­zione essenziale radicale che suonava in questi termini: la realtà storica è la stessa realtà umana esistenziale come EDUC.

Ora è già possibile esplicitarla in questi altri termini: la realtà storica è la stessa realtà umana esistenziale come EDUC attuato dal Divino come forma dinamica religiosa.

Questa nuova definizione ne è la riespressione dell’es­senza radicale, ma con l’esplicitazione della rispettiva forma (= forma dinamica religiosa) e conseguentemente anche del­la materia, che è appunto l’intera realtà umana esistenziale a prescindere dalla forma. Già era stato detto parlando delle cause che la causa formale o forma della realtà storica era il Divino: e che la sua causa materiale o materia era l’umano. Nella definizione suesposta l’uno e l’altro termine vengono rispettivamente esplicitati in forma dinamica religiosa e in realtà umana esistenziale, che come esplicitazione della ma­teria della realtà storica sana anche il difetto della apparente tautologia.

L’esplicitazione è stata possibile, attraverso un occa­sionale e quanto mai limitato approfondimento metafisico dell’essenza ontica della religione, particolarmente illumina­trice della forma della realtà storica. Il che permette pure di esplicitare una definizione ontico-essenziale di essa, che in base a quanto detto può suonare come segue: la religione come essere, colta pertanto nella sua essenza ontica, è l’ente dinamico universale e concreto come sintesi reale dinamica salvifica dell’umano nel Divino, che in rapporto alla realtà storica come EDUC assume la funzione di forma dinamica religiosa. Religione e forma dinamica religiosa saranno EDUC esse stesse: ma EDUC-religione, distinto dall’EDUC-realtà storica…

Non ci troviamo qui impegnati nella metafisica della religione bensì nella metafisica della realtà storica. Ci inte-­

 

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ressiamo quindi dell’essenza della religione in funzione del­l’essenza della realtà storica, precisamente in quanto la reli­gione le offre e ne giustifica la forma dinamica religiosa senza poterci indugiare ulteriormente. Passiamo pertanto a quest’ultima che è ad un tempo chiarificatrice della religione e della realtà storica.

 

8 – La forma dinamica religiosa

Per darci conto sia della specificità ontica essenziale della religione, che del suo significato di forma dinamica religiosa, approfondendone così anche il rapporto con la real­tà storica, dobbiamo confrontare le due definizioni date. Esse convengono innanzitutto nel presentare religione e realtà storica come EDUC, affermando sul piano essenziale del­l’essere una identità radicale. Ed infatti, a meno di negarsi a vicenda, due EDUC non possono sussistere, se non identifi­candosi, pur formalmente distinguendosi. Si tratta invero di una loro identità reale per sintesi, e di una loro distinzione formale per analisi. L’EDUC-religione ha ragione di forma rispetto all’EDUC-realtà storica, che è appunto sintesi essen­ziale di religione come forma e di realtà umana esistenziale come materia.

Ma la stessa religione come forma è già EDUC, che ne rappresenta l’essenza ontica specificata evidentemente in senso religioso. Questa specificazione viene espressa dalla «sintesi reale dinamica salvifica dell’umano nel Divino» che denota appunto la formalità essenziale ontica della reli­gione.

Anche la realtà storica tuttavia, come EDUC può defi­nirsi metafisicamente come sintesi reale dinamica dell’uma­no nel Divino. Ma in senso assai diverso. E cioè: come sin­tesi sintetizzata, anziché sintetizzante; come sintesi salvata anziché salvifica; come sintesi nel Divino come forma dina­mica religiosa derivata, anziché come forma religiosa origi­naria. Mentre la religione è appunto EDUC come sintesi sin­tetizzante, salvifica e religiosamente originaria.

La conclusione da trarre si è che sul piano essenziale dell’EDUC religione e realtà storica sono intimamente con­nesse tra loro in una sintesi ontica in ragione di causa ed

 

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effetto, rispetto alla sintesi stessa, da intendersi tuttavia tale causa ed effetto (e lo stesso principio di causalità che le pone in senso dinamico e dunque in senso sintetico e concreto, sì da porre una loro reciproca compenetrazione conforme alla intrinsecità e sinteticità delle quattro cause dinamiche dell’ente dinamico.

E’ la legge dell’Uno, che si impone categoricamente sul piano essenziale  dell’ente dinamico, e che pare venir meno sugli altri piani dell’essere a cominciare da quello esistenziale, nel quale religione e realtà storica si pongono già come due entità nettamente distinte.

Ma gli altri tre piani non sono che i piani delle apparenze,che si riconducono alla realtà vera, alla sola condizione che la rispettiva essenza rimanga in essi pienamente operante a cominciare dalla sintesi essenziale tra religione e realtà storia come EDUC.

In questa complessa prospettiva, è più facile ora comprendere il significato di religione come forma dinamica religiosa che pone la religione stessa in un rapporto essenziale con la realtà  come EDUC.

Il valore e il significato di tale rapporto deriva appunto dal significato e valore della religione come forma dinamica religiosa, il quale è duplice, rendendo la forma dinamica religiosa bivalente.

  Qual è dunque la duplice valenza della religione come forma dinamica religiosa, che si riflette necessariamente sulla realtà storica attraverso la sua funzione attualizzante e unificante di forma? Rispondiamo: è la duplice valenza ontica e salvifica. La valenza ontica della forma dinamica religiosa pone metafisicamente la realtà storica come EDUC. E la sua valenza salvifica la pone metafisicamente come realtà religiosa derivata, restando la realtà religiosa originaria quella della religione, appunto come realtà religiosa, ossia come suo essere, colto metafisicamente come EDUC-religione.

Le due valenze,ontica e salvifica della religione sono ambedue valenze religiose,inseparabili tra loro e operanti correlativamente.

La valenza salvifica opera tramite la valenza ontica e viceversa. Ma, dinamicamente, la valenza ontica è prima della valenza salvifica, nel senso che la religione e con essa la forma dinamica religiosa salva in quanto attua il nuovo essere religioso. Una salvezza infatti non sgorgante da questo nuovo essere rimane contraddittoria sia per la sin-

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gola anima che per la realtà umana esistenziale, sia nel tempo che nell’eternità.

Pertanto benché la valenza salvifica della forma dinamica religiosa ponga propriamente il tema teologico, e la sua valenza ontica ponga propriamente il tema metafisico, quest’ultimo assume un’importanza anche per la teologia sia teoretica che pratica (= pastorale), nel senso che la salvezza deve passare attraverso la religiosità ontica, e il primato dell’essere rimane tale anche per la salvezza religiosa. Se fallisce la valenza ontica della forma dinamica religiosa, è destinata a fallire anche la sua valenza salvifica.

 

9 – Bivalenza della forma religiosa

 

Se ora ci domandiamo donde nasca la duplice bivalenza suddetta, dobbiamo rispondere che essa nasce dal Divino, il quale, in quanto Assoluto, pone precisamente la valenza on­tica della religione come forma; e in quanto salvifico, pone la sua valenza salvifica. Il Divino, come già sappiamo, non opera come forma immediata nell’EDUC, sia come essenza della realtà storica, sia come realtà religiosa derivata; ma ne è solo la forma mediata, attraverso la mediazione della reli­gione come forma dinamica religiosa bivalente.

La religione così intesa tuttavia, e cioè la stessa forma dinamica religiosa bivalente, come forma dinamica è già ente di secondo grado (= EDUC-religione), risultando così com­posta essa stessa di forma e materia, che torneranno ad es­sere il Divino e l’umano. Ed è appunto in rapporto alla reli­gione come forma che il Divino, nella sua trascendente biva­lenza ontica e salvifica, sarà forma immediata della stessa forma dinamica religiosa bivalente. Mentre la materia di essa non è più ovviamente la realtà umana esistenziale indiscriminata, ma la sola persona umana in effettiva sintesi ontica e salvifica col Divino, ossia nella misura che sarà «materia formata».

Le esplicitazioni e gli approfondimenti che siam venuti facendo, come dicevamo, più per accenni che per un loro svolgimento vero e proprio, non essendo qui possibile svol­gere una sistematica metafisica della religione, da una parte ci fanno sempre più comprendere che l’essenza dinamica

 

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della realtà storica va perseguita per complessificazione sintetizzatrice e concretizzante, anziché per semplificazione ana­litica ed astrattiva. E dall’altra ci danno modo di distinguerla dall’essenza della religione, precisando ad un tempo il significato e la funzione della forma dinamica religiosa.

L’essenza di religione che ne è risultata, è un’essenza a valore ontico ben diversa da una sua essenza a valore esistenziale. L’essenza esistenziale interpreta la religione co­me esistenza e come vita, secondo il classico schema sogget­tivo del riconoscimento e dell’accettazione di Dio come sal­vezza, o come dialogo di salvezza, e lo schema oggettivo della religione interpretata in senso etico-rituale-dogmatico. La essenza esistenziale della religione ne accentua il valore sal­vifico, ma ne ignora la funzione metafisica ontica, e non è in grado di offrire una forma metafisica alla realtà storica come essere.

L’essenza ontica della religione invece, è appunto l’es­senza di essa come essere, che coincide con l’EDUC inteso però formalmente non come realtà storica, ma come realtà religiosa originaria. E’ in grado pertanto di offrire alla realtà storica, la forma metafisica che cerchiamo. Questa forma metafisica viene precisamente espressa nell’essenza ontica della religione, ma intesa in funzione di forma.

Possiamo esprimerne ora il significato in questi termini: la religione come forma, ossia la forma dinamica religiosa è la sintesi reale dinamica della persona umana come « materia formata» nel Divino come forma immediata bivalente in funzione ontica attualizzante, ed in funzione salvifica.

E’ una definizione che esprime l’essenza della forma di­namica religiosa in misura sufficiente, indipendentemente da ulteriori esplicitazioni che interverranno in seguito. Attra­verso di essa, si riassumono le caratteristiche della forma dinamica religiosa che qui più direttamente ci interessano, e che sono appunto la bivalenza e la causalità. Essa è bivalente perché, in quanto attualizzante è forma dell’EDUC come essenza della realtà storica; e in quanto salvifica, è forma dello stesso EDUC come realtà religiosa derivata. Ed è cau­sale, e non effettuale, sempre in rapporto all’EDUC come essenza della realtà storica, in quanto effettivamente lo cau­sa nella sua essenza di realtà storica e di realtà religiosa.

 

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Non sarà mai troppo richiamare che la forma dinamica religiosa così intesa si pone sul piano della essenza della religione come essere: sul piano cioè che le garantisce la ambivalenza suddetta, con il conseguente significato «reli­gioso» ontico essenziale, che rimarrebbe incomprensibile sul puro piano esistenziale e fenomenico.

Il  «religioso» così inteso infatti, con la sua bivalenza di onticità e salvificità, trascende le categorie analitiche esi­stenziali del «sacro»  e del «profano», ponendosi nel signi­ficato dinamico sintetico di «religioso» come essere e come forma, che sarà forma religiosa ontica, e forma religiosa salvifica. E come forma religiosa salvifica, sarà tale radicalmen­te sia per il sacro che per il profano, poiché sacro e profano come realtà storica in senso ontico essenziale, si trovano in sintesi nell’EDUC come essenza della realtà storica, attuata e salvata come realtà religiosa, prima della sua apparente o reale dicotomia esistenziale in sacra e profana. Che la sua salvezza totale si operi anche sul piano esistenziale dipen­derà precisamente dal fatto che la doppia valenza ontica e salvifica della forma dinamica religiosa si renda viva ed ope­rante anche in detto piano.

In tal modo, e prima di tutto attraverso il suo significato ontico essenziale, il religioso, e con esso a maggior ragione la forma dinamica religiosa, saranno la chiave della sintesi reale e totale della realtà storica, rappresentandone insieme la insostituibile garanzia. Guai a demolirla in radice, rifiu­tando o anche solo ignorando questo senso sintetico e sin­tetizzatore del religioso in senso ontico essenziale!… Attra­verso l’insanabile analisi radicale che ne deriverebbe, la sin­tesi non sarebbe più in alcun modo ricostruibile, perdendo con essa l’onticità metafisica della realtà storica, e frustran­done in radice la salvezza.

E’ quello che capita, sia pure inavvertitamente, riducen­do esistenzialmente il «religioso» al «sacro», in contrappo­sizione al «profano». Attraverso tale riduzione, si finisce per affrontare la realtà storica non più per via di sintesi e quindi di costruzione, ma per via di analisi e dunque di de­molizione. E si tratterà non soltanto di una demolizione metafisica, ma anche, sia pure in sensi e misure diverse, di una completa demolizione essenziale ed esistenziale religiosa.

 

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La radice della secolarizzazione, non solo come negazione del sacro, ma anche del religioso, è qui. Ed è qui pure la sorgente della «transfunzionalizzazione» della religione, nel senso che traduce (o rischia di tradurre) la sua funzione sal­vifica spirituale ed eterna in una funzione salvifica temporale e politica.

 

10 – Primato della forma

 

E’ sufficiente darsi conto in qualche modo della natura e funzione della forma dinamica religiosa, per intuire sen­z’altro la sua preminenza, che le conferisce un primato mol­teplice di indiscutibile valore teoretico e pratico. Purché, ben inteso, il senso ontico dinamico-essenziale, della religiosità che la qualifica, non degeneri in sensi esistenziali che ne stronchino il fondamentale valore e funzione, che è ad un tempo sintetica e sintetizzatrice, ontica e praxiologica, cau­sale ed effettuale, attualizzante e salvifica.

E’ ciò che purtroppo avviene traducendo, come si è det­to, il religioso in sacro, stabilendo quella radicale ed insana­bile dicotomia metafisica che si esprime poi in una serie inesauribile di più o meno capziose e dannose antinomie, quali quelle della sacralità e profanità, cristianità e laicità, ecclesialità e secolarità, per tacere della conseguente fenome­nologia degenere che va sotto il nome dei più vari clericali­smi e laicismi. Né d’altra parte è meno grave superare tali antinomie assorbendo un termine antinomico nell’altro o ad­dirittura eliminandolo.

Fermo restando quindi il significato di «religioso» e la natura della forma dinamica religiosa, nel modo da noi stabilito, diciamo che essa importa un triplice primato ontolo­gico, che chiameremo rispettivamente metafisico, esistenziale, ed ontico-praxiologico.

Il primato metafisico di essa si pone nella stessa meta­fisica della realtà storica e conseguentemente anche nei sa­peri che vi si subalternano, e deriva propriamente dal fatto che la metafisica della realtà storica è in funzione dell’essere della realtà storica stessa, e più precisamente in funzione della sua essenza, e dunque, nelle sue superiori esigenze specifiche, in funzione della sua forma essenziale, che è pre-­

 

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cisamente la forma dinamica religiosa.

Diciamo che la metafisica della realtà storica è in fun­zione di tutto questo, fino a raggiungere il vertice della sua forma dinamica religiosa. Ma non diciamo che questa ne diventi l’oggetto formale. Al contrario, riconfermiamo che il suo oggetto formale rimane l’EDUC, e più esattamente la realtà storica come EDUC. Ma una volta raggiunta la sua specificazione in EDUC, l’oggetto formale dev’essere studia­to in funzione della sua forma essenziale, venendo questa ad assumere in tal modo l’indiscutibile primato metafisico che le compete.

Ed infatti, metafisicamente l’ente è ciò che lo fa essere la sua essenza. Ma l’essenza a sua volta è ciò che la fa essere la sua forma. Ne segue, che la realtà storica sarà ciò che la farà essere la sua forma dinamica religiosa. Per esse­re quindi afferrata nella sua realtà vera, la realtà storica dovrà venire studiata appunto in funzione di questa sua for­ma, consacrandone l’evidente primato metafisico.

Per quanto riguarda il suo primato esistenziale, il suo primato cioè, proiettato sui piani dell’essere che conseguono al piano dell’essenza, ci limiteremo qui ad un solo rilievo ossia alla traduzione della forma essenziale in forma propria­mente esistenziale, e poi in forma fenomenica ed operativa.

Si tratta, come viene dichiarato, di una traduzione della forma, e non già di nuove essenze. Coerentemente alla dia­lettica del suo essere, la realtà storica, al di fuori della sua essenza metafisica ontica non può ammettere altre sue es­senze metafisiche surrogatorie e tanto meno primarie. Di modo che, le rispettive essenze – esistenziale, fenomenica ed operativa – della realtà storica, dovranno essere poste da una traduzione della forma della sua essenza ontica, sì da risultare speciali incarnazioni di essa. In caso contrario tali essenze non potranno avere se non un valore metafisico più o meno equivoco, dato che nella dialettica del concreto umano è praticamente impossibile esaurirsi in essenze a va­lore puramente fenomenico. In rapporto al concreto umano, qualsiasi essenza a significato fenomenico viene ad assumere quasi automaticamente un valore metafisico surrogatorio, come dimostra la soggettività dei giudizi sui valori impossi­bilitata a rispettarne effettivamente la gerarchia o la scala,

 

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che del resto non possono evadere esse stesse da un largo margine di soggettività e di convenzionalismo astrattistico.

Ora, quali saranno precisamente le traduzioni della for­ma dinamica religiosa appartenente all’essenza ontica della realtà storica, sul piano esistenziale, fenomenico, ed opera­tivo, destinate a dare origine alle rispettive essenze deri­vate?… Rispondiamo dicendo che la suddetta forma dinamica religiosa sul piano esistenziale si traduce nell’evento; sul pia­no fenomenico deve tradursi in anima della rispettiva feno­menologia; e sul pazzo operativo si traduce in energia ope­rativa.

Forma ed evento; anima ed energia. Ecco i quattro mo­menti della forma dinamica religiosa, dei quali il primo è il momento propriamente ontico, e gli altri rappresentano le traduzioni che cerchiamo. Sarebbe opportuno un loro confacente approfondimento, conducendole allo sbocco delle ri­spettive essenze derivate. Ma dobbiamo ancora una volta prescinderne, interessandoci la suesposta scalarità della for­ma dinamica religiosa, unicamente per porre in evidenza il suo primato anche esistenziale, e non altro.

Che esso risulti già di per sè evidente, è superfluo il dichiararlo. Diciamo piuttosto che va inteso nella pienezza del valore e funzione metafisica della forma dinamica reli­giosa stessa, la quale, appunto perché si traduce non comun­que, ma secondo la sua specifica natura di forma dinamica religiosa, renderà partecipi le rispettive traduzioni, della pro­pria ricchezza, ed anche della propria responsabilità meta­fisica e dialettica.

Resta da esaminare il primato ontico-praxiologico della forma dinamica religiosa. Questo torna a rientrare nella competenza e nell’impegno diretto della nostra metafisica della realtà storica, ed interessa la forma dinamica religiosa preci­samente in quanto essa è principio, fondamento e radice di quelle formalità della realtà storica stessa come EDUC, da noi chiamate, nel titolo del presente capitolo, formalità tra­scendentali.

Saranno le formalità che daranno luogo al cosiddetti cinque trascendentali dinamici, la cui teorizzazione metafi­sica rappresenta uno dei problemi cruciali di una metafisica della realtà storica veramente realistica. La teoria dei tra­-

 

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scendentali dinamici dovrà quindi impegnarci di proposito ed accompagnarci nel seguito della nostra trattazione. Fa parte anch’essa di quel progressivo approfondimento ed esplicitazione dell’essenza della realtà storica, che segna la via obbligata del nostro studio metafisico, la quale importa la compresenza e la sintesi (senza possibilità alcuna di ac­cantonarlo per via di analisi e di astrazione), del già acquisito. In virtù della sinteticità e concretezza della stessa essenza dinamica della realtà storica, tutto torna ad essere dialetti­camente presente ed operante, attraverso un tipo di studio metafisico sintetizzante e concretizzante, che è arricchimento dell’essenza e dell’essere, anziché un loro impoverimento, come avviene con lo studio analitico ed astrattivo (del resto pienamente giustificato) in sede di ente statico.

Le formalità trascendentali di cui si parla, interessano qui il primato ontico-praxiologico della forma dinamica re­ligiosa, in quanto attraverso la mediazione dell’EDUC le ga­rantiscono il dominio sull’intera realtà storica, traducendo il primato ontico-praxiologico della forma in un vero suo dominio sopra la realtà storica stessa e come ente e come prassi. Non dominio dispotico tuttavia, ma di servizio, in quanto la forma serve la materia e l’essenza, e nel caso del­l’ente dinamico tutto il rispettivo ente e dunque la intera realtà storica, attuandola e unificandola come essere, animan­dola e dinamizzandola come prassi.

Ma perché questo possa avvenire, è appunto necessario che la forma religiosa sia in grado di dominare tutta e total­mente la realtà storica; ciò le sarà garantito per mezzo delle formalità trascendentali che da essa emanano, e dalla loro conveniente messa in moto.

Chiarita così la ragione anche del primato ontico-pra­xiologico della forma dinamica religiosa, prima di passare alla teoria dei trascendentali dinamici cerchiamo di cogliere il passaggio da detta forma alle formalità trascendentali dinamiche.

 

11 – Forma metafisica essenziale e formalità ontiche tra­scendentali

 

Per prima cosa dobbiamo darci conto del fatto che la forma per sua natura si riferisce all’essenza, appartiene al­

 

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l’essenza ed è in funzione di essa. Ciò vale anche per la nostra forma dinamica religiosa, come forma metafisica essenziale dell’essenza ontica della realtà storica. Ma vale secondo la dialettica della forma metafisica essenziale dinamica, che è quella della sua compresenza e compenetrazione nelle quat­tro cause, e per questa via, della sua compresenza e compe­netrazione della realtà storica come EDUC, inteso sia come onticità che come prassi. E tutto questo, sulla base e sulla garanzia del principio ontologico dinamico che pone per l’en­te dinamico l’identità reale tra ente ed essenza.

Ciò premesso, ecco come si delinea la presenza compenetrativa, viva e vivificante, della forma dinamica religiosa nell’EDUC: essa si delinea come un trasferimento di detta forma, dall’essenza all’EDUC stesso, che se ne impossessa a titolo proprio, risultandone tutto e totalmente investito e dominato ad un tempo. E’ la risultanza di quanto si è appena detto sopra.

Orbene, che cosa diventa la forma dinamica religiosa in virtù di questo suo trasferimento nell’EDUC e dell’appro­priazione da parte di esso?… Possiam dire che essa diventa una sua proprietà, un suo aspetto ontico. Non però un aspetto o proprietà qualsiasi. Ma bensì la proprietà e l’aspetto che lo qualifica nella sua vera natura metafisica di EDUC, che è quella di EDUC attuato dalla forma metafisica dinamica religiosa, e dunque di EDUC religioso. In una parola, questa sua qualifica di «religioso» rappresenterà la formalità on­tica che specifica e lancia l’EDUC e con esso la realtà storica, secondo la loro vera natura di EDUC metafisicamente e for­malmente religioso, e di realtà storica metafisicamente e for­malmente religiosa.

E’ una illazione che non si riduce ad una più o meno con­venzionale affermazione retorica, ma che riassume nel suo termine conclusivo l’esplorazione metafisica realistica finora compiuta. Anche se a primo colpo d’occhio potrebbe apparire strana e persino urtante, basterà tener conto del senso di «religioso» e della natura della forma dinamica religiosa che abbiamo appurato, per afferrarne la ragionevolezza ed accettarne la consequenzialità piena.

 

 

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Tale consequenzialità, sarà appunto quella dei trascen­dentali dinamici. Si tratta infatti della traduzione della for­ma metafisica essenziale della realtà storica da forma essen­ziale in formalità ontica, ossia in formalità che riguarda e che compete alla realtà storica come EDUC, e dunque come ente: Ente dinamico universale e concreto.

Ora, in base all’identità reale tra ente ed essenza, che si verifica nell’ente dinamico e dunque nell’EDUC e nella realtà storica come EDUC, la formalità ontica di esso, che traducendola assorbe in sè la sua forma metafisica essen­ziale ossia la forma dinamica religiosa, non potrà non inve­stire e non ripetere la natura piena e la funzione piena di questa. Risulterà in tal modo una formalità religiosa ontica pienamente dominatrice dell’ente a cui appartiene, e cioè dell’EDUC e della realtà storica come EDUC, senza più nep­pure le limitazioni puramente metodologiche che ancora comportava la forma dinamica religiosa precisamente come forma essenziale, e dunque formalmente e metodologica­mente astraente dalla concretezza totale del rispettivo ente.

Ed invero, benché ente ed essenza si identifichino real­mente nell’ente dinamico, formalmente tuttavia continuano a distinguersi. E la distinzione formale consiste appunto nel fatto che l’essenza metafisica della realtà storica, come tale ignora quella parte di concretezza dell’EDUC che rimane precisamente estranea alle sue determinazioni essenziali.

L’EDUC come tale invece, appunto perché formalmente ente dinamico universale e concreto, non potrà ignorare la benché minima parte della propria concretezza, la quale do­vrà anch’essa rifondersi nella sua essenza. E non vi si potrà rifondere, evidentemente, se non in virtù della forma sintetizzatrice: ma tramite la formalità ontica che le corrisponde, la quale si rivela in tal modo il vero strumento della sua efficienza e del suo dominio ontico-praxiologico totale.

Se dunque la formalità religiosa ontica dell’EDUC che ne traduce la forma metafisica essenziale, ha tale potere su di esso, fino a raggiungere la concretezza capillare, sia pure mutuando detto potere dalla forma dinamica religiosa ed esercitandolo a servizio della medesima, come dovremo qua­lificarla, per caratterizzarla in questa sua singolarissima pre­rogativa?… La qualificheremo precisamente come formalità

 

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religiosa ontica trascendentale, o più brevemente come for­malità trascendentale.

E veramente, non ci potrebbe essere una qualifica più adatta e che più si adegui alla realtà della cosa. Trascenden­tale infatti è la proprietà o formalità dell’ente che lo domina tutto e totalmente dal di sopra e dal di dentro. Tale è pre­cisamente la formalità religiosa ontica di cui ci occupiamo, e che per rievocare il suo essere di «formalità» chiameremo appunto religiosità. E’ infatti la traduzione ontica della forma dinamica religiosa essenziale dell’EDUC.

Essa, stavamo dicendo, verifica appieno la definizione di trascendentale, perché appunto domina tutto e totalmente l’ente dinamico universale e concreto, dal di sopra e dal di dentro, fino al suoi minimi capillari. Lo domina dal di sopra, perché porta con sè la preminenza della forma dinamica religiosa di cui è traduzione ontica; e dal di dentro, perché, al pari della forma di cui è liberazione ontica completa, lo pervade intimamente.

Non resta quindi altro da concludere che questo: che i tratta di una autentica formalità ontica trascendentale, cor­rispondente precisamente al trascendentale dinamico della religiosità.

E’ a questo punto che si apre il problema dei trascendentali dinamici, il quale si pone come il problema dell’arti­colazione della stessa formalità ontica trascendentale della religiosità, in formalità trascendentali diverse.

La forma essenziale dinamica dell’EDUC è una sola quella religiosa, perché una è la sua essenza. Ma le sue for­malità ontiche trascendentali, si ridurranno anch’esse ad una sola – quella della religiosità, corrispondente alla forma essenziale dinamica religiosa -, oppure si articoleranno in più trascendentali dinamici?..

Il criterio di decisione non può essere arbitrario. Esso viene imposto dalla stessa funzione delle formalità trascen­dentali, nonché dalla natura oggettiva e dalle particolari esi­genze dell’ente a cui si riferiscono, che è l’ente dinamico universale e concreto al quale devono appartenere.

Ora, la funzione delle formalità trascendentali è quella di garantire il pieno dominio e la piena efficienza della forma essenziale dell’EDUC sopra e dentro di esso e nella realtà

 

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storica tutta quanta. E la natura oggettiva e le esigenze par­ticolari dell’EDUC nonché della realtà storica, si pongono in definitiva come natura concreta ed esigenze di concretezza.

Ne segue che la questione dell’articolazione dei trascen­dentali dinamici dovrà risolversi sulla linea di un dominio della forma, che si adegui agli aspetti concreti fondamentali della realtà storica e dell’EDUC, veramente decisivi per il dominio suddetto.

 

 

l2 – Realtà religiosa come realtà storica

 

Prima di passare alla teoria dei trascendentali dinamici, conviene riflettere preventivamente sul loro campo di appli­cazione. I trascendentali dinamici, abbiamo detto, sono una traduzione ontico-praxiologica della forma dinamica religio­sa della realtà storica; sono una funzione trascendentale di essa.

Debbono quindi adeguarsi alla realtà storica, debbono, in altre parole, investirla tutta e totalmente, nelle sue diverse articolazioni e secondo la rispettiva indole. Le articolazioni della realtà storica sono fondamentalmente le tre seguenti: realtà storica come religione; realtà storica totale; e realtà storica profana.

Siamo impegnati in una metafisica della realtà storica; questa dunque diventa significativa, e quanto veniamo di­cendo risulta plausibile ed effettivamente applicabile alla realtà storica stessa, se è considerata a livello metafisico e vien colta nella sua essenza ontologico-metafisica. Se ci rife­riamo ad una realtà storica ridotta al suo aspetto esistenziale e fenomenico, quanto abbiam detto finora e dobbiam dire in seguito non avrebbe senso. In modo speciale non avrebbe senso la realtà storica interpretata come realtà religiosa, e tanto meno la teoria dei trascendentali dinamici che le rimane strettamente legata. I trascendentali dinamici infatti sono funzione dell’Assoluto che si traduce nella forma dinamica religiosa della realtà storica, rendendola, a livello ontologico-metafisico, realtà religiosa.

«A livello ontologico-metafisico “, diciamo: poiché la realtà storica si identifica con la realtà religiosa, e viceversa, soltanto a questo livello. A livello esistenziale, e tanto meno

 

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a livello fenomenico ed operativo empirico, tale identifica­zione non esiste né sarebbe possibile. A tali livelli infatti, la realtà storica si presenta come una realtà oggettivamente multipla, nient’affatto riducibile o identificabile con la realtà religiosa, sia pure come realtà storica. Torna la sua triplice articolazione fondamentale in realtà storica come religione, come realtà storica totale, e come realtà storica profana.

E’ ovvio che la realtà storica come religione, ossia la religione come tale non s’identifica né può identificarsi con la realtà storica totale a nessun livello, e tanto meno con la realtà storica profana, a meno di cadere nel panteismo per la prima, e in una vieta sacralizzazione per la seconda.

Se dunque affermiamo un’identità tra realtà storica to­tale e realtà religiosa, tale identità non va intesa come iden­tità tra realtà storica totale e religione, ma tra realtà storica totale e se stessa, in quanto viene identificata in funzione della sua forma, che è appunto il Divino come forma dina­mica religiosa.

In altre parole, l’identità fra realtà storica totale e realtà religiosa esprime la soluzione del suo problema metafisico, in senso realistico-dinamico, precisamente a livello metafi­sico. Al di sotto di tale livello, la realtà storica totale come essere non è né interpretabile né significante.

Posta così la sinonimia tra realtà storica totale e realtà religiosa, risultano evidenti due cose. La prima è la seguente: il significato dell’aggettivo «religioso» è diverso da quello solito. La realtà storica totale non è realtà «religiosa n nel senso che si identifichi con la religione, ma nel senso che, interpretata come EDUC, la sua forma ontologico-dinamica è il Divino (o l’Antidivino) come forma dinamica religiosa. In altre parole, l’aggettivo «religioso» riferito alla realtà storica come realtà «religiosa n assume un significato onto­logico-metafisico.

La seconda conseguenza è questa: la realtà storica to­tale come realtà «religiosa», non identificata con la reli­gione, ammette le stesse articolazioni della realtà storica to­tale, in realtà religiosa come religione; realtà religiosa come realtà storica totale; e realtà religiosa come realtà storica profana. Queste tre realtà storiche saranno realtà «religio­sa», ognuna secondo il proprio essere: la realtà storica come

 

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religione sarà realtà «religiosa» come religione; la realtà storica totale sarà realtà «religiosa» come realtà storica to­tale; e la realtà storica profana (al di là dell’apparente con­traddizione) sarà realtà «religiosa» come realtà profana.

In che modo si differenzieranno queste tre realtà «reli­giose»? Nel modo seguente: la realtà religiosa come reli­gione sarà realtà «religiosa » in senso ontologico-salvifico. Ciò che caratterizza la religione infatti, al di fuori di ogni equivoco, è la salvezza spirituale ed eterna. La realtà religiosa come realtà storica totale invece, sarà realtà «religiosa» in senso ontologico-metafisico, in merito alla sua forma. E la realtà religiosa come realtà storica profana sarà realtà «religiosa» (o «antireligiosa») in senso ideologico, inten­dendo l’ideologia come «anima ontologico-dinamica della prassi».

Ciò che importa tener presente è che le tre realtà sono EDUC a forma dinamica religiosa, anch’essa articolantesi in modo diverso, secondo la realtà storica a cui deve adeguarsi. Per la realtà storica come religione, la forma dinamica reli­giosa è lo stesso Divino in modo diretto. Per la realtà storica totale è il Divino mediato dalla religione. Per la realtà sto­rica profana è il Divino (o l’Antidivino) come Assoluto in funzione laica ed autonoma rispetto alla religione e cioè in funzione ideologica.

Trovandoci noi qui impegnati con la sola realtà storica totale, come oggetto di una metafisica della realtà storica, prescindiamo dalla realtà storica come religione, e dalla real­tà storica profana come tale. Esse sono oggetto delle rispet­tive metafisiche, che ovviamente dovranno armonizzare con la metafisica della realtà storica totale.

La metafisica della realtà storica, in quanto implica la ontologia realistico-dinamica e (come vedremo) la teoria del­l’organismo dinamico, condiziona la metafisica della religione come realtà religiosa. La metafisica della realtà storica come realtà profana poi, subalternandosi alla metafisica della real­tà storica totale, dipende da questa, e a sua volta fa da premessa metafisica all’ideologia[3] .

 

 

 

 

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L’Assoluto ideologico, come forma dinamica religiosa e più esattamente a valore religioso (o antireligioso) della realtà storica profana, ossia come forma dinamica ideologica, che la traduce in EDUC precisamente come realtà storica profana, può purtroppo specificarsi come Assoluto ideologico ateo-materialista e dunque come Assoluto ideologicamente antireligioso. In tal modo si ha la controprova che l’aggettivo «religioso» applicato alla forma dinamica religiosa al di fuori della religione cessa di avere un senso religioso «sal­vifico-sacrale», per assumere appunto il senso ideologico, che può risolversi ideologicamente in senso antireligioso[4].

Questi rilievi in riferimento alla realtà storica come realtà religiosa e viceversa, possono esser sufficienti per illuminare la teoria dei trascendentali dinamici, quanto al suo valore e al suo campo di applicazione. Il suo valore è quello della forma dinamica religiosa della realtà storica, nelle sue tre articolazioni. E il suo campo di applicazione è quello delle tre articolazioni stesse.

I trascendentali dinamici quindi saranno presenti e ope­ranti sia in riferimento alla forma dinamica religiosa della realtà storica totale, sia in riferimento alla forma dinamica religiosa della religione come realtà storica, sia in riferimen­to alla forma dinamica religiosa o antireligiosa, a valore ideologico, della realtà storica profana. E lo saranno, sempre come traduzione ontico-praxiologica della stessa forma dina­mica religiosa, tenendo conto della modalità delle sue artico­lazioni.

Un ultimo rilievo, che, tramite la forma dinamica reli­giosa, interessa sia la realtà storica come EDUC sia i tra­scendentali dinamici, è l’aspetto «teologico» o «ateologico» di questi vari elementi, e della stessa metafisica della realtà storica.

La teologia di solito viene concepita in riferimento alla esclusiva realtà religiosa come religione, assumendo il senso di «sacra Doctrina». Ma la forma dinamica religiosa – o antireligiosa – della realtà storica conferisce un senso «teo­logico» o «ateologico» a tutta la realtà storica considerata

 

 

 

 

 

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a livello ontologico-metafisico, nonché al suo studio, e alla stessa prassi.

Ne segue che l’aggettivo «teologico» assume un senso assai più ampio di quello tradizionale, combinandosi con l’aggettivo «ateologico». Questo suo senso viene specificato ed imposto dalla forma dinamica religiosa della realtà storica nelle sue varie articolazioni, che saranno «teologiche» o «ateologiche» in virtù dell’Assoluto che fa da forma.

La stessa metafisica della realtà storica assumerà un senso e un valore «teologico» o «ateologico», secondoché si innesta nell’Assoluto religioso cristiano, o nell’Assoluto antireligioso e anticristiano ateo-materialista. Su questo fon­damentalissimo punto d’arrivo e di partenza, si stabilisce la apertura o la chiusura della metafisica della realtà storica alla teologia in senso tradizionale e dunque alla religione. E da esso sgorga il corollario teorico-pratico della qualifica «teologica» o «ateologica» degli stessi trascendentali dina­mici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CAPO IV
I CINQUE TRASCENDENTALI DINAMICI

 

 

1- Trascendentali dinamici (TD) e loro articolazione

 

Chiameremo le formalità trascendentali dell’EDUC e della realtà storica come EDUC, semplicemente trascenden­tali dinamici, adoperando normalmente la sigla TD, solo per ragione di comodità e brevità, come del resto sarà opportuno fare anche con altri elementi che verranno in seguito. La metafisica realistico-dinamica infatti procede per sintesi e concretezza, e la accumulazione dei termini, indispensabile come espressione dello stesso elemento metafisico sempre più complesso, che si vuol connotare, suggerisce una sua tra­duzione in sigla quasi per necessità.

I trascendentali dinamici (TD) saranno dunque le for­malità trascendentali dell’EDUC, che nascono dalla sua forma metafisica religiosa, si riferiscono direttamente all’EDUC come ente dinamico universale e concreto appartenendovi in modo esclusivo, e sono in funzione della prassi. Essi infatti debbono rendere efficiente la forma religiosa dell’EDUC, as­sicurandole il pieno dominio sul rispettivo ente, e ponendola in grado di attuarlo e costruirlo effettivamente. Ma ciò di­venta possibile appunto per mezzo della prassi, che è lo stesso attivismo auto-costruttivo dell’EDUC. Meglio: diventerà pos­sibile con la messa in moto della prassi per mezzo dei TD, precisamente a servizio della forma religiosa.

La trascendentalità dei TD, come già sappiamo, consi­ste nella loro natura di formalità che dominano tutto e total­mente l’EDUC dal di sopra e dal di dentro, secondo la carat­teristica propria dei trascendentali dell’ente che è appunto quella: a cominciare dai trascendentali dell’ente come tale, che del resto vengono presupposti e riassunti dalla nostra metafisica dinamica.

I trascendentali dell’ente come tale, perché validi per tutto l’ente compreso l’ente dinamico, ben distinti (ma non separabili) dai TD che sono esclusivi dell’EDUC, sono quelli stabiliti dalla filosofia realistica tradizionale e studiati in se-

 

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de di ontologia. E sono quelli a tutti noti, dell’ente, uno, vero, buono, e bello. Essi hanno tutti valore ontico, e quindi vanno intesi in senso ontologico, e non in senso logico, matematico, o morale o artistico.

Anche i TD hanno valore ontico e andranno intesi in senso ontologico, per quanto dinamico e non statico, ed in rapporto all’ente dinamico come tale. Ed infatti, perché dinamici, essi appartengono all’ente dinamico. Il concetto fonda­mentale di trascendentali rimane tuttavia lo stesso: sono aspetti, formalità universalissime, che si predicano dell’ente come tale, o dell’EDUC, e secondo il concetto di trascenden­talità surriferito.

Su questa base, si pone precisamente il problema della articolazione e individuazione dei TD. Come i trascendentali tradizionali non si limitano al solo primo e cioè a quello dell’ente, così i TD non si limitano al solo primo e cioè al TD della religiosità (TDR), perché questa da sola non può assolvere alla funzione di mettere adeguatamente in moto la prassi a servizio della forma religiosa. Si tratta invero di assicurare il pieno dominio della forma sulla materia e sul­l’intero EDUC sia in se stesso che come realtà storica. E ciò non sarà ottenibile se non per via trascendentale.

Come dunque si articoleranno e si potranno individuare i TD? Già ne abbiamo enunciato il criterio, che si desume dal necessario dominio della forma religiosa nonché dagli aspetti fondamentali della realtà storica. Cominciamo a chiederci quali possano essere tali aspetti fondamentali e in quale dire­zione si pongano.

Poiché non abbiamo ancora tra mano nessun elemento acquisito che ci permetta in qualche modo di stabilire, di­ciamo, a priori; per individuarli non ci resta che guardare alla realtà storica, ossia alla realtà umana esistenziale, fa­cendo appello al dato di esperienza. Il che del resto è un vantaggio, perché ci pone in pieno accordo col nostro metodo realistico e ci mantiene costantemente nella sua linea.

Appellare al dato di esperienza tuttavia significa tornare a prendere contatto con la realtà storica nella sua consistenza bruta di puro oggetto materiale rispetto alla forma, poiché la forma religiosa della realtà storica, per il fatto stesso che ne rappresenta il vertice metafisico possiamo dire il più eccelso

 

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è ben lontana dal porsi come un dato di esperienza iniziale. Cercheremo pertanto di individuare gli aspetti fondamentali della realtà storica come oggetto materiale, appellando pre­cisamente alla realtà umana esistenziale, che connota più direttamente l’aspetto di oggetto materiale della realtà sto­rica stessa. E lo faremo, guardando ad essa a partire non già dalla tabula rasa, ma alla luce della metafisica realistico-dinamica già acquisita, poiché anche questo è un aspetto del suo metodo sintetico e concreto, e non già analitico ed astrat­tivo, sì che sgorghi luce da luce, verità da verità, conquista da conquista.

Quali saranno dunque gli aspetti fondamentali della real­tà umana esistenziale che ci interessano?… Ecco interferire nuovamente una piccola questione cruciale, quella della loro fondamentalità, che in tanto potrà condurci ad un dato di esperienza valido, in quanto appunto si tratterà non già di una fondamentalità arbitraria e tanto meno solo apparente, ma bensì della fondamentalità oggettivamente ed ontologica­mente vera.

Diciamo ontologicamente, e cioè in rapporto alla realtà ontica dell’EDUC (sia in se stesso che come realtà storica) che ormai ben conosciamo, e precisamente in funzione della sua sintesi ontica essenziale di forma e materia, i cui due termini sono appunto la forma dinamica religiosa, e la materia della realtà umana esistenziale. Aspetti oggettivamente ed ontologicamente fondamentali di questa, pertanto saranno quelli che si riveleranno veramente tali rispetto alla sua spe­cifica natura di materia, diventando gli aspetti-chiave della sua sintetizzazione nella forma. Come materia di secondo grado, infatti, la realtà umana esistenziale non rimane indif­ferenziata, ma porta con sè aspetti di rilevanza metafisica assai diversa.

 

 

2 – Aspetti fondamentali e formalità trascendentali

 

Il criterio di articolazione dei TD, da parte della realtà storica come dato di esperienza, dipende dunque dalla messa a punto del criterio di individuazione degli aspetti fonda­mentali di essa, che può riassumersi in questi termini: avrà un valore oggettivamente ed ontologicamente fondamentale,

 

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quell’aspetto della realtà umana esistenziale che decide di per sè della possibilità della sintesi ontico-essenziale di essa con la forma religiosa dinamica della realtà storica. Diciamo di per sè, e non attraverso la mediazione di un altro aspetto, poiché in tal caso l’aspetto fondamentale sarebbe precisamen­te questo.

Orbene, in base a tale criterio, il primo aspetto decisivo

– e perciò fondamentale – della realtà umana esistenziale, sarà il suo aspetto religioso, tenendo aperto il significato di «religioso» al suo intero significato formale, senza nessuna sua riduzione preconcetta o puramente empirica. Ed invero, nemmeno come dato di esperienza il «religioso» potrebbe ridursi a un semplice significato rituale, o comunque a un significato non-ontico: sarebbe infatti un ricadere nell’astra­zione e nell’analisi, negando al dato di esperienza religioso la sua onticità di realtà religiosa, che gli deriva dalla sua concretezza e gli conferisce appunto il suo valore realistico. In ogni caso l’aspetto fondamentale religioso non fa difficoltà poiché, ammessa la forma dell’EDUC come forma dinamica religiosa, il primo TD sarà quello della religiosità. Né d’altra parte sarebbe possibile negare l’aspetto religioso della realtà umana esistenziale come fondamentale, anche se, empirica­mente, si è ben lontani dal misurarne la portata.

Passiamo pertanto agli altri aspetti fondamentali di essa. Tali aspetti, appunto perché fondamentali, dovranno trovarsi necessariamente in connessione tra loro, poiché in tanto la loro fondamentalità avrà un valore ontologico e non sempli­cemente logico, in quanto precisamente saranno solidali al punto da appoggiarsi e illuminarsi a vicenda, e costituire come un aspetto fondamentale unico. Ed invero, nell’ipotesi che non fossero tali, ammettendo fra di loro una reale indi­pendenza, ci troveremmo di fronte ad una incrinatura nella stessa realtà umana esistenziale, che preluderebbe fatalmente al regnum in se divisum desolabitur, e metafisicamente tor­nerebbe a demolire l’EDUC o comunque a renderlo impos­sibile.

Per la loro individuazione pertanto, basterà seguire il filo conduttore dello stesso aspetto fondamentale religioso, sicuri che ciò che non è fondamentalmente solidale con esso

 

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non potrà partecipare della fondamentalità, sia pure ancora materiale ed empirica, della realtà umana esistenziale. In virtù di questa premessa, il secondo aspetto fondamentale di detta realtà umana esistenziale dovrà essere quello missionario, nel senso che, in una realtà umana esistenziale dinamica quale è quella di cui noi ci occupiamo e a cui dovranno ap­partenere i TD che stiamo cercando, lo stesso aspetto fonda­mentale religioso rimane del tutto condizionato a quello missionario, che lo lancia, lo determina, lo alimenta.

Nasce così il secondo aspetto fondamentale della realtà umana esistenziale, che è appunto l’aspetto fondamentale missionario. Basterà aprire gli occhi per darsi conto speri­mentalmente della sua presenza e incidenza, anche se ciò purtroppo, risulta più in direzione negativa che positiva. In un mondo dinamico infatti, l’aspetto fondamentale religioso rivela il suo tremendo valore fondamentale e decisivo, non soltanto come espressione della forma religiosa vera, ma an­che come espressione dell’anti-forma religiosa e dell’anti-re­ligione. E poiché siamo preammoniti che i figli delle tenebre possono essere (e forse lo sono effettivamente) più prudenti dei figli della luce, non è difficile riassumere oggi questa loro prudenza nello sforzo missionario per imporre la loro antiforma religiosa, non per capriccio e forse nemmeno per istinto satanico, ma per la ragione del resto decisiva, che la loro antiforma religiosa rappresenta la segreta e insostitui­bile forza animatrice della loro prassi e dunque del loro EDUC.

E’ per questo che oggi (e tanto più domani) la realtà umana esistenziale si delinea sempre più come una lotta fra il bene e il male condotta sul fondamentalissimo terreno religioso e antireligioso, non più in senso dogmatico, ma in quel suo senso ontico ed esistenziale che traduce la lotta da lotta su idee e dogmi in astratto in lotta missionaria, combat­tuta con l’odio e la violenza, o con la carità e la mansuetu­dine, a seconda della forma o antiforma religiosa che la ispira e diventa determinante.

Passiamo al terzo aspetto fondamentale della realtà uma­na esistenziale, necessariamente connesso coi due primi perché esso stesso condizionato e condizionatore di quelli. Pos-­

 

 

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siamo infatti domandarci: in pratica, i due aspetti fondamen­tali religioso e missionario, e soprattutto quest’ultimo, da che cosa vengono immediatamente garantiti?..

L’esperienza ci dice che questa loro garanzia immediata dipende da un particolare tipo di, preparazione e capacità a vivere ed agire, che s’impartisce all’uomo singolo e con esso alle cosiddette masse. L’aspetto religioso e missionario della realtà umana esistenziale, infatti, viene indubbiamente con­dizionato e determinato dallo slancio religioso e missionario degli individui e delle masse, acquisito attraverso la preparazione suddetta, o almeno dalla loro capacità recettiva mis­sionaria e religiosa. Ciò appare sperimentalmente così evi­dente, che il fenomeno del monopolio della cultura per mezzo della scuola e delle comunicazioni di massa, e in assenza del monopolio, della contesa per gli strumenti della cultura, anziché a rientrare è destinato ad accentuarsi sempre mag­giormente.

Ecco pertanto il terzo aspetto fondamentale della realtà umana esistenziale: l’aspetto educativo, nel senso specifico ed inequivoco di educazione come preparazione a vivere ed agire, colto nella sua totalità e più ancora nel suo senso fondamentale, che almeno negativamente sarà fondamentale, purtroppo, anche nel caso dell’educazione più superficiale e magari sommersa nei suoi aspetti naturalistici e tecnici. Non basta invero dichiarare dogmaticamente che l’educazione è e deve rimanere un fatto umanistico. Per la sua fondamen­talità, che in concreto si pone automaticamente, ogni educa­zione è necessariamente una concreta scelta teologica o ateo­logica, al di fuori, e forse contro, le intenzioni di chi la teo­rizza e la pratica.

Ma gli aspetti fondamentali della realtà umana esisten­ziale non si esauriscono in questi tre. Dopo quello religioso, missionario, educativo, viene il quarto, che è l’aspetto fonda­mentale morale. La morale è oggettivamente e formalmente norma. E sarebbe assurdo e addirittura empio supporre una realtà umana esistenziale non interessata dalla norma morale. Dimodoché il dato sperimentale della norma morale, appare anch’esso come un aspetto davvero fondamentale, nella realtà umana esistenziale.

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Non dobbiamo tuttavia dimenticare che attualmente ci troviamo in una realtà umana esistenziale onticamente ed esistenzialmente dinamica, nel senso che si costruisce, «di­venendo» attivisticamente; e che metafisicamente, come EDUC, addirittura si autocostruisce. Ed allora è ovvio che la norma destinata ad imporsi alla realtà umana esistenziale come sua fondamentalissima norma morale, debba essere la norma della sua costruzione, anzi, della sua autocostruzione. Morale dinamica, anch’essa, in una parola: non nel senso che muti, o incoerentemente si adatti alla situazione, ma nel sen­so che si impone come norma dinamica costruttiva, nel modo più coerente ed univoco.

Che ciò corrisponda al dato di esperienza, e tale sia la realtà anche solo empiricamente, appare purtroppo evidente dal fatto che l’abdicazione alla norma morale dei Dieci Co­mandamenti e dello stesso diritto naturale, non si opera che con la sostituzione di una morale costruttiva (per quanto spesso immorale e magari a servizio della distruzione), la quale talora s’impone con una consequenzialità e con un ri­gore spaventoso e brutale.

E’ un po’ la nostra triste condizione, quella di doverci scuotere nel bene attraverso i colpi ricevuti dal male. Non sarà forse una tale morale costruttiva, pur così deprecabile in se stessa, a suggerirci la giusta combinazione tra una mo­rale normativa di puro comportamento, spesso svuotata dalla casistica o facilmente degenerabile in fariseismo, con la genuina e completa morale del Vangelo, che è la morale costruttiva per eccellenza, fino alla suprema prestazione del martirio?

Il quinto ed ultimo aspetto fondamentale della realtà umana esistenziale è quello sociale, ossia l’aspetto che si rife­risce ad una convivenza umana veramente funzionale, nel senso che funzioni davvero bene. Esso rappresenta la grande preoccupazione del mondo di oggi, la quale sta alla base di tutte le sue agitazioni politiche, economiche e sociali, ed ispira i suoi sforzi titanici nel campo del progresso tecnico. E costituisce per molti l’ideale supremo, l’alfa e l’omega della esistenza e del destino dello stesso genere umano, come ele­mento ispiratore dell’intera catena degli aspetti fondamentali

 

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della realtà umana esistenziale, a cominciare da quello reli­gioso (o antireligioso), e come sbocco finale e supremo di essi.

Attraverso il più che evidente dato di esperienza che lo riguarda, ci limitiamo a prendere atto anche dell’aspetto fon­damentale sociale della realtà umana esistenziale, come quinto ed ultimo aspetto fondamentale di essa, prescindendo per ora dal discutere l’esclusività dei cinque aspetti recensiti

,ed aggiungendo soltanto che ad essi corrispondono le cinque formalità dinamiche trascendentali dell’EDUC e della realtà storica come EDUC, le quali saranno appunto quelle della religiosità, missionarietà, educatività, moralità, socialità, da noi chiamate semplicemente trascendentali dinamici (TD).

 

3 – La forma e il dominio della realtà storica

Abbiamo individuato i cinque aspetti fondamentali della realtà umana esistenziale, allo scopo precisamente di artico­lare i trascendentali dinamici in modo tale, da garantire alla forma dinamica religiosa l’effettivo dominio della realtà sto­rica, perché appunto la possa attuare, unificare, costruire come realtà ontica e religiosa, sì da garantirne la salvezza e la relativa natura e funzione.

Tutto questo non è possibile a ottenersi senza la media­zione degli stessi TD, e dunque senza la messa in moto della prassi, poiché la forma dinamica non compie automaticamen­te il suo ufficio come avviene per la forma statica in natura rerum, ma dipende essa stessa dell’attivismo proprio del­l’EDUC ossia dalla prassi. Ora la prassi non si muove senza l’incarnazione in se stessa della forma dinamica religiosa, la quale incarnazione dev’essere precisamente operata dai TD che così, attraverso la propria mediazione, metteranno la prassi a servizio della forma, garantendone il rispettivo dominio.

Come già sappiamo, per l’identità reale della materia con tutta la realtà umana esistenziale e per la compenetra­zione della forma nelle quattro cause, il dominio della forma dovrà esercitarsi non soltanto sulla materia, come materia, ma su tutto l’EDUC come tale, e come realtà storica in tutta la sua concretezza esistenziale. Di qui l’interesse dei suoi l10

aspetti fondamentali in ordine al suo dominio e l’importanza davvero eccezionale dei TD, precisamente come mediatori del dominio della forma dinamica religiosa sulla realtà storica, attraverso la messa in moto della prassi. E’ un’importanza che si aggrava pel fatto che essi rappresentano una spada a dop­pio taglio, la quale, una volta tratta dal fodero, non vi si può rimettere, né si potrebbe bloccare nell’inerzia.

La ragione di tutto ciò torna ad essere il passaggio da un mondo umano esistenzialmente statico all’attuale nostro mondo dinamico. Il quale passaggio, una volta operato non è più reversibile, al di fuori dell’ipotesi di una catastrofe nucleare che riconduca il genere umano a uno stadio di vita primitiva. La condizione della sua recessione infatti sarebbe la scomparsa della rivoluzione tecnica e industriale con un conseguente ritorno ad un regime artigianale, che riconfe­risce alla persona umana il primato esistenziale da essa per­duto (pur conservando il suo primato metafisico essenziale di ente di primo grado) con l’avvento della rivoluzione indu­striale, e da questa conferito alla realtà storica come EDUC.

Tale avvento, di fatto si è risolto nella traduzione dello stesso EDUC come criptoessenza della realtà storica in EDUC come essenza ontica della realtà storica esistenzialmente li­berata e resa in tal modo manifestamente palese all’indagine metafisica, ed energicamente operante secondo la sua speci­fica natura dinamica di superagente fatto di onticità dina­mica e di prassi, in dipendenza dalla sua forma dinamica religiosa (o antireligiosa).

Ed invero, posta in un mondo dinamico la preminenza Si viene ad instaurare in tal modo il dominio diretto di quest’ultima sulla realtà storica in sostituzione al dominio della persona come natura, che si esprimeva direttamente e primariamente attraverso il meccanismo etico e giuridico. Il passaggio da un mondo statico al mondo dinamico importa quindi anche un passaggio di dominio dalla persona alla real­tà storica come EDUC, dall’etica e dal diritto alla forma dinamica religiosa (o antireligiosa), il quale rappresenta un problema delicatissimo di sintesi e di efficienza, dalla cui soluzione possono dipendere in larga misura le sorti della realtà storica nonché della stessa persona umana.

 

 

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essenziale ed esistenziale della forma dinamica religiosa sia sul piano della realtà storica come essere, che come prassi diventerebbe in gran parte illusorio voler dominare diretta­mente per mezzo dell’etica e del diritto la realtà storica stes­sa. Questa infatti viene ormai a dipendere direttamente dalla forma dinamica religiosa (o antireligiosa) e solo mediatamen­te dall’etica e dal diritto: nella misura recisamente che l’una e l’altro vengono riassunti e sintetizzati, postulati ed imposti, dalla forma dinamica religiosa stessa.

Si opera in tal modo una specie di inversione. anch’essa caratteristica del passaggio dal mondo statico al mondo dina­mico. ed è la seguente: sia nell’intimo delle coscienze che nella vita pubblica, non è più l’etica e il diritto che salvano la forma religiosa e la religione, ma saranno la forma religiosa e la religione n salvare l’una e l’altro. L’ultima parte dell’asserto va intesa in senso realistico dinamico, che tra il resto, tradurrà opportunamente la forma religiosa in forma ideologica.

La ragione del fatto sta nel passaggio della persona uma­na da ente di primo grado ad ente di secondo grado, reso inevitabile dal passaggio dal mondo statico al mondo dinamico. Tale passaggio sposta la sorgente ontica immediata dell’avere ed agire umano dalla persona come natura alla persona storicizzata e dunque alla persona come realtà storica. la cui sorgente ontica ed operativa immediata e suprema sta appunto nella forma dinamica religiosa operante nell’EDUC e coll’EDUC. E sarà questo ad imporre la sua etica e il suo diritto.

Nell’ipotesi che si tratti dell’EDUC vero e perciò anche della forma religiosa vera, etica e diritto torneranno ad es­sere l’etica e il diritto emananti dalla persona umana come natura. e per di più dinamizzati e potenziati a cagione della loro storicizzazione e integrazione dinamica. Al contrario, se si tratterà dell’antiforma religiosa, etica e diritto risulteranno in tutto o in parte fatalmente e irrimediabilmente compro­messi, pel fatto stesso che da essa vengono esclusi o adul­terati. .

Posta dunque tale preminenza e il conseguente dominio della forma religiosa sulla realtà storica e sulla stessa persona

 

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umana, come tradurre il dominio in questione in dominio effettivo?… A questo scopo ed in prima istanza, etica e di­ritto non servono poiché ne sono essi stessi dominati, diven­tando la conseguenza di tale dominio, più che la fonte. Torna la necessità dei TD, non comunque però. Ma di TD che veramente si adeguino al compito di rendere efficiente il domi­nio della forma sulla realtà storica. Diciamo che vi si adegue­ranno, se saranno in grado di dominare totalmente la persona umana storicizzata.

 

 

4 – Trascendentali dinamici e dominio dell’uomo

L’importanza dell’uomo e della persona umana non smi­nuisce nel suo passaggio da ente di primo grado a ente di secondo grado che anzi, ne viene esaltata. Cambia soltanto. Possiam dire, di segno, nel senso che da persona autonoma diventa parte di una realtà transpersonale o superpersonale; da portatore di norma, deve sottoporsi ad una norma che lo sovrasta; da dominatore, deve rassegnarsi ad essere un domi­nato; da una specie di piedistallo demiurgico, deve passare ad una situazione di subordinazione di sè e del suo piccolo o grande mondo, a quella realtà storica universale, che finisce per imporgli la sua legge…

In una parola, col passaggio da ente di primo grado a ente di secondo grado, l’uomo deve rinunciare a quella che forse crede l’espressione migliore di sè, ossia all’espressione esistenziale della propria natura – mentre non ne è affatto né la parte né l’espressione migliore -, per acquisire una nuova realtà ontica ed esistenziale – quella dell’intima es­senza dinamica della realtà storica -, che gli apre le porte del suo vero essere e del suo autentico destino.

Ad una condizione però: che si lasci investire piena­mente dalla forma dinamica religiosa della realtà storica. che dobbiamo evidentemente supporre sia la vera. D’altra Parte questa è l’attuale situazione della persona umana che si storicizza non più in un mondo statico, ma in un mondo dinamico: diventare una parte ontica ed esistenziale della realtà storica come EDUC; diventarne la parte determinante. destinata a ripeterne la trascendente natura e ricchezza. nella misura che nella stessa persona umana s’incarna la forma

 

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dinamica religiosa di esso; e diventare della stessa forma il soggetto portatore e veicolare decisivo.

La forma dinamica religiosa pertanto dominerà la realtà storica, alla condizione di dominare l’uomo, la persona umana storicizzata. E la dominerà, nella misura che sarà in grado di dominare l’uomo effettivamente, per mezzo di quegli stru­menti del suo dominio e più precisamente della sua efficienza, che sono i TD. Torna così la questione dei TD che servono la forma dinamica religiosa, da commisurarsi questa volta con la persona umana stessa, poiché il dominio della forma su di essa e per suo tramite sulla realtà storica è appunto condizionato al dominio dell’uomo da parte dei TD.

Ora, quali saranno i TD capaci di dominare dal di sopra e dal di dentro tutto e totalmente l’uomo, sì da dominare at­traverso la sua mediazione l’intera realtà storica?… Sulla base di un esame della persona umana storicizzata in rapporto con l’Assoluto, la risposta non appare difficile. Storicizzazione della persona in un mondo dinamico, significa la posizione esistenziale concreta di essa nella realtà storica, condotta fino al confronto risolutivo con l’Assoluto, operante nella realtà storica stessa come sua forma dinamica religiosa, a valore ontico e salvifico.

La persona umana così storicizzata, infatti, è parte della realtà storica senza la possibilità di rifiutare la propria sto­ricizzazione o di scegliere un altro tipo di salvezza all’infuori di quella che s’incarna nella realtà storica come EDUC. Il bisogno dell’Assoluto come salvezza è il supremo bisogno del­l’uomo, e il suo soddisfacimento si trova sempre implicito nell’accettazione dell’Assoluto o dello pseudo-Assoluto, anche solo dal punto di vista ontico.

Ne risulta che non è possibile il rifiuto di un Assoluto salvifico, se non a condizione di consegnarsi, volenti o nolenti, ad un altro, fosse anche solo attraverso una sua illusoria pre­ferenza ontica. «Chi non è con me è contro di me». Queste parole di Cristo, a parte la dinamica della gradualità e della fluttuazione esistenziale dell’uomo con la conseguente possi­bilità di conversione, per la persona umana storicizzata in un mondo dinamico esprimono una letterale tragica realtà. Essa infatti si trova immersa e continuamente permeata da

 

una realtà storica che porta con sè e rende operante un Asso­luto ad un tempo ontico e salvifico, sia per il bene che pur­troppo per il male, in modo tale che il rifiuto dell’Assoluto vero non può risolversi che nell’accettazione dell’Assoluto falso.

E’ questo il meccanismo che svela appunto da parte del­l’Assoluto come forma ontica e salvifica, la messa in moto del TD della religiosità, che domina la persona umana stori­cizzata senza possibilità di evasione. Come e fin dove la do­mini, viene indicato dalla seguente analisi esistenziale di essa.

La persona umana storicizzata si presenta in questa sua articolazione esistenziale: appare dotata di vita individuale e collettiva; e la sua stessa vita individuale e collettiva risulta impostata su due poli originari diversi, che mediante il loro asse la dominano completamente, dal di sopra e dal di dentro.

 

Per la vita individuale della persona umana storicizzata, i due poli sono quelli dell’educazione e della morale; per la sua vita collettiva, sono i poli della socialità, e della missio­narietà. Sono i quattro poli originari che si distribuiscono in­teramente la realtà esistenziale concreta della persona umana storicizzata, cogliendola nelle sue quattro radici, senza possi­bilità radicali residue, poiché tutto il resto non sarà che espli­citazione, applicazione, sviluppo di esse.

E sono altrettanti poli di natura dinamica, sintetica e concreta, perché riferentisi alla persona umana dinamicamen­te storicizzata; di conseguenza necessariamente incorporati alla realtà storica come EDUC, di cui, al livello metafisico e non semplicemente empirico e fenomenico, risultano una fondamentale espressione ontica e praxiologica, rivelandosi come le leve segrete che assicurano il dominio dell’uomo e mediante l’uomo il dominio del mondo. E’ infatti evidente che attraverso il blocco dinamico dell’educazione, della mo­rale, della socialità e della missionarietà, la persona umana cade nel pieno dominio di chi manovra le leve suddette.

 

Ma nella realtà storica come EDUC, chi in definitiva e nella posizione veramente determinante manovra dette leve è l’Assoluto come forma dinamica religiosa (o antireligiosa). E le manovra appunto come TD: come quei TD, che lo pon-­

 

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gono effettivamente in grado di dominare l’uomo, e con l’uomo l’intera realtà storica.

 

5 – TD sintetico e TD analitici

 

L’individuazione dei quattro poli che contengono e circoscrivono l’intero vivere ed agire della persona umana stori­cizzata in tutta la sua concretezza esistenziale, e il loro rife­rimento all’Assoluto come forma dinamica religiosa della realtà storica, li ha indicati come TD al servizio di tale forma, per assicurarle precisamente il dominio che le compete e assicurarne di conseguenza la piena e insurrogabile funzione.

Nondimeno, tutto ciò sarà vero effettivamente, alla con­dizione che i TD così individuati ripetano la forma dinamica religiosa e più precisamente il TD della religiosità già da noi stabilito. Ed invero, se non reincarnassero la forma dinamica religiosa sia pure attraverso il correlativo TD della religiosità, detti TD sarebbero nulli, perché privi della forza dell’Asso­luto. E la religione, morale, socialità e anche missionarietà, tornerebbero al loro solito significato puramente etico od esistenziale, senza risolvere il problema di dominio che ci interessa, votando così alla sterilità e all’impotenza la forma dinamica religiosa non servita dai TD, che potrebbe essere proprio quella buona.

Vediamo pertanto il rapporto fra il TD della religiosità e gli altri quattro TD testé individuati, che esprimeremo con i termini tecnici richiamanti la loro natura di formalità, già altra volta da noi stabiliti, e corredati ora anche di una rispet­tiva sigla. Sono appunto i seguenti: educatività (TDE), mora­lità (TDMor), socialità (TDS), e missionarietà (TDMis).

Per essere appunto trascendentali dinamici, in modo da dominare l’uomo e la realtà storica dal di sopra e dal di dentro, attraverso una trascendenza-immanenza che loro as­sicuri tale dominio, essi dovranno partecipare necessariamen­te la trascendenza-immanenza dell’Assoluto come forma di­namica religiosa, diventandone i portatori, non però in pro­prio, ma come ripetizione del TD religioso (TDR) sotto un profilo speciale ben definito. I TD sono infatti formalità ontico-praxiologiche riferentisi direttamente all’EDUC ed impegnati con la sua intera concretezza.

 

Dal tipo di ripetizione suddetta risultano evidenti due cose: la prima è la seguente. Il TDR rispetto agli altri avrà un valore sintetico nel senso di «totale», adeguandosi al­l’Assoluto che si incarna come forma, senza limitazioni for­mali. Lo chiameremo pertanto TD sintetico, e corrisponderà al TDR. Di conseguenza gli altri quattro risulteranno anali­tici, e così saranno chiamati nel senso che esprimono una articolazione formale del TDR, e si trovano impegnati a pro­muovere un aspetto formale del medesimo.

La seconda conseguenza a cui si alludeva si è che tutti e cinque i TD saranno di natura religiosa, senza alcuna pos­sibilità di suddividerli in «sacri» e «profani» o più esatta­mente, senza poterli sganciare dal rispettivo Assoluto come forma dinamica. La stessa loro divisione in TD sintetico e TD analitici, non ha e non può avere valore analitico vero e proprio, coerentemente alla dialettica dell’EDUC, la quale come ben sappiamo non ammette che l’analisi metodologica di ripensamento e di approfondimento. Tale dialettica sinte­tica e concreta investe, come è ovvio, anche, e dobbiamo dire in modo specialissimo, i TD. I TD analitici quindi non sono parti ontiche del TD sintetico, ma ne sono unicamente altrettanti aspetti formali che – secondo la nota legge dei trascendentali per la quale essi formaliter distinguuntur sed realiter identificantur – realmente si reciprocano tra loro e con lo stesso TD sintetico. Non potranno quindi essere se non religiosi, al pari di esso, tenendo conto del significato dell’aggettivo già discusso e chiarito in precedenza.

E’ una conseguenza, od esplicitazione che dir si voglia, di estrema importanza, poiché i TD saranno davvero a ser­vizio della forma dinamica religiosa e dunque del rispettivo Assoluto, ed assolveranno concretamente la funzione di ren­dere effettivo ed efficiente il suo dominio sulla realtà storica come EDUC ponendo in moto la relativa prassi, alla sola condizione di riconoscersi e di attuarsi come TD anch’essi religiosi, e cioè in funzione dell’Assoluto come forma.

Senza la loro specifica natura religiosa infatti, e senza la presenza immanente, ed operante dentro di essi, dell’Assolu­to, non sarebbero né trascendentali, né dinamici. Non tra­scendentali, perché privi di quella trascendenza-immanenza

 

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che li rende capaci di dominare dal di sopra e dal di dentro la persona umana storicizzata e la realtà storica con essa. E non dinamici, poiché, rifiutata la fonte della dinamicità che è appunto l’Assoluto come forma dinamica religiosa, non ri­mane loro che fare appello alla sola persona come natura, ciò che del resto continua purtroppo ad avvenire, ricadendo così nello statico e addirittura nel fatto empirico. Il quale «statico», essendo anche analitico ed astratto, consumerà l’analisi e l’astrazione, come effettivamente si constata, prima di tutto a danno del religioso, fino all’assurda conseguenza (anche da parte di cattolici) di concepire l’educatività, la moralità, la socialità, al di fuori della religiosità!…

 

Dobbiamo pertanto concludere che anche i TD analitici saranno e non potranno essere che «religiosi», pena il rinne­gamento della loro natura di TD, e l’impossibilità di tradurre in atto la forma dinamica religiosa mobilitando la prassi al suo servizio. Lo stesso TD sintetico infatti, che è quello reli­gioso, non può rendersi efficiente che attraverso i TD analitici, per la ragione che la persona umana in concreto si domina attraverso di essi, e in modo tale, da non poter essere investita dalla forma dinamica religiosa che attraverso l’educatività, la moralità, la socialità, la missionarietà, precisamente come TD, che si sintetizzano nel TD sintetico della religiosità arti­colandolo nelle sue fondamentali funzioni ontico-praxiologi­che.

Non bisogna infatti dimenticare che l’Assoluto come forma religiosa primaria, e con esso la forma dinamica reli­giosa derivata e i rispettivi TD, è innanzitutto forma ontica; e che salva, diventando appunto forma salvifica, conferendo un nuovo essere e pertanto una nuova capacità di vivere ed agire. I TD quindi, in tanto saranno tali in quanto precisa­mente diverranno effettive formalità ontico-praxiologiche veicolari del nuovo essere e della nuova capacità di vivere ed agire, e dunque dell’Assoluto come forma dinamica reli­giosa (sia pure come forma ontica in prima istanza), diven­tando formalmente e specificamente religiosi essi stessi.

 

Le conseguenze di questa loro intima struttura costitu­zionale e funzionale diventano intuitive. È la consacrazione concreta, ontica ed operativa, della vita umana e della realtà

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storica come religiose, non in senso «sacrale», ma nel senso assai più profondo e impegnativo di quel religioso metafisi­camente ontico-praxiologico e salvifico, che viene a coinci­dere con la operante forma dinamica religiosa a funzione ontica e salvifica ad un tempo, nelle sue tre articolazioni che già conosciamo: ontico-metafisica, in rapporto alla realtà sto­rica totale; religioso-sacrale salvifica, in rapporto alla realtà storica come religione; e religioso-ideologica, in rapporto alla realtà storica profana.

In particolare, è da richiamarsi la redenzione e il ricupero per questa via, di quell’etica e legge naturale la cui fonte è la persona umana come natura. In un mondo dinamico come il nostro, o la persona umana e la relativa etica e legge naturale si storicizzano diventando realtà dinamica e «religiosa», o finiranno per restare più o meno sterili ed inerti al margini della realtà storica, perché non animate dalla forma dinamica religiosa di questa, o peggio, perché travolte dalla forma dinamica antireligiosa.

 

6 – Tutti e solo i cinque TD recensiti

 

Dopo aver stabilito il TD sintetico e la sua articolazione nei quattro TD analitici, è il caso di domandarsi se tale arti­colazione sia esauriente; se cioè, in altre parole, i TD siano solo cinque, e precisamente tutti e solo quei cinque finora individuati. E’ una questione di non lieve importanza teore­tica e pratica, se non altro per il fatto che oggi l’attenzione anche da parte degli stessi studiosi non sempre verte sopra di essi.

Ci sono infatti altri fattori dell’odierna realtà storica che senza dubbio risultano più vistosi, e possono apparire per essa, anche più determinanti che non i più o meno igno­rati cinque TD. E’ facile alludere in proposito, per esempio, alle cosiddette cinque leve dell’opinione pubblica, che vanno sotto il nome di cinema, radio, televisione, giornalismo, e stampa di qualsiasi genere: come se queste cinque leve in piena concretezza esistenziale pratica, fossero manovrabili senza la preventiva e concomitante manovra dei cinque TD, i quali forse rappresentano appunto le leve segrete di quelle altre a tutti note.

 

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Ma a prescindere dalle leve dell’opinione pubblica, inve­ce di puntare sui nostri TD si potrebbe puntare su altri aspetti fondamentali (e apparentemente trascendentali) della realtà storica, come la libertà, la democrazia, l’economia, la politica, la tecnica, il progresso, il benessere, una supergiu­stizia sociale, ecc., ponendo in discussione i nostri cinque TD.

I TD dunque saranno tutti e solo i cinque da noi indi­viduati?… L’importanza della questione è sostanzialmente identica a quella dell’attuazione della materia della realtà storica da parte della sua forma e a quella della sintesi fra le due, poiché la sintesi ed attuazione suddetta non si opera che per mezzo della prassi messa in moto da un adeguato schieramento di TD in sinergia tra loro. Si tratta perciò anche qui di una importanza decisiva. Un errore o una lacuna in riferimento al TD, seppure non irrimediabile può diventare ugualmente fatale. Vediamo dunque di accertarli nel miglior modo possibile.

Abbiamo praticamente individuati i nostri TD attraverso una duplice via, che conviene qui richiamare e valutare. E’ stata la duplice via, dell’analisi della persona umana stori­cizzata, e degli aspetti fondamentali della realtà storica come aspetti radicali e decisivi di essa. L’analisi della persona umana storicizzata è consistita in una riflessione sulla per­sona umana integrata esistenzialmente nella realtà storica come EDUC, condotta alla luce della sua forma, in funzione precisamente dell’attuazione della persona umana storicizzata da parte della medesima.

Il ragionamento, almeno in termini impliciti, è stato il seguente. La forma dinamica religiosa della realtà storica come EDUC attua la persona umana storicizzata che entra a far parte della sua materia, ponendola innanzitutto in sintesi con l’Assoluto, inteso nella sua bivalenza ontica e salvifica. E’ una sintesi di natura dinamica, ossia attivisticamente dive­niente nello spazio e nel tempo, e dunque essenzialmente operativa, di quella operatività che spetta alla prassi, appunto come attivismo autocostruttivo dello stesso EDUC, e sinte­tizzatore della materia (a cominciare dalla persona umana) nella forma.

Ma la prassi non opera né potrebbe operare in tal du­plice senso, se non attraverso l’Assoluto immanentizzato come forma nell’EDUC; e dunque attraverso lo stesso EDUC che assume in tal modo il suo inconfondibile significato e valore di TD religioso, ponendosi così in grado di sintetizzare nell’Assoluto come forma la persona umana storicizzata. Que­sta, sintetizzandosi dinamicamente nell’Assoluto come forma ontica e salvifica diventerà realtà religiosa essa stessa, accet­tando il pieno dominio dell’Assoluto come forma.

Nondimeno, affinché tale dominio diventi effettivo, è necessario che la forma religiosa investa la persona come materia non solo più o meno globalmente e genericamente, ma la penetri intimamente nelle sue radicali ed essenziali articolazioni concrete, sì da dominarne l’intera concretezza esistenziale ontica ed operativa. Si riaffacciano così quelli che abbiamo chiamato i quattro poli della persona umana storicizzata, indicativi dei quattro TD che debbono soddisfare a detta richiesta della forma. Essi sono i TD analitici della educatività, moralità, socialità, e missionarietà.

Poli e TD, risultano esaurienti?… La risposta deve essere suffragata contemporaneamente dal dato di esperienza e dal­la riflessione razionale, in funzione della forma. I TD non possono essere che funzioni dell’Assoluto come forma e della forma dinamica religiosa, e non già della materia, per una intima contraddizione in termini. Non è infatti la materia che attua la forma, ma la forma, e con essa i TD in funzione della forma, che attuano la materia. Il criterio pertanto della loro articolazione non andrà desunto dalla vistosità e dal peso bruto della materia, ma dalla immediatezza del suo rapporto con la forma e dalla connaturalità reciproca.

In base a questi principi, dobbiamo senz’altro prendere atto del fatto che i quattro poli in questione rappresentano una analisi esistenziale concreta della persona storicizzata, pienamente adeguata ed esauriente. Inoltre, dobbiamo dire che prospettano un complesso di «materia» che è certo la più immediatamente connessa e la più connaturale con l’As­soluto come forma e con la forma dinamica religiosa della realtà storica. Non resta che da concludere, da parte della persona umana, che i TD analitici debbono essere i quattro sopraddetti ed essi soli.

 

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Distribuiti sull’asse verticale della vita individuale e su quello orizzontale della vita collettiva, e combinati con la loro visione sferica derivante dal TD sintetico, i cinque TD ven­gono a coinvolgere l’intera persona umana storicizzata, do­minandola completamente dal di sopra e dal di dentro in tutte le sue dimensioni ontiche ed operative, e stabilendo di conseguenza, tramite la persona storicizzata, il pieno dominio proprio e della forma dinamica religiosa sulla realtà umana esistenziale.

Non è una sorpresa pertanto se i suoi cinque aspetti fondamentali i quali hanno offerto sperimentalmente la pri­ma indicazione dei TD, corrispondono all’articolazione esi­stenziale della persona umana storicizzata e non ne siano che l’espansione e l’interpretazione. La persona umana storiciz­zata sta necessariamente alla radice della realtà umana esi­stenziale e rimane la chiave della realtà storica, onde l’una e l’altra non possono esprimersi fondamentalmente che nel senso della storicizzazione fondamentale della persona umana stessa, la cui ragione sarà sempre l’immediatezza del rapporto tra forma e materia e la loro connaturalità reciproca.

Religiosità; educatività; moralità; socialità; missionarietà. Ecco dunque, tutte e sole, le formalità trascendentali del­l’EDUC e della realtà storica, ossia i cinque TD. Ma la loro vera natura ed esclusività va penetrata più intimamente e riconfermata per mezzo dei loro caratteri distintivi essenziali.

 

7 – I cinque caratteri distintivi

 

I caratteri di cui dobbiamo occuparci, distintivi dei TD perché esclusivi di essi, implicano una particolare riflessione sopra la loro natura dalla quale emanano, e che pertanto va richiamata e tenuta presente. Il trascendentale è stato da noi definito come una formalità che domina dal di sopra e dal di dentro tutto e totalmente il rispettivo ente, che sarà appunto: o l’ente come tale, o l’ente dinamico. Il trascendentale appare quindi come una formalità trascendente-immanente.

Se ci occupassimo soltanto dei trascendentali dell’ente come tale, riducendosi essi di per sè ad una concezione astrat­ta che è poco più di una curiosità metafisica, ogni approfondi­mento avrebbe potuto restare superfluo, compresa la defini-

 

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zione data. Sarebbe infatti stato sufficiente il dire che il tra­scendentale è una formalità, proprietà o qualità dell’ente come tale; e nient’altro.

Per i TD invece la cosa è diversa. Non solo la loro indi­viduazione è risultata più difficile, ma anche la loro elabo­razione appare più complessa, dando luogo ad una teoria – la teoria dei TD – che può assumere un peso determinante nel realismo dinamico o comunque nel trattamento della real­tà storica sia teorico che pratico, con una loro applicazione assai più incisiva.

Ciò che però più importa in riferimento alla natura dei TD, sono i tre punti seguenti: primo, essi sono formalità tra­scendenti-immanenti dell’EDUC e quindi della realtà storica a cui direttamente si riferiscono ed appartengono; secondo, si pongono sulla linea della sua forma (e non della materia), che è la sorgente da cui sono originati, pur distinguendosi formalmente da essa; terzo, si riferiscono geneticamente al Divino come forma primaria, si da incarnarlo dentro di sè operativamente, ed applicarlo funzionalmente nella forma dinamica religiosa derivata, ed effettualmente alla materia.

Ora, se si pongono in rapporto fra loro questi tre aspetti della essenza intima dei TD, non è difficile darsi conto del fatto che essi risultano l’espressione del trascendente divino reso immanente ed operante nell’EDUC, come sua forma di­vina trascendente-immanente, conferendo ad un tempo allo stesso EDUC la polivalente formalità divina trascendente-immanente dei TD.

Questi pertanto dovranno necessariamente portare con sè i caratteri combinati del trascendentale e del Divino: del trascendentale che incarna il Divino; e del Divino che sor­regge il trascendentale. Essi risulteranno appunto i caratteri distintivi esclusivi e discriminativi dei TD, e saranno i cinque seguenti: l’universalità, la necessità, l’assolutezza, la supremazia, e la irriducibilità.

Detti caratteri, appunto perché caratteri dei trascenden­tali, dovranno riscontrarsi anche nei trascendentali dell’ente come tale, i quali dovranno essere, tutti e singoli pertanto, universali, necessari, assoluti, supremi, e irriducibili. Se ci richiamiamo i cinque trascendentali in questione, ossia l’ente,

 

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l’uno, il vero, il buono, e il bello, e li confrontiamo con l’ente come tale constateremo facilmente che l’ente, qualsiasi ente, non potrà non cadere sotto di essi sì da risultare ontologica­mente ente, uno, vero, buono e bello, in dimensione univer­sale, in modo necessario, in senso assoluto, a livello supremo, e in termini irriducibili.

Vi cadrà in dimensione universale, innanzitutto: poiché ogni ente, in tutta la sua estensione e contenuto, è concretamente quel dato ente, e perciò anche ontologicamente uno, vero, buono, e bello. E lo sarà in modo necessario, poiché non potrà non esserlo. Cadrà inoltre sotto detti trascendentali in senso assoluto, e cioè senza condizionamento che relativizzi dette formalità limitandole o comunque subordinandole a qualcos’altro.

Continuando il confronto, qualsiasi ente sarà poi ontolo­gicamente ente, uno, vero, buono, e bello, a livello supremo, nel senso della sua più alta considerazione possibile, che è appunto quella ontologica. Lo sarà finalmente in termini irriducibili, poiché ognuna di dette formalità trascendentali non è riducibile a nessun’altra, né superiore, né inferiore, né adiacente, quali sarebbero le concomitanti formalità trascen­dentali, perché anch’esse egualmente irriducibili sia fra loro che con la stessa formalità trascendentale di ente. Esso infatti, come formalità trascendentale sintetica comprenderà le ana­litiche, ma senza «ridurle».

Dalle modalità del rapporto concreto tra l’ente come tale e i suoi cinque trascendentali, risultano appunto i cinque ca­ratteri di questi; i TD quindi saranno formalità universali necessarie, assolute, supreme, e irriducibili. E lo saranno esse sole, poiché nessun’altra formalità risulterà ontologicamente o irriducibilmente tale. Detti caratteri pertanto appunto perché esclusivi dei trascendentali, saranno anche, per loro, di­stintivi e discriminativi, siano essi i trascendentali dell’ente come tale, o siano i trascendentali dinamici.

Sarà nondimeno opportuno aver presente la diversità di significato e di applicazione di detti caratteri al due ordini di trascendentali, la quale diversità è quella abituale delle due metafisiche, e si riflette sui rispettivi trascendentali , nonché sui caratteri discriminativi di essi. Questi rimarranno

 

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naturalmente identici, ma con significato e valore diverso. Conforme alla metafisica analitica ed astrattiva dell’ente co­me tale, i suoi trascendentali saranno anch’essi di indole ana­litica e astrattiva, nel senso che si applicano analiticamente e astrattivamente alla molteplicità degli enti in concreto e beneficiano di una loro universalità che è soltanto logica.

L’ente come tale infatti (parliamo dell’ente e non del­l’essere partecipato) si può intendere in senso universale, ma assume in tal caso il valore di universale logico. In concreto e come ente creato, si particolarizza ontologicamente. ma la sua formalità ontica rimarrà la sua prima formalità trascen­dentale, analitica rispetto agli altri enti, eminentemente sin­tetica rispetto alle altre quattro formalità trascendentali del­l’ente come tale, e sempre astrattiva: ma di una astrattività «trascendentale», ossia permeativa di esso, anziché selettiva. La stessa dialettica analitica ed astrattiva si ripeterà per le formalità trascendentali dell’uno, vero, buono, e bello, nonché per i caratteri discriminativi che ci interessano, in quanto si applicano al trascendentali dell’ente come tale.

In riferimento al TD invece, i cinque caratteri discriminativi entrano in funzione senza limitazioni, nel loro signi­ficato ed applicazione più piena. Si tratta infatti da una parte dei trascendentali dell’EDUC che è ente dinamico universale, reale, sintetico, concreto, uno ed unico, e dall’altra dello stes­so Divino come forma, che rispetto all’EDUC non può essere che forma universale necessaria, assoluta, suprema. e irriducibile. Tali pertanto dovranno essere anche i TD in cui il Divino si incarna onticamente e praxiologicamente. sì che TD siano tutti e solo quelli a valore universale, necessario, assoluto, supremo, e irriducibile.

 

8 – Essi soli

 

Che tali siano i TD della religiosità, educatività, moralità, socialità e missionarietà, non vi può esser dubbio, poiché, non essendo essi che ripetitori essenziali ed esistenziali dello stesso Divino od Assoluto come forma, in funzione ontico-praxiologica e pratico-operativa; non possono non parteci­parne i caratteri di universalità, necessità, assolutezza, supre­mazia e irriducibilità.

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E che lo siano essi soli, risulta dal fatto che non è esco­gitabile altra formalità dell’EDUC ripetitrice del Divino come propria forma con valore universale, necessario, asso­luto, supremo, irriducibile. Non la si trova sulla linea della forma, poichè l’articolazione di essa nella pentavalente funzione ontico-praxiologica rispondente ai cinque TD recensiti, risulta adeguata ed esauriente, come appare dall’analisi esi­stenziale della persona umana storicizzata in riferimento al dominio della forma, e dagli aspetti fondamentali della stessa realtà umana esistenziale.

Né, tanto meno, altra formalità a valore trascendentale sarebbe reperibile sulla linea della materia, poiché questa per sua natura non è e non pub essere ripetizione né essen­ziale né esistenziale della forma: al contrario, aspetta di essere attuata dalla medesima. Questa è la ragione per cui anche i suoi aspetti ed elementi più vistosi non sono trascen­dentali, a meno di venire assolutizzati in pseudotrascenden­tali (pseudo-TD).

Così, ad esempio, non esisterà il trascendentale della politicità, economicità, tecnicità, ecc., perchè si tratta di for­malità della materia, non dominatrici, ma dominate dalla forma, e non corredate dei requisiti che pongono il vero essere dei trascendentali come formalità dell’EDUC trascen­denti-immanenti. Politicità, economicità, tecnicità, come qual­siasi altra formalità anche di ordine spirituale come la libertà, rispetto all’EDUC non sono formalità nè universali, nè neces­sarie, nè assolute, nè supreme, nè irriducibili, sì da dominarlo interamente dal di sopra e dal di dentro. Sono semplicemente « materia ». O se si tratta di elementi che appartengono alla forma, non saranno che una parziale configurazione ontica od esistenziale di essa, in quanto appunto si tratterà di materia formata.

Ma si dirà: di fatto avviene il contrario. Tante altre for­malità, al di fuori delle cinque stabilite vengono assunte come TD, e funzionano come tali. Dunque la loro esclusività non tiene… E’ facile rispondere, concedendo e spiegando.

Che la politica, l’economia, la libertà, ecc. ecc., oggi ven­gano assunte come TD è un fatto. Il che può effettuarsi in due modi: o per surrogazione e sostituzione da parte di essi,

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dell’Assoluto vero, ed allora i detti aspetti della realtà sto­rica assumono un valore trascendentale perché appunto di­ventano l’Assoluto. Oppure si tratta semplicemente di « valori », al di fuori della questione « teologica » dell’Assoluto vero e falso. Dire infatti che la libertà, la giustizia, ecc. sono un valore trascendentale, non significa ancora sostituire « teologicamente » l’Assoluto vero rifiutandolo; significa sol-tanto impantanarsi per avventura nella palude degli pseudo-TD, pel fatto stesso che se ne ignora la natura e la dialettica.

In ambedue i casi si tratterà solo di pseudo-TD. Ma altro sarà lo pseudo-TD affermato come Assoluto, e altro lo pseudo-TD semplicemente come valore. La differenza consiste in questo, che lo pseudo-TD come Assoluto diventa forma dinamica antireligiosa mobilitatrice per conto suo dei cinque TD da noi recensiti (in senso di pseudo-TD evidentemente): re­ligiosità, educatività, moralità, socialità, missionarietà. Mentre lo pseudo-TD come valore non soltanto non li mette in moto, ma pel fatto stesso che li ignora o li equivoca, va a rischio di paralizzarli e di spegnerli!… In ogni caso, lo pseudo-TD come semplice valore sarà esso stesso messo in moto e spe­cificato dall’Assoluto come forma e dai TD di esso, precisamente come valore « valorizzato », ben lontano dall’essere un TD, sia pure come pseudotrascendentale.

L’unica concessione da farsi quanto all’esclusività o meno dei nostri cinque TD, riguarda proprio il trascendentale di­namico sintetico della religiosità, che positivamente richiama il Divino come forma dinamica religiosa della realtà storica, e negativamente richiama l’Antidivino come pseudoforma dinamica antireligiosa di essa.

Ora, è ovvio che nessuno (neppure l’ateo-materialista militante) ama parlare di « Antidivino » e di « antireligioso », almeno per una ragione di opportunità. Tanto meno accette­rebbe la parola « antireligioso » come espressione o qualifica del suo Assoluto e del suo TD sintetico in derivazione dal rispettivo Assoluto ateo-materialista.

E tuttavia, è precisamente su di esso e sul TD sintetico dell’antireligiosità che le moderne ideologie ateo-materialiste come anima della prassi puntano e fanno leva. Ora, proprio per la loro cautela e i conseguenti ripudi terminologici, come

 

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qualificheranno in concreto il loro Assoluto? Non certo come l’Antidivino, o l’Anticristo, o lo Spirito del Male: tutte cate­gorie di sapore religioso o addirittura biblico, che non inte­ressano più l’attuale materialismo ateo di natura ideologica, né quanto all’adottarle, né quanto allo smentirle; apparten­gono semplicemente ad un altro mondo culturale.

Le moderne ideologie, come anima della prassi, battez­zano il loro Assoluto come Politica, Economia, Liberalismo o Laicismo, Democrazia… Di conseguenza il corrispondente TD sintetico diventa la «politicità», la «economicità », la «ma­teria dialettica», la «liberazione», la «libertà», la «democraticità», la «laicità» in senso laicista, che può diventare il sinonimo più immediato di «antireligiosità», avendo in più dalla sua parte l’onorabilità del termine.

In tal modo è ovvio che accanto al TD sintetico della religiosità si pone una serie di altri TD sintetici. Ma non sono altro che sinonimi dello pseudo-TD sintetico dell’antireligiosità, che non moltiplicano il TD sintetico, ma lo quali­ficano solo negativamente (appunto come antireligiosità), sul terreno della concretezza storica esistenziale. Torna qui la solidarietà fra ontologia realistico-dinamica pura, e metafisica della realtà storica come concreta realtà umana esistenziale. A livello di ontologia realistico-dinamica pura (che è ancora di indole metodologicamente astrattiva), possiamo parlare di TD sintetico unicamente come religiosità (o antireligiosità). A livello di ontologia realistico-dinamica derivata ossia a livello di metafisica di realtà storica come tale, la religiosità e l’antireligiosità come TD sintetico dovranno esprimere il proprio contenuto e qualificarsi con esso.

 

Ecco perché in luogo del TD sintetico della antireligiosità compaiono, a seconda dei casi, la Politicità, l’Economicità, la Democraticità, la Laicità, ecc., precisamente come TD sinte­tico. Non si tratta quindi di una moltiplicazione di questo. Il TD sintetico rimane quello della religiosità col suo negativo nell’antireligiosità, la quale può assumere le concretizzazioni storiche e dunque le denominazioni più varie: dalla politicità, alla democraticità,… alla laicità, in dipendenza dal rispettivo Assoluto, coincidente di per sè con un valore che può esser positivo: per esempio la politica, l’economia, la democrazia…

 

Ciò che è negativo non sono questi valori in se stessi; è la loro assolutizzazione, con la loro traduzione in pseudo­-TD sintetici. Tali valori infatti cessano di esser positivi nella misura che si assolutizzano, assumendo precisamente il signi­ficato e la funzione di pseudo-TD sintetici, che a livello me­tafisico, e dunque al livello decisivo, tornano ad essere il TD sintetico della religiosità, sia pure nella sua edizione negativa di antireligiosità.

Dicasi altrettanto per i TD analitici, i quali, per l’ono­rabilità del loro nome, non impongono neppure il cambio di esso: dimodoché ogni ideologia porterà avanti la sua educatività, moralità, socialità, e «missionarietà», precisamente come suoi TD analitici.

Non è difficile rilevare come la politica, l’economia, ecc., rappresentino settori vistosissimi, e tuttavia parziali, dell’at­tuale realtà storica. Proprio perché «parziali», non possono e non dovrebbero assumere il valore di forma assoluta, e di formalità trascendentale. Se ciò avviene (come avviene effet­tivamente), danno luogo allo pseudo-Assoluto e al corrispet­tivi pseudo-TD, a cominciare dal TD sintetico. Che così av­venga, è un fatto che può essere evidente di per se stesso.

E’ più importante rilevare come tali pseudo-Assoluti coi loro rispettivi pseudo-TD funzionino oggi egregiamente, in virtù delle rispettive ideologie come anima della prassi; men­tre da parte dei cristiani si può dire che i TD non funzionino affatto, per la mancanza di una loro autentica ideologia come anima della prassi, e più universalmente per l’ignorazione e la conseguente non-mobilitazione della realtà dinamica come tale, neppure in campo religioso.

In ogni caso, senza l’elaborazione della teoria dei TD, almeno in senso realistico-dinamico, essi funzionano perfet­tamente nell’ambito delle ideologie laicista e marxista, sem­pre intese come anima della prassi; e ne rappresentano la forza determinante.

Che cosa si può opporre di efficace a ideologie ateo-ma­terialiste, che mobilitano a loro favore i cinque TD della reli­giosità, educatività, moralità, socialità, missionarietà, sia pure in senso negativo, quando in senso positivo e sullo stesso pia­no, non v’è nulla di mobilitato? Se vogliamo esser sinceri e

 

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leali, dobbiamo dire: nulla, di veramente efficace; a meno di opporvi una controideologia, che si appelli all’Assoluto vero come forma dinamica religiosa della realtà storica, e mobiliti di conseguenza i cinque TD in senso eguale e contrario[5].

Se ciò avviene a livello ontologico-essenziale, la realtà storica potrebbe subire un’inversione di rotta senza «guerre» né di religione né di altro genere. Nel frattempo è insieme doloroso e doveroso constatare come i cattolici (compresi quel­li «democratici» e a cominciare da essi), anziché imposses­sarsi della teoria e della rispettiva pratica dei TD, subiscano l’influsso della teoria e della pratica altrui, da rifiutarsi non perché sono «di altri», ma perché mobilitano Assoluti e tra­scendentali dinamici negativi.

Comunque stiano le cose, resta confermata la tesi, in senso positivo e negativo, che i TD sono quelli che abbiamo detto, per il fatto che qualsiasi altro, escogitato sul piano della realtà storica concreta, vi si riconduce.

Pertanto, a livello metafisico, non rimane altra conclusione possibile all’infuori di questa: i TD sono i cinque recen­siti, ed essi soli: la religiosità, l’educatività, la moralità, la socialità, e la missionarietà. Li passeremo brevemente in ras­segna ad uno ad uno, cercando di penetrarne il meglio pos­sibile la natura e la funzione, sempre allo scopo di una più profonda penetrazione ed esplicitazione dell’essenza della realtà storica. Per l’identità reale tra ente ed essenza nell’EDUC, infatti, i TD rappresentano i più importanti elementi di essa, sulla linea dell’onticità e della forma, quasi tratto d’unione tra l’essenza dell’EDUC e l’EDUC stesso, nei suoi due aspetti ontico e praxiologico.

 

9 – Il TD sintetico della religiosità

 

Sulla base di quanto già è stato detto a proposito dei TD, una maggior penetrazione, a livello metafisico, della spe­cifica natura e funzione del TD sintetico della religiosità, va perseguita in riferimento al Divino, ossia all’Assoluto, come forma della realtà storica nella sua essenza di EDUC. Come

 

 

 

 

già sappiamo, tale sua forma e il TD sintetico della religiosità di fatto coincidono, poiché sono sempre lo stesso Assoluto; ma differiscono anche tra loro, nel senso che la forma come tale è principio costitutivo essenziale dell’ente, mentre il TD è una formalità, ossia una qualità di esso. E’ una sua qualità ontica, però, che si identifica con la sua stessa forma essen­ziale.

Da tale identità reale, combinata con la specificità del TD, nascono per il TD sintetico della religiosità delle conse­guenze non indifferenti, che oltre al ribadire le sue preroga­tive di TD, ne mettono in luce anche la peculiare natura e funzione. Tra le sue prerogative torna quella della trascen­denza-immanenza, che sarà quella stessa dell’Assoluto, im­manentizzato sia come forma essenziale, sia come formalità trascendentale, onde esso, già trascendente perché Assoluto, sarà anche immanente e come forma, e come formalità tra­scendentale dominatrice dell’EDUC dal di sopra e dal di dentro.

In tal modo il TD sintetico della religiosità si tradurrà in formalità ripetitrice dell’Assoluto come forma religiosa in funzione ontico-praxiologica, senza limitazioni di sorta, ap­punto perché formalità trascendentale dell’EDUC e della realtà storica come EDUC in quanto tali. Di qui la sua spe­cifica natura e funzione di TD sintetico e religioso ad un tempo, che lo differenzia dai TD analitici: essere incarnazione operativa dell’Assoluto come forma religiosa totale, in quanto ne è la ripetizione ontico-praxiologica sul piano dell’EDUC che è appunto onticità e prassi.

La natura e funzione del TD sintetico pertanto è quella di essere incarnazione operativa dell’Assoluto e dunque in­carnazione di esso come soggetto agente, la quale si effettua nell’EDUC e nella persona umana storicizzata nell’EDUC. Ed è una incarnazione operativa non comunque, ma dell’Assoluto come forma religiosa totale. La forma di per sè è principio costitutivo essenziale attualizzante, e non principio operativo che determina un nuovo soggetto agente. Ciò avviene tutta­via, in campo dinamico, per l’Assoluto come forma religiosa, attraverso la mediazione del TD sintetico della religiosità, reso possibile e necessario dalla dinamicità della forma. Que­-

 

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sta infatti, perché dinamica, non si esaurisce nella sua funzio­ne essenziale costitutiva ed attualizzante, ma entra con l’Asso­luto e come Assoluto a comporre l’attivismo dell’EDUC espri­mendosi appunto nel TD sintetico suddetto.

Nessuna sorpresa pertanto se i TD sono esclusivi del­l’EDUC come nuovo soggetto agente, reso tale precisamente dalla traslazione della forma essenziale dall’essenza (la quale di per sè è soltanto principio remoto di operazione) allo stesso EDUC, che diventa soggetto agente in virtù dell’Assoluto incarnato nel TD, e dunque, in definitiva, dell’Assoluto come TD. Religiosità, educatività, moralità, socialità e missionarietà non avrebbero senso come trascendentali, riferiti alla persona come ente di primo grado. In rapporto ad essa non sono altro che potenzialità indeterminate ed amorfe, e troppo facilmen­te eludibili sul piano dell’esistenza concreta, come la stessa esperienza dimostra.

Il TD sintetico dunque, e con esso anche i TD analitici, sono incarnazione dell’Assoluto come forma religiosa totale. Già sappiamo che tale forma è bivalente, ontica e salvifica. Dire forma religiosa totale quindi significa intenderla in que­sta sua inscindibile bivalenza. E così va appunto inteso l’Asso­luto incarnato nel TD: come forma religiosa totale, ontica e salvifica ad un tempo.

A differenza della forma dell’EDUC, che ammetteva an­cora l’analisi in forma religiosa ontica e in forma religiosa salvifica, i suoi TD, per l’impegno di concretezza totale im­posto dalla loro natura ontico-praxiologica e ancor più dal loro riferimento diretto all’Assoluto che incarnano, rifiutano tale analisi, importando sempre la bivalenza ontica e salvifica. La importano tuttavia nella giusta correlazione consequen­ziale, che oggettivamente dà alla valenza ontica un significato causale, e alla valenza salvifica un significato effettuale. L’Assoluto infatti dinamicamente salva conferendo un nuovo essere. A ciò non osta il possibile processo soggettivo inverso, di chi cerca direttamente nell’Assoluto la propria salvezza ignorandone la primaria valenza ontica, oppure credendo scindibili le due valenze, sì da prestarsi magari ad un gioco alterno di sfruttamento, servendo a due Assoluti – e dunque a «due padroni» – diversi: all’uno chiedendo la salvezza

 

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spirituale ed eterna, e all’altro la propria realizzazione ontica e salvezza temporale. Gioco pericoloso, poiché la «realizza­zione ontica» e la salvezza temporale in virtù di un Assoluto negativo, finirà per travolgere fuori dell’Assoluto vero anche la «salvezza spirituale ed eterna»!

La determinazione della natura e funzione del TD nella incarnazione operativa dell’Assoluto come forma religiosa to­tale, ontica e salvifica ad un tempo, ma operante direttamente attraverso la valenza ontica; è di estrema importanza per la giusta comprensione del TD sintetico della religiosità, e con­seguentemente anche dei TD analitici, in quanto non sono che ripetizione del TD sintetico in funzioni diverse. In tal modo infatti, i TD a cominciare dal TD sintetico, vengono a identificarsi con lo stesso Assoluto presente ed operante nella persona umana e nella realtà storica come forma totale e nella sua concretezza piena, senza possibilità di equivoci con­cettuali o di evasioni astrattistiche. E, sia per il bene che per il male, l’uomo, come persona umana storicizzata, non sarà più in solitudine né esistenzialmente né operativamente: ma in ambo i sensi verrà dominato dal di sopra e dal di dentro, dall’Assoluto che si pone innanzitutto come TD sintetico, in funzione ontico-praxiologica e pratico-operativa.

Ciò che infatti distinguerà il TD sintetico dai TD ana­litici, non sarà un modo diverso di incarnare l’Assoluto, ma la diversa funzione di questo in rapporto alla persona umana e alla realtà storica. La funzione del TD sintetico della reli­giosità è appunto quella di rendere universalmente presente e radicalmente efficiente la funzione ontico-praxiologica del­l’Assoluto come forma, garantendone le due valenze ontica e salvifica, con la preminenza ontologica della prima, in quanto è essa che pone la realtà ontico-praxiologica religiosa dell’EDUC in armonia con la funzione salvifica.

La natura e funzione specifica del TD sintetico della religiosità quindi si precisa con la clausola sopraddetta. Senza l’universale presenza ed efficienza radicale di esso, i TD analitici cesserebbero di esser «religiosi», cessando ad un tempo di essere trascendentali, e di assolvere quindi la loro funzione. La quale rimane anche per essi quella ontica e salvifica solo mutuabile dal TD sintetico, di cui non sono

 

 

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altro che funzione derivata, con in più la speciale qualifica che li pone come TD analitici. Alla luce del TD sintetico li vedremo singolarmente sotto questo profilo.

 

10 – I TD analitici della educatività e moralità

 

Per il fatto che il TD sintetico della religiosità si identi­fica con l’Assoluto come forma, preso però prima di tutto in se stesso, come forma religiosa originaria oltreché come forma dinamica religiosa derivata, noi dovremo guardare al TD sintetico vedendolo direttamente come Assoluto in fun­zione ontico-praxiologica e salvifica, vedendolo cioè come Assoluto incarnato, non essendo altro il TD sintetico, in defi­nitiva, che l’incarnazione ontico-praxiologica dell’Assoluto stesso, come forma operativa nell’EDUC in quanto è prassi e come via alla forma costitutiva di esso. E non essendo i TD analitici che aspetti particolari del TD sintetico in direzione delle sue articolazioni funzionali, ne segue che anch’essi andranno intesi come la stessa incarnazione dell’Assoluto.

Questa è la prima condizione per il loro retto intendi­mento sia in rapporto con il TD sintetico, sia considerati in se stessi. A tal uopo infatti è necessario trascendere immediatamente l’educativo, il morale, il sociale e il missionario in senso puramente esistenziale, etico o fenomenico: sensi che non corrisponderebbero affatto al TD analitici, impedendo per prima cosa la loro fondamentale identificazione con l’Assoluto. Dicasi altrettanto per lo stesso TD sintetico della religiosità, da non confondersi con l’espressione esistenziale e fenomenica di questa, la quale è tutt’altro che il trascen­dentale in questione. In senso puramente esistenziale e feno­menico, il corrispettivo dei TD assume un senso settoriale che non è più quello trascendentale neppure come estensione , ricadendo in un «particolare» non generalizzabile, a meno di accettare la confusione delle lingue e della realtà stessa.

Vediamo pertanto la specifica natura e funzione dei TD analitici sulla base della loro identificazione con l’Assoluto attraverso il TD della religiosità, del quale non sono che la articolazione funzionale. Il TD sintetico come Assoluto incar­nato, infatti, e lo stesso Assoluto come forma, domina intera­mente l’EDUC e con esso tutta la realtà storica, attraverso

 

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l’uomo, e cioè dominando tutto l’uomo in concreto e quindi anche tutta la sua attività e realtà esistenziale.

Ora, l’uomo concretamente considerato si presenta allo stato individuale e collettivo. E pei due stati presenta, come già sappiamo, due aspetti fondamentali: l’aspetto educativo e morale, per l’uomo individuale; l’aspetto sociale e missio­nario, per l’uomo collettivo. Ciò posto, è ovvio che il TD sin­tetico e con esso l’Assoluto come forma, dominando questi quattro aspetti domineranno tutto l’uomo concreto e tutta la realtà storica, la quale, come realtà dinamica, è tutta reli­giosa, tutta educativa, tutta morale, tutta sociale, e tutta mis­sionaria, precisamente perché come EDUC è specificata ed attuata dalla forma religiosa con la quale i TD in realtà si identificano, anche se a titolo di formalità diverse.

Ma, per dominare i quattro aspetti della realtà umana esistenziale surriferiti, il TD sintetico della religiosità e con esso l’Assoluto che vi si incarna, deve appunto articolarsi nei quattro TD analitici corrispondenti, la cui funzione è quella di renderlo effettivamente operativo. Il TD sintetico infatti offre e garantisce la novità ontico-praxiologica dell’EDUC; i TD analitici invece ne garantiscono la operatività effettiva, ognuno secondo la propria natura e funzione. Vediamola dunque, a cominciare dai due TD analitici dell’educatività e della moralità.

Come è stato testé richiamato, essi si riferiscono diretta­mente all’uomo concreto individuale. E non sono altro che il TD sintetico della religiosità, e dunque l’Assoluto che vi si incarna, in quanto educativamente e moralmente domina la persona umana storicizzata e con essa la realtà storica. Ma che cosa significa da parte del TD sintetico e dell’Assoluto dominare educativamente e moralmente. … Significa imporre la propria forma educativa e morale, tenendo presente che la forma educativa in questione consiste nel preparare a vivere ed agire in funzione di un determinato Assoluto; e la forma morale consiste nel porre come norma di vita e di azione la costruzione di se stessi e dell’EDUC in funzione di quel determinato Assoluto.

E’ ovvio che la forma educativa così intesa, in tanto prepara a vivere ed agire in funzione di quel determinato

 

 

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Assoluto, in quanto conferisce il rispettivo essere e perfezione operativa, in quanto cioè il TD analitico dell’educatività è espressione del TD sintetico della religiosità assolvendone la primaria funzione religiosa ontico-praxiologica, come indi­spensabile componente della preparazione, al vivere ed agire, che rappresenta la sua funzione operativa specifica.

Egualmente, la forma morale intesa nel modo sopraddet­to, in tanto si risolverà in norma morale costruttiva in fun­zione dell’Assoluto, e non solo in una norma morale di com­portamento, in quanto il TD analitico della moralità assu­merà esso stesso il significato ontico-praxiologico del TD sintetico della religiosità e dell’Assoluto come forma. Viene trasceso in tal modo il puro significato etico della moralità stessa, che è significato statico commisurato alla natura uma­na come ente che già è, per assurgere al suo significato dina­mico, che la commisura alla costruzione ontico-religiosa del­l’EDUC e della persona umana nell’EDUC in funzione dell’Assoluto.

Il TD analitico della moralità, pertanto, porta con sè l’incomparabile vantaggio del passaggio da una morale statica ad una morale dinamica; da una morale puramente relazio­nale ad una morale ontico-praxiologica; da una morale di puro comportamento, ad una morale la cui norma definitiva, sulla base della norma relazionale, è quella della costruttività in funzione dell’Assoluto, sia in riferimento alle persone sin­gole che in riferimento alla realtà storica come EDUC.

Si tratta però di due moralità che nella dialettica reali­stico-dinamica non possono concepirsi come escludentisi a vicenda e tanto meno come antagoniste, ma vanno concepite in funzione integrativa. L’ente dinamico non è il regno del­l’analisi e dell’astrazione, ma bensì il regno della sintesi e della concretezza. E la morale dinamica non può costruire che sul fondamento della morale statica, che così entra a com­porre la morale dinamica dinamizzandosi essa stessa (per parlare in termini cristiani) in morale di perfezione rispetto alle persone singole, e in morale a impegno apostolico rispetto alla realtà storica come EDUC.

Ciò avverrà, tuttavia, alla sola condizione del passaggio della morale statica, da morale dell’ente di primo grado a

 

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morale dell’ente di secondo grado; a morale cioè della per­sona umana concretamente storicizzata nell’EDUC. Non co­munque, però; ma in modo tale, da parteciparne la natura dinamica dominata dal Divino come forma che si articola nei TD, compreso il TD analitico della moralità a valore ontico-praxiologico. Questo infatti, perché incarnazione dell’Asso­luto come forma dinamica e come norma costruttiva, cessa di essere puramente relazionale, per assumere una natura ontica dinamica, per cui onticità ed eticità nell’EDUC, al loro vertice metafisico si identificano nell’Assoluto che apparirà ad un tempo come forma e come norma.

La relazione tornerà ad affacciarsi sul piano esistenziale e prassiologico. Ma i due termini relazionati saranno l’atto umano e il Divino da costruirsi in sè (come perfezione), e negli altri. (come apostolato). E la stessa morale relazionale di comportamento, cristianamente non potrà essere che eser­cizio di amore che mette a fuoco ed alimenta la morale dina­mica di costruzione.

 

11 – I TD analitici della socialità e missionarietà

 

Come i TD analitici dell’educatività e della moralità tra­scendono il rapporto educativo e la morale come relazione, così i TD analitici della socialità e missionarietà trascendono l’esigenza etico-sociale e l’attività missionaria in senso pura­mente prassiologico[6]. La ragione è sempre la stessa: i TD analitici ripetono il TD sintetico di cui sono funzione, e si identificano quindi con l’Assoluto partecipandone il signifi­cato formale e il valore ontico-praxiologico.

Come TD analitici in riferimento all’uomo collettivo poi, la socialità e la missionarietà spostano decisamente il centro di interesse dalla persona umana all’EDUC, con il passaggio dall’ente di primo grado a quello di secondo grado. Socialità e missionarietà quindi andranno intese in funzione dell’EDUC, di cui sono trascendentali e a cui appartengono, e debbono definirsi in funzione di esso, e più precisamente dell’Assoluto che lo domina.

 

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Come TD analitico pertanto, la socialità non si identifi­cherà più con l’eticità della convivenza umana interpretata in una giustizia sociale più o meno astratta e sempre discu­tibile; ma sarà l’Assoluto come forma dinamica religiosa, in quanto costruttivo di una convivenza umana funzionale.

La socialità così intesa, come Assoluto sarà in grado di dominare trascendentalmente dal di sopra e dal di dentro tutta la convivenza umana; e come Assoluto costruttivo sarà in grado di costruirla funzionalmente in tutti i suoi aspetti, che vanno assai al di là di una giustizia sociale di indole più o meno economica e politica. Evidentemente, non sarà in gra­do di costruirla che mettendo in moto la prassi a servizio della forma dinamica religiosa, la quale attraverso il TD analitico della socialità assumerà in tal modo il ruolo di forma dinamica religiosa[7] in funzione sociale.

Come TD analitico così concepito, la socialità si pone in grado di ispirare un nuovo tipo di sociologia, superando ad un tempo la sociologia puramente positiva e la sociologia co­me dottrina sociale nel senso di etica della convivenza umana. Ma contemporaneamente la socialità come TD analitico porrà detta sociologia in stretta subalternazione alla metafisica del­la realtà storica, facendola diventare espressione dello studio scientifico dell’EDUC, al quale del resto la socialità appartie­ne come trascendentale.

Quanto detto appare sufficiente per una elementare illu­minazione della natura e funzione del TD analitico della so­cialità. Passando ora al TD analitico della missionarietà, dire­mo che è anch’essa una articolazione funzionale del TD della religiosità, ma in direzione della costruzione della realtà sto­rica come realtà religiosa. Tale direzione è duplice: compren­de la realtà religiosa come religione, e la realtà religiosa come realtà storica profana. Il TD della missionarietà le serve ambedue.

Come articolazione funzionale del TD sintetico, anche il TD analitico della missionarietà deve ovviamente identificarsi

 

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con l’Assoluto. E’ l’Assoluto infatti che permane la chiave di volta ontologica della realtà storica, e precisamente l’Assoluto costitutivo ed attualizzante, come forma; e poi l’Assoluto do­minativo e costruttivo, come TD. Forma e TD: due aspetti di esso che si reciprocano, diventando, sia pure in modo diverso, operanti nella prassi come essenziale attivismo dell’EDUC.

Se pertanto vogliamo definire anche la natura e funzione della missionarietà come TD analitico, potremo dire in questo modo: Il TD analitico della missionarietà è lo stesso Assoluto come TD sintetico e come forma religiosa, in quanto costrut­tivo dell’EDUC come realtà storica religiosa sia in senso salvifico, e dunque propriamente come religione, e in termini cristiani come Chiesa, come Corpo Mistico di Cristo, sia in senso profano[8].

E’ una definizione sufficiente per qualificare la natura e funzione della missionarietà come TD analitico, offrendo insieme un criterio distintivo di essa dal TD analitico della socialità e dal TD sintetico della religiosità, in quanto il TD della socialità sarà costruttivo della convivenza umana fun­zionale mentre il TD della missionarietà mobilita la costru­zione della realtà storica come EDUC a forma religiosa.

 

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CAPO V
TD E PSEUDO-TD

 

 

1- TD e metafisica della realtà storica

 

La teoria dei TD segna un momento decisivo nello stu­dio metafisico della forma della realtà storica per la ragione che ne illumina ed esplicita sotto uno speciale punto di vista la dinamicità. E’ questa infatti che attraverso la compresenza e la compenetrazione della forma nelle quattro cause, le con­ferisce una sovreminente posizione di dominio e di operati­vità, nella quale sta la chiave di quell’attivismo essenziale dell’EDUC che chiamiamo prassi.

La teoria dei TD quindi costituisce un capitolo imprete­ribile della metafisica della realtà storica, presa nel suo spe­cifico impegno di studio dell’essenza di essa. Ed invero, la teoria dei TD è studio dell’essenza della realtà storica in funzione della sua forma, che ne rappresenta l’elemento de­terminante. Esso nondimeno risulterà effettivamente tale, soltanto attraverso la considerazione dell’Assoluto non solo come forma, ma anche in quanto TD, inteso questo come esplicitazione del potere dominativo ed operativo dell’Asso­luto stesso, nella sua particolare condizione di forma dinamica.

Dobbiamo dire di più. Nel caso di una metafisica della realtà storica, dinamica sì, ma non realistica, pel fatto stesso che in essa non è più possibile parlare dell’essenza di essa né teorizzarla, l’Assoluto come TD sintetico prenderà il posto di tale essenza e della sua forma, monopolizzando in proprio il significato metafisico della realtà storica e della rispettiva forma in funzione diretta e immediata della prassi, che di­venterà l’unico vero centro di interesse e il supremo scopo di tutto. Opererà addirittura la riduzione della realtà storica a sola prassi, animata ovviamente da una ben qualificata ideologia, precisamente come anima di essa.

Detta prassi si scatenerà come concretizzazione e incon­tenibile sbocco del TD sintetico suddetto, come ASSOLUTO

 

 

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a dominio incontrastato e sovrano, senza neppur più la pos­sibilità oggettiva di un freno e controllo etico, dedotto da parte dell’ente di primo grado. Una metafisica dinamica ma non realistica – della realtà storica, pel fatto stesso che riduce l’essere al divenire, elimina l’ente di primo grado e con esso l’etica che ne deriva, rendendo il proprio Assoluto sganciato dall’oggettività e dalla trascendenza, e facendolo norma incontrastata di se stesso.

Tanto per portare un esempio, è questo il caso del mar­xismo, definito comunemente come una filosofia della prassi, mentre per superare l’ambiguità dell’espressione in sede di terminologia non marxista, sarebbe forse più utile parlare di metafisica della realtà storica come prassi. Tale è infatti il marxismo non solo come concezione filosofica, ma anche, ed inscindibilmente, come corrente dinamica attiva nella storia, ossia come prassi animata dall’ideologia.

Ed invero, il dinamismo attivistico che non mutua più la propria spinta dalla frammentaria e labile operatività della persona, deve attingerla necessariamente da un Assoluto che lo alimenti e lo scateni. Il quale Assoluto, come nuova ed inesauribile sorgente di energia operativa, sarà appunto I Assoluto come TD sintetico articolantesi nei TD analitici che ormai conosciamo.

Supporre pertanto che la rispettiva prassi vi rinunci e comunque se ne sganci, è supporre il suicidio di essa. Questa la ragione dell’inscindibilità fra metafisica dinamica della realtà storica e prassi, sul pernio del TD sintetico che la fon­da, e che risulta praxiologicamente del tutto irrinunciabile. E’ ovvio che tale sganciamento sarà impossibile, a fortiori, tra la prassi e l’ideologia come sua anima.

Com’è noto, l’Assoluto che rappresenta il TD del marxi­smo, ispirandone la filosofia e fondandone la prassi, è una evolutiva ed energetica materia dialettica, contrapposta e sostituita, con senso di concretezza rivoluzionaria ed opera­tiva, alla conservatrice ed astratta Idea hegeliana. Da essa trae ispirazione il principio basilare dell’ideologia marxista che ha ricevuto la sua espressione classica nella formula sin­tetica del materialismo dialettico e materialismo storico, ri­dotta magari alla formulazione più pratica e immediata di

 

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materialismo storico-dialettico. Ciò che infatti importa al marxismo, non è l’accademica discussione metafisica, ma la storia, la vita, l’azione, tradotte e mobilitate nella sua prassi, il cui principio ideologico ispiratore di fondo rimane sempre il materialismo storico-dialettico.

Ciò che a noi qui importa tuttavia, a cominciare dal TD sintetico nel quale si identifica più immediatamente l’Asso­luto, sono i TD, come un punto nevralgico e un nodo cruciale in cui confluiscono tutte le metafisiche dinamiche della realtà storica, segnando il radicale passaggio dall’etica come rela­zione, all’etica come onticità dinamica operativa e costruttiva o semplicemente come prassi. Ne segue che il loro effettivo terreno di confronto teoretico e pratico viene ad essere quello dei TD in chiave di TD sintetico, anche per la parte etica, nel suo senso più pieno di vita dello spirito in tutte le sue espressioni.

Quando infatti l’etica si traduce in onticità dinamica operativa e costruttiva, traendo la sua norma appunto dalla dialettica della costruzione; la sua comprensione e tanto meno il suo controllo, in base alla sola morale come relazione, di­venta sostanzialmente insufficiente. E la constatazione del distacco della prima dalla seconda, dovrà risolversi in defi­nitiva in un grido d’allarme, per opporre ad una etica ontico-dinamica negatrice della giusta morale relazionale, un’etica ontico-dinamica che la riassuma per rilanciare la medesima nell’azione e nella costruzione, rendendola partecipe del do­minio ontico-praxiologico dell’Assoluto come TD e come forma.

In un mondo dinamico infatti, l’eticità totale della realtà storica e del vivere ed agire della persona umana storicizzata si gioca nei TD che la ontificano, eticizzandosi essi stessi nel nesso tra onticità ed eticità, reso indissolubile dalla natura dell’EDUC, che come dinamico è sintetico e concreto, e come realtà storica è necessariamente etico, nel senso di quell’eti­cità che attraverso la gamma dell’intera vita dello spirito è ad un tempo religiosa, educativa, morale, sociale, e missio­naria.

Quanto alla morale di relazione, essa vi naufragherà o ne sarà potenziata, secondoché verrà eliminata dagli pseudo-­

 

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TD del falso Assoluto, o verrà rilanciata dai TD dell’Assoluto vero, con la sua traduzione da norma morale di comporta­mento in norma morale costruttiva, e la contemporanea tra­duzione dell’eticità totale in eticità ontico-dinamica a valore trascendentale.

 

 

2 – Natura intima dei TD

 

Una riconferma dell’identificazione in senso esclusivo dei cinque TD da noi individuati, può venire di nuovo offerta dall’articolazione fondamentale dell’eticità totale della realtà storica nei suoi cinque aspetti della religiosità, educatività, moralità, socialità, e missionarietà. La stessa strategia della prassi alimentata da un falso Assoluto ne è la riprova, in quanto punta, in coerenza con la propria dialettica, su questi cinque aspetti, precisamente per il loro valore trascendentale dinamico, poiché i TD rimangono identici in ogni caso, ed è il loro potere tremendo e virtualmente decisivo che conta, sia per il bene che per il male.

Ma la differenza tra il significato puramente etico degli aspetti suddetti, e il loro significato trascendentale, sta ap­punto in questo, che come TD esprimono una eticità ontico-dinamica ed una onticità etico-dinamica direttamente legata all’Assoluto ed anzi identificantesi con esso, si da parteciparne il supremo dominio e mutuare da esso quei cinque caratteri discriminativi che li contraddistinguono come TD e li costi­tuiscono in tale loro natura.

I cinque TD infatti, risultano a valore universale, neces­sario, assoluto, supremo, e irriducibile, in quanto si identifi­cano con l’Assoluto (vero o falso che sia); al quale la univer­salità, la necessità, l’assolutezza, la supremazia e la irridu­cibilità competono in prima istanza, precisamente in quanto è forma della realtà storica come EDUC. Di qui anche il titolo dei TD al dominio pieno della realtà storica dal di sopra e dal di dentro, poiché tale loro dominio sarà quello stesso dell’Assoluto che incarnano e con cui si identificano.

Di lì ancora, se vogliamo darcene sufficiente conto, la spiegazione ultima della funzionalità ed efficienza o meno della morale relazionale, la quale dipende dalla sua elimina­zione o riassunzione da parte dei TD. Per lo stesso potere di dominio di cui sono dotati, se la giusta morale di relazione viene esclusa dal loro rispettivo Assoluto, diventa pressoché un’utopia volerla instaurare in regime monopolistico di pseu­do-TD, trovandosi in tal caso in intima contraddizione col loro sistema, che non è più un sistema filosofico o dottrinario astratto ed inerte, ma è ideologia e prassi, e dunque una corrente dinamica attiva di fede, di vita e di azione. per sua natura repulsiva di quanto è in contraddizione con essa.

Al contrario, se la morale di relazione viene riassunta dai TD come espressione dell’Assoluto vero che vi s’incarna, essa allora trova aperto il cammino della sua piena espansione ed efficienza, per il fatto che viene imposta dalla loro dia­lettica e subisce la loro spinta operativa. Si tradurrà così da morale statica di comportamento in morale dinamica costruttiva, in quanto la sua norma si completa e si concretizza ade­guandosi, sempre sulla base dell’inviolabile natura umana come ente di primo grado, alla natura dinamica, onticamente ed interamente religiosa ed etica, della realtà storica come EDUC, modellantesi in definitiva sull’Assoluto cristiano come trascendentale e come forma.

Tutto questo avverrà logicamente, per il male, ma anche per il bene, alla condizione che onticità ed eticità convertano nei TD, sintetizzandosi e identificandosi in essi, e dunque nell’Assoluto che in essi s’incarna. E’ l’Assoluto infatti che conferisce in definitiva all’eticità la consistenza che le è pro­pria, in quanto essa sarà veramente e concretamente tale. se risulta partecipazione e diventa espressione ontica dell’As­soluto. Tale diventa l’esigenza metafisica dell’eticità a livello trascendentale ossia commisurata al TD, e dunque l’esigenza dei TD stessi, i quali metafisicamente risultano indissolubilmente ontici ed etici, alla stessa guisa che risultano ontici e religiosi.

 

Come la religiosità derivante dall’Assoluto come forma poteva intendersi in senso ontico e salvifico, così l’eticità dei TD può intendersi in senso ontico e normativo. Ma come la onticità della religiosità precedeva e condizionava il suo valo­re salvifico, così l’onticità dell’eticità ne precede e ne condi-

 

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ziona il valore normativo. Dinamicamente, non c’è salvezza senza religiosità ontica, ossia senza Assoluto come TD e come forma; e dinamicamente non c’è norma etica concretamente e definitivamente valida senza eticità ontica, e cioè al di fuori della operatività e costruttività dei TD stessi. La loro costrut­tività è la loro eticità. E questa è l’eticità ontica e normativa ad un tempo, che dinamicamente s’impone.

Eticità e onticità risultano quindi indissolubili nei TD, come onticità e religiosità appaiono indissolubili nell’EDUC. E’ la valenza ontica della forma religiosa infatti che lo pone come tale. Ed è la valenza ontica della eticità che assorbe la stessa eticità nei TD, sollevandola al loro livello e facen­dola partecipe del loro valore e potere.

Tanto la dissoluzione esistenziale di onticità e religiosità che quella di onticità ed eticità saranno perciò egualmente perniciose per la teoria e per la pratica. La prima distrugge l’EDUC, rendendo metafisicamente incomprensibile la realtà storica e bloccandone la manovrabilità pratica; la seconda lede la natura intima dei TD e della stessa eticità, equivo­cando gli uni e l’altra e viziandone la dinamica in maggiore o minor misura.

La natura intima dei TD va pertanto afferrata anche come sintesi di onticità ed eticità, nella loro reversibilità di onticità dinamica etica e di eticità dinamica ontica. Questa non è che una ulteriore determinazione della loro natura ontico-praxiologica, essenzialmente religiosa in virtù dell’As­soluto che s’incarna dentro di essi. La religiosità non è che la qualifica della loro onticità, di cui la stessa religiosità ema­nante dall’Assoluto come forma religiosa è sorgente.

L’eticità invece è piuttosto una qualifica dei TD in quan­to praxiologici, in riferimento alla realtà storica o più parti­colarmente alla persona umana storicizzata, che assume la sua suprema norma etica costruttiva dai TD. Questi infatti sono i motori della prassi. E la prassi è l’attivismo costruttivo essenziale dell’EDUC, che coinvolge la totalità del vivere e dell’agire umano, sotto la spinta fondamentale e la norma superiore dei TD, quali espressioni dell’Assoluto come forma.

 

 

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3 – Leggi dei TD

 

Quanto è stato detto per una più intima penetrazione della natura dei TD, si può riassumere nella seguente formu­lazione: i TD sono l’Assoluto in azione come forma e come anima della prassi., in funzione ontico-praxiologica ed etico-costruttiva.

Tale formulazione non ne elimina gli aspetti già stati acquisiti anteriormente, come non dispensa dal tener conto in termini specifici e riflessi della loro dinamicità, sinteticità e concretezza. Ed invero, pel fatto stesso che i nostri trascen­dentali sono dinamici, è ovvio che la loro natura venga de­terminata radicalmente dalla loro essenziale dinamicità, la cui dialettica la illumina e ne viene illuminata rivelandosi operante dentro di essa.

Perché dinamici, i nostri trascendentali, compresi gli analitici, la cui distinzione dal sintetico per le ragioni che già conosciamo non ha che un valore metodologico e formale, sono infatti sintetici e concreti per loro intima natura, in virtù di quella radicale sinteticità e concretezza che deriva dalla identità reale tra ente ed essenza, essenza ed esistenza, impo­sta appunto dalla dinamicità dell’ente dinamico. Ed è questa, in definitiva, la motivazione della polivalenza dei TD stessi, che assommano e più precisamente sintetizzano in concreta unità dentro se stessi e tra di loro, la realtà dell’Assoluto, con il loro valore di onticità e di forma, di dominio e di ser­vizio, di operatività e di energia, di fede ideologica e religiosa, di dialettica e di eticità, di costruttività e di salvezza.

Ed invero, all’infuori del loro valore di forma, che vien colto unicamente attraverso la concezione realistico-dinamica e richiama necessariamente all’oggettività e alla trascendenza legate all’ente di primo grado, tutto il resto compete al TD in virtù di qualsiasi metafisica divenirista che li interpreti, semplicemente perché è dinamica, anche se purtroppo non più realisticamente legata all’oggettività e alla trascendenza dell’essere.

In tali metafisiche e nei rispettivi TD, il ruolo della forma viene sostituito da quello dell’ideologia e – su un piano più immediatamente attivistico – dalla fede ideologica, le quali, ben lungi dal risolversi in una astratta dottrina

 

 

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metafisica od etico-filosofica, diventano né più né meno che la traduzione immediata, ontico-praxiologica, dominativa ed energetica, etica e salvifica, del loro Assoluto. Così l’ideologia diventa «anima»: anima della prassi.

Che ne avverrà, se tale Assoluto non sarà quello buono, ma al contrario è la negazione di esso?… La mobilitazione dei TD a suo favore, resa magari più efficiente dall’assenza di una loro mobilitazione a servizio dell’Assoluto vero, non pub portare con sè che delle prospettive umanamente disa­strose. In una realtà storica diventata dinamica, infatti, i TD rappresentano le leve segrete che dominano il mondo, il de­stino del quale viene irrimediabilmente giocato in funzione di essi.

I TD rappresentano così il punto di sutura fra onticità e prassi; tra i vertici della dottrina teoretica, e la pratica, con­dotta fino alle ultime espressioni della sua concretezza; fra l’Assoluto e l’uomo con l’intera realtà umana esistenziale, che si troverà di fronte ad esso non più solo in un conse­quenziale rapporto di salvezza e tanto meno in un rapporto di «dialogo», ma in un primario rapporto ontico e praxiolo­gico.

I TD pertanto vengono a segnare un vertice e il punto davvero cruciale della responsabilità dell’uomo moderno, a cominciare dal cristiano. E la loro intima natura convince allo stesso tempo del fatto che tale responsabilità non è ade­guatamente affrontabile se non per la via del realismo dina­mico, a partire da una realistica metafisica della realtà storica, e in piena adeguazione teoretica e pratica alla loro suddetta natura. Da essa emanano pure, con non minor forza impe­gnativa, quelle che possiamo chiamare le leggi dei. TD, ad alcune delle quali conviene qui esplicitamente accennare. Ci riferiremo alle sei seguenti: legge della reversibilità; della sinteticità; della solidarietà; dell’integralità; della concretezza; della omnipresenza operativa.

I TD sono innanzitutto reversibili fra loro. Essi infatti, come già i trascendentali dell’ente come tale, formaliter distinguuntur, realiter identificantur seu convertuntur. Si distinguono formalmente ma si identificano, si convertono, ossia si reciprocano, sono «reversibili», nella loro realtà og-

 

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gettiva. Ne segue che nella sua realtà concreta, ogni singolo trascendentale si traduce nella realtà degli altri, sì da potersi vicendevolmente scambiare e da equivalersi. Il TD analitico dell’educatività ad esempio sarà tale, nella misura che è anche TD analitico morale, o missionario, e viceversa. E’ la legge della reversibilità, che si pone per prima e viene presupposta dalle altre.

La seconda è la legge della sinteticità, in forza della qua­le i TD risultano tutti e ciascuno essenzialmente sintetici, nonostante la loro divisione nel TD sintetico e nei TD anali­tici. Il motivo è che la loro formalità distintiva non ha ragio­ne di forma diversa o di realtà ontica diversa, ma solo di diversità di funzione. E’ pienamente logico che il TD in fun­zione educativa, ad esempio, debba essere formalmente di­verso dal TD in funzione sociale, o missionaria, o morale, o religiosa. Ma è altrettanto logico che il TD analitico della educatività debba essere ad un tempo realmente e concretamente religioso, morale, sociale, e missionario, pena la nulli­ficazione di se stesso.

In altre parole, i TD non soltanto sono reversibili, ma risultano onticamente uno, anche se funzionalmente e formal­mente molteplici. E cioè, sono essenzialmente sintetici, sì da non essere neppur concepibili in base ad una analisi ed astra­zione in linea di separazione e di indipendenza. La sinteticità che, sia pure nell’atmosfera analitica ed astrattiva propria della metafisica statica, già si verificava nei trascendentali dell’ente come tale; in combinazione con la concretezza assu­me il suo pieno vigore per i TD che come il rispettivo ente non possono non essere sintetici e concreti per essenza. Tanto che sinteticità e concretezza nei TD s’impongono come leggi.

La terza legge è quella della solidarietà, la quale non è che un corollario delle due precedenti, proiettate su un piano più propriamente operativo e costruttivo. Ed invero, data la loro reversibilità e sinteticità, i TD necessariamente coesi­stono, coagiscono, postulandosi e potenziandosi a vicenda, risultando in tal modo perfettamente solidali. Ne nasce un sistema ontico-praxiologico formidabile, capace di scatenare una prassi incontenibile sia per la costruzione del bene che del male.

 

 

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Le tre leggi che seguono sono come un completamento della legge della solidarietà dei TD, in quanto ne esplicitano la portata ontica, esistenziale ed operativa. La solidarietà dei TD sarà infatti prima di tutto integrale, nel senso che onti­camente investe l’intera realtà storica, dominandola dal di sopra e dal di dentro integralmente, sì che nulla sfugga alla presa dei TD stessi, sia singolarmente che globalmente. La realtà storica sarà simultaneamente tutta e totalmente reli­giosa, educativa, morale, sociale e missionaria, senza la pos­sibilità della minima quantità neutra residua. E’ la legge dell’integralità, per la quale, di fronte al TD nulla potrà risul­tare irrilevante, né onticamente né praxiologicamente, né teoreticamente, né praticamente.

La legge della concretezza invece ha valore esistenziale, e proietta l’integralità ontica e praxiologica dei TD sul piano della concretezza umana esistenziale, ponendola sotto il loro dominio fin nei suoi più minuti capillari. I TD infatti sono forma. Ma forma dinamica polivalente di un’essenza che si identifica col rispettivo ente, mutuandone la concretezza che così si essenzializza, diventando bisognosa di forma. Sarà compito dei TD condurre la forma fino alle sue ultime espres­sioni, ubbidendo precisamente alla legge della concretezza. In virtù di questa, il vertice metafisico rappresentato dai TD e il concreto più immediato si ricongiungono, in conformità alla dialettica che li domina, la quale è appunto la dialettica della sintesi e della concretezza.

Corollario e insieme condizione della funzionalità di tut­te le leggi precedenti è la legge della omnipresenza operativa. Come Assoluto in azione infatti, i TD operano. Ed operano in modo trascendentale, attraverso una permeazione della realtà storica da parte dell’Assoluto, che implica appunto la omnipresenza operativa in questione. Essa proietta i TD sul terreno dell’agire immediato, che interessa necessariamente la persona come soggetto agente. Di qui l’imprescindibile mediazione della fede religiosa, o ideologica, come indispen­sabile tratto di unione fra l’Assoluto come forma o come ideologia, e l’agire umano soggettivato. In tal modo i TD hanno la possibilità di convertire in prassi anche le attività di indole soggettiva apparentemente le più distanti da essa,

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aprendo il cammino al dominio totale dell’Assoluto come forma religiosa o ideologica, e stabilendo l’incontrastato pri­mato della prassi sul concreto piano operativo.

In sostanza i TD per la loro solidarietà fanno sistema. E la potenza del sistema viene commisurata e sorretta dalle loro leggi. Ciò è sufficiente per darci conto che contro di esso non ci sarà dottrina o forza che valga. Un sistema di TD non può venire controbilanciato che da un altro sistema di TD. Nasce così un tremendo problema teoretico e pratico, la cui soluzione deve iniziare inesorabilmente da una metafisica dinamica della realtà storica (che per noi deve essere reali­stico-dinamica), per concludersi in una educazione di fede, religiosa e ideologica, confacente, la quale assicuri la più fedele coerenza al TD e la piena efficienza dialettica dell’As­soluto come forma religiosa e ideologica.

 

4 – Fenomenologia correlativa al TD

 

I TD vengono denominati con delle qualifiche che richiamano una fenomenologia a tutti nota, quale è appunto la fenomenologia religiosa, educativa, morale, sociale, e possia­mo pure aggiungere missionaria. Essa infatti, per il suo valore primordiale ed elementare, fa parte della realtà umana esi­stenziale come tale, in virtù di una connaturalità e fonda­mentalità che la rendono costantemente presente e del tutto insopprimibile. Un suo confronto coi TD diventa inevitabile, tanto più che la loro prima indicazione, attraverso gli aspetti fondamentali della realtà storica, è appunto stata suggerita da essa.

La questione, anche se verte su una materia fenomeno­logica, non rimane metafisicamente irrilevante. Raggiunge anzi un alto interesse metafisico. Essa si pone in questi ter­mini. Ad ogni TD corrisponde una particolare fenomenologia: religiosa per il TD sintetico della religiosità; educativa, mo­rale, sociale, missionaria, per i rispettivi TD analitici. Ora tale fenomenologia, che senza dubbio corrisponde agli aspetti fondamentali della realtà umana esistenziale, avrà anche sempre un valore trascendentale, sì da incarnare in se stessa i TD?

La questione è quanto mai delicata e gravida di conse-­

 

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guenze. Ed invero, o i TD s’incarnano in detta fenomenologia, o, in caso contrario, il loro effettivo ed efficiente dominio sulla realtà storica rimane illusorio. Tale dominio infatti è proporzionale alla presa dei TD stessi sulla realtà umana esistenziale in tutta la sua concretezza, che si sigilla sul piano delle sue ultime espressioni fenomeniche.

La linea metodologica per affrontare e risolvere la que­stione torna ad essere quella del dato di esperienza. E la esperienza al riguardo distingue innanzitutto una realtà uma­na esistenziale appartenente ad un mondo statico, ed una realtà umana esistenziale appartenente ad un mondo dina­mico. In un mondo statico, una formale presenza dei TD non è nemmeno da pretendersi, per il fatto stesso che essendo la loro essenza dinamica, come tale non può dentro di esso né incarnarsi né esplicitarsi.

La natura intima della realtà storica tuttavia deve in qualche modo rendersi operante anche in un mondo statico, per renderla funzionale sia pure in misura minima o se vo­gliamo anche in una misura massima, ma di tipo statico. E di fatto si è resa operante imponendo il dominio della pro­pria forma religiosa alla fenomenologia umana esistenziale, anche senza la mediazione dei TD. E’ per questo che nel vec­chio mondo statico la religiosità (che non è ancora il TD della «religiosità»), investe non soltanto la fenomenologia religio­sa, ma anche quella educativa, morale, sociale e – nei limiti della sua compossibilità con detto mondo statico – anche missionaria, facendola risultare interamente «fenomenolo­gia» religiosa.

Si tratta nondimeno di una religiosità che opera in veste di sacralità, anziché secondo quella sua intima natura ontico-praxiologica che compete alla religiosità come TD sintetico, e che come tale può trovare via libera soltanto in un mondo dinamico. E’ per questa ragione che il vecchio mondo statico appare avvolto nella sacralità, tanto in regime di spontaneità primordiale, che di civiltà sacrali di ordine superiore.

Ora, la sacralità caratterizza appunto la fenomenologia esistenziale correlativa al TD sintetico della religiosità, la quale fenomenologia in un mondo statico diventa surrogatoria di esso, per la ragione ormai nota che nel mondo statico il

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TD sintetico della religiosità non può né operare in se stesso, né esprimersi nei TD analitici, per cui fu semplicemente sur­rogato dalla sacralità.

Ma la sacralità, come il mondo da essa caratterizzato, è statica. Sganciata dalla fonte della sua dinamicità che è il TD sintetico della religiosità, diventa essa stessa il sigillo della staticità, spingendo a quel tipo di istituzionalizzazione che riceve la sua suprema sanzione non dal diritto, ma dal sacro che si sovrappone allo stesso diritto. Ne nasce una realtà umana esistenziale la cui fenomenologia correlativa al nostri TD è «religiosa» perché sacrale, ma nella loro assenza totale, e dunque con significato e valore diverso da quello di una fenomenologia emanante da essi.

Il sistema sacrale che ne risulta è tuttavia dotato di una sua funzionalità, il cui merito va appunto attribuito alla sa­cralità animatrice dei cinque aspetti fondamentali della realtà umana esistenziale. Il ruolo di questi è sempre decisivo, e rimane sempre legato per una via o per l’altra all’Assoluto. Ma un sistema sacrale, per quanto funzionale, non è il sistema dei TD. Permane la sua natura statica e particolaristica, che presto o tardi lo rende afunzionale, ponendolo in crisi.

Si è trattato di crisi ricorrenti, verificatesi fin dalle epo­che preistoriche e determinate da fattori diversi, primi fra tutti le mutazioni culturali prodotte da fattori endogeni, come lo sviluppo economico, o esogeni, quali i movimenti migratori o di conquista. Ma la causa veramente decisiva di tale crisi è stata e continua ad essere il passaggio dal mondo statico al mondo dinamico, che ha posto in crisi tutti i sistemi sacrali, compreso lo stesso Cristianesimo, in quanto in un certo senso ha potuto portare con sè l’aspetto di un sistema sacrale umano storico.

E’ una crisi che intacca precisamente il sistema sacrale a cominciare dalla fenomenologia correlativa al TD, minando i pilastri fondamentali del sistema stesso, dai quali dipende la sua funzionalità e consistenza. La crisi raggiunge il suo apice, quando da una parte la fenomenologia in questione viene svuotata della sacralità, e dall’altra non è più possibile appellare al passaggio da un sistema sacrale a un altro siste­ma sacrale. Col passaggio dal mondo statico al mondo dina­-

 

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mico infatti, la scelta non si pone più tra sistema sacrale e sistema sacrale, ma tra il sistema sacrale e il sistema dei TD. Che anzi, ai limiti estremi della crisi, la scelta si pone tra sistema TD e sistema TD, e come scelta suprema tra sistema TD vero e sistema TD falso.

 

5 – Vanificazione metafisico-naturalistica dei TD

 

La necessità di un sistema TD come Assoluto in azione è talmente connaturale alla realtà storica, che nell’impossi­bilità di una sua presenza formale si sono instaurate in fun­zione surrogatoria dei sistemi sacrali, destinati a cadere in crisi (come s’è detto) per molteplici cause ricorrenti, e in mo­do definitivo per il passaggio dal mondo statico al mondo dinamico.

Di fronte a un mondo dinamico, il sistema sacrale, es­senzialmente statico, si rivela afunzionale. Bisogna ora ag­giungere che la sua afunzionalità può ancora venir provocata da una cultura instaurata su una base metafisica naturali­stica. Ciò che però è assai peggio, si è che tale base metafisica non solo è destinata a svuotare il sistema sacrale della sua funzionalità, ma, finisce per porsi come un ostacolo insor­montabile per la instaurazione del sistema TD, l’unico capace di superare in senso positivo il sistema sacrale.

E’ la vicenda che si è verificata culturalmente in seno al Cristianesimo come realtà storica umana, la quale è caratte­rizzabile da tre fasi diverse, a cui dovrebbe succederne pre­cisamente una quarta, caratterizzata a sua volta dalla presen­za formale e riflessa del sistema TD cristiano.

Il Cristianesimo, come religione cristiana, e per di più cattolica, fin dal suo nascere ha portato con sè un’essenza eminentemente dinamica – poiché tale è in verità la sua es­senza reale e concreta -, sì da esprimersi necessariamente nel correlativo sistema TD religioso. E’ in virtù del suo siste­ma TD in atto, del resto carico di soprannaturale e confortato da speciali carismi, che il Cristianesimo ha avuto ragione del mondo pagano, riuscendo ad operarne la conversione.

Ma il mondo pagano era un mondo statico. E tale doveva rimanere, anche come mondo cristiano, fino alla soglia di questo nostro mondo moderno. Il che ha portato fatalmente

 

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con sè una tremenda conseguenza. Ed è questa: il soprad­detto mondo statico cristianizzato, ha finito per riflettersi sulla sua forma dinamica religiosa cristiana, imponendole, nel suo aspetto umano culturale e collettivo, la modalità esistenziale statica, in forza di una legge storico-sociologica che non ammette eccezioni.

La legge in questione è la seguente: la forma metafisica della realtà storica, che per sua intima natura è forma reli­giosa (o antireligiosa) dinamica, s’incarna nella realtà storica stessa come sua materia, subendone la modalità esistenziale: a meno che sia in grado di imporre la propria modalità esi­stenziale dinamica alla materia stessa; il che però è solo fattibile con lo strumento di una cultura dinamica adeguata.

Sulla base del dato di fatto, la verifica della legge nella vicenda storica cristiana può contenersi in questi termini ele­mentari: per la presenza di una materia esistenzialmente statica, e per l’assenza di una cultura dinamica adeguata, nel suo aspetto umano la religione cristiana non poteva incarnarsi nella realtà storica passata, che assumendone la modalità esistenziale statica.

Di conseguenza, il sistema TD che inizialmente aveva funzionato in modo spontaneo, anche se in campo esclusivamente spirituale e religioso, era destinato a rimanere bloccato precisamente in quel settore umano della religione cristiana, che mutuava dalla realtà storica in cui si incarnava, la moda­lità esistenziale statica. Ma tale realtà storica non ha rifiutato, anzi a un dato momento ha postulato con convinzione e senza limitazioni la forma religiosa cristiana. Al sistema TD iniziale, è succeduto in tal modo il sistema sacrale, la cui funzione surrogatoria, assicuratrice del dominio della forma religiosa sulla realtà storica sacralizzandone gli aspetti fondamentali che conosciamo, ha avuto il suo periodo di efficienza e di splendore.

Nondimeno, come avviene per ogni funzione surrogato­ria, non poteva trattarsi che di un fenomeno provvisorio, ben presto minato dalla stessa cultura che l’aveva favorito. Si trattava di una cultura ufficiale sostanzialmente sacra, che come tale aveva reso possibile e funzionante il sistema sacra­le. Ma, indipendentemente da altri fattori storici quali l’inci-

 

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piente umanesimo e le autonomie nazionali, a minare in radi­ce il sistema sacrale, poteva bastare quello che noi abbiamo chiamato naturalismo metafisico.

Il germe di esso è penetrato nella cultura cristiana tradi­zionalmente sacrale con l’introduzione della filosofia aristo­telica, la cui metafisica realistica del resto era e rimane uno strumento indispensabile per la difesa e la elaborazione scientifica del dogma cattolico. Ma, come già è stato rilevato, si trattava di un realismo metafisico statico, commisurato all’ente di primo grado ed implicante la dialettica di esso che è la dialettica della staticità, della analisi e dell’astrazio­ne: una dialettica metafisica «naturalistica», in sostanza, perché conclusa in una metafisica del mondo della natura. Applicata alla realtà cristiana come realtà storica, non poteva evitare un «naturalismo metafisico», radicalmente negativo nei confronti del Cristianesimo, anche se in buona fede pro­fessato dalla corrente culturale cristiana, innestata appunto sul sopraddetto realismo metafisico di indole statica. Esso era fatalmente destinato ad una sua incongrua applicazione ad una realtà dinamica, quale era la realtà storica del Cristia­nesimo stesso, non soltanto come genuina realtà storica cri­stiana, ma anche per ragioni teologiche profonde.

Ed invero, è proprio da questa sua applicazione in cam­po cristiano dinamico, facendo perno sulla metafisica della persona umana come ente di primo grado, che il naturalismo metafisico ha dispiegato e dispiega le sue nascoste virtualità antisacrali, dando il colpo di grazia al vecchio sistema sacrale già posto in crisi da cause molteplici. Ad esse, sgorgando dal suddetto naturalismo metafisico, si è venuta ad aggiungere quella che possiamo chiamare la causa del personalismo, come causa metafisica antisacrale endogena, e dunque come la causa più radicale e in un certo senso più negativa di tutte. E’ quella che presiede, a nostro parere, all’attuale processo di secolarizzazione nella Chiesa.

Il personalismo infatti, prima di porsi come un metodo di trattamento della realtà sociale, si pone inevitabilmente, a livello metafisico, come un termine di confronto con l’As­soluto. La ragione si è che, per il suo significato metafisico, esso porta con sè la dialettica della persona umana come ente

 

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di primo grado, la quale, sancendo l’autonomia della persona, sigilla inevitabilmente il dualismo tra persona umana ed As­soluto. Viene così esclusa in radice quella possibilità di sintesi ontica tra i due termini, che è la conditio sine qua non del sistema sacrale, e assai più del sistema TD.

 

E’ infatti la innegabile autonomia metafisica (non mo­rale!…) della persona umana come ente di primo grado, esal­tata naturalisticamente come il «fiore dell’universo» e posta tra cielo e terra quasi come un novello salvatore e demiurgo, che si presta a quella emancipazione dall’Assoluto, che è ca­ratteristica dell’uomo moderno, non escluso il cristiano. E vi si presta, perché appunto ne pone la premessa, consistente in una essenziale distinzione tra sacro e profano, la cui dia­lettica è quella di tradursi in separazione sul piano esisten­ziale. Separazione che sbarra all’Assoluto la strada metafisica per tradursi in forma dinamica religiosa della realtà storica.

Ed è appunto per la dialettica del personalismo che gli aspetti fondamentali della realtà umana esistenziale cessano di essere «sacri», o anche semplicemente «religiosi». La stessa educazione cristiana tende a ridursi sempre più a tec­niche umanistiche, per il fatto che, partendo da una premessa personalistica, pedagogicamente non può più concepire la educazione se non come un impegno umanistico; la morale si sgancia dalla sensibilità (e possibilmente dalla sanzione) religiosa; la socialità tende ad esaurirsi nella prosecuzione di un benessere solo materiale o di una giustizia sociale pura­mente economica; e la missionarietà rischia essa stessa di laicizzarsi in imprese di indole esclusivamente filantropica.

A che potrà ridursi, di conseguenza, la religiosità degli stessi credenti, non diciamo intesa in senso TD, ma semplicemente presa nel suo senso salvifico tradizionale? Il grido d’allarme è stato gettato dallo stesso Concilio Ecumenico Va­ticano Il che ha insieme cercato di delineare pastoralmente i rimedi del caso. Noi qui ci occupiamo tuttavia di metafisica della realtà storica, la quale trascende il problema pastorale come tale, pur non potendolo ignorare, come non potrebbe ignorare qualsiasi altro elemento della realtà storica.

Restando perciò nel nostro tema, facciamo un unico ri­lievo. A proposito dell’Assoluto come indiscutibile e indi­

 

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spensabile forma operante nella realtà umana esistenziale, dobbiamo osservare che il personalismo oggi di moda, nono­stante le apparenze in contrario e qualche possibile successo tattico immediato, si rivela sostanzialmente negativo. E ciò sia per il naturalismo metafisico ad esso congenito, sia per la dialettica analitica di cui è portatore, la quale entra in funzione proprio con la radicale separazione esistenziale tra sacro e profano e più ampiamente tra religioso e profano, quale conseguenza della separazione ontico-metafisica tra lo stesso Assoluto e la persona umana come ente di primo grado, non sanata dal semplice rapporto etico-religioso[9].

In tal modo, il sistema sacrale che sia pure in termini provvisori aveva reso presente ed operante la forma religiosa nella realtà storica, risulta metafisicamente incompatibile col personalismo, il quale conduce appunto ad una vanificazione metafisico-naturalistica di esso. Il primato metafisico della persona come natura, infatti, proiettato e professato in campo esistenziale, non è compossibile col primato dell’Assoluto come forma sacrale della realtà storica. Tale primato suppone la possibilità di una sintesi sacrale fra i due termini, la quale viene impedita dalla inevitabile separazione esistenziale tra sacro e profano, e dalla conclamata autonomia metafisica ed esistenziale dell’uomo stesso, a meno di ricorrere ad ambigue sintesi soggettive, prive di valore ontologico.

Ma il peggio si è che il personalismo tanto meno sarà compossibile con l’Assoluto come forma dinamica religiosa, risolvendosi già a priori in una vanificazione metafisica dei TD. Ed invero, per una metafisica della persona contenuta nell’ambito della natura di essa come ente di primo grado, non c’è posto né sbocco per elementi metafisici riferentisi all’ente di secondo grado quale è il caso dell’Assoluto come forma dinamica religiosa, e dei TD. La metafisica della per­sona come natura, come espressione del naturalismo meta­fisico applicato alla realtà storica, sbarra la strada all’uno e agli altri, lasciando purtroppo via libera agli Assoluti di

 

 

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indole immanentistica e al loro pseudo-TD. Né vi rimedia la considerazione esistenziale della persona in funzione esisten­zialista. Essa a rigor di termini non trascende la fenomeno­logia. E immergere la persona umana in una fenomenologia mistica potrebbe esser peggio.

 

 

6 – Via libera agli pseudo-TD

 

Alla dissoluzione del sistema sacrale è seguita per con­traccolpo – sempre ed unicamente sul piano umano e in rap­porto alla vita collettiva – una inadeguazione della forma religiosa cristiana, resasi manifesta col fenomeno della scristianizzazione delle masse, la quale è stata interpretata quasi esclusivamente come un effetto della questione sociale. Di qui il ricorso al rimedio etico-sociale, codificato nella dottrina sociale cristiana ed espresso in una azione sociale a servizio della giustizia sociale[10].

Cosa necessaria e doverosa, senza dubbio. Ma la realtà era, e lo è ancor più oggi, assai diversa. I termini adeguati  del problema erano quelli della ricostruzione di un mondo, entrato ormai decisamente nella fase di una realtà storica diventata anche esistenzialmente dinamica. Ora, la ricostru­zione di un mondo dinamico non pone soltanto un problema di natura etico-sociale, ma pone anzitutto e soprattutto uno specifico problema di ricostruzione ontologico-dinamica reli­giosa, alla base del quale si colloca appunto, come elemento decisivo, il sistema dei TD, che di detta ricostruzione dina­mica è come l’anima e la insostituibile centrale energetica operativa.

Nondimeno, perché il sistema potesse entrare in azione era necessaria, come sappiamo, una cultura che fosse la con­grua e adeguata espressione di una metafisica dinamica;. ca­pace di reimporre alla nuova realtà storica l’Assoluto come forma religiosa e ideologica. E’ ciò che, in un momento storico

 

 

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delicatissimo quale è stato quello della dissoluzione del vec­chio sistema sacrale e del passaggio da un mondo statico a un mondo dinamico, si è verificato e continua a verificarsi a favore dell’Assoluto falso, e non dell’Assoluto vero, ponendo in moto i suoi pseudo-TD, nell’assenza operativa quasi totale del sistema TD vero.

In tal modo, fuori del regime di concorrenza si è venuta maturando una certa qual situazione di privilegio, per non dire di monopolio, per il sistema pseudo-TD come espressione di antireligione, analogamente alla situazione di privilegio del Cristianesimo primitivo, per la spontanea efficienza del suo sistema TD in un mondo pagano tipicamente statico. Se la analogia pur nella molteplicità delle differenze, può avere un significato plausibile, essa potrebbe suggerire l’idea di una rivincita di Satana contro Cristo, la quale non poteva venir favorita da una circostanza migliore di quella del monopolio del sistema dei TD a favore di esso, essendo questo il sistema delle leve segrete che per il bene o per il male dominano il mondo.

 

Tanto il sistema TD che il sistema pseudo-TD va sorretto da una congrua e adeguata cultura. Ciò posto, risulta evidente che, in regime di cultura personalistica come espressione di un personalismo metafisico interpretativo della persona e a servizio d essa, la situazione testé delineata rimane cristalliz­zata, senza possibilità di sbloccare il monopolio suddetto o sbarrarne efficacemente la strada. La dialettica personalista infatti non ammette che un rapporto etico tra l’uomo e l’As­soluto, sia esso il rapporto etico-religioso, o di altra deno­minazione.

 

Ora, tale rapporto etico-personalista non mobilita l’Asso­luto né come forma religiosa né come forma ideologica, e tanto meno come sistema TD. Più esattamente, relegando l’Assoluto religioso, nella concretezza umana esistenziale, alla sfera del sacro, se ne difende. Sì che la fenomenologia della religiosità, educatività, moralità, socialità e missionarietà, correlativa al TD, nella dialettica personalistica non fa più capo all’Assoluto, ma alla persona umana autonoma, esisten­zialmente legata all’Assoluto da un tenue filo etico come pura

 

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norma di comportamento, poiché l’impegno costruttivo della realtà storica le rimane estraneo. In ogni caso non si pone in funzione dell’Assoluto come forma di essa, ma in funzione della persona umana, a cui deve servire. Di qui l’esaurirsi del personalismo nel disimpegno esistenzialista, o il suo sboc­co nell’utopia mitica quando non semplicemente nella co­struttività marxista.

 

La conseguenza che ne deriva, la quale racchiude il per­sonalismo in una specie di cerchio magico da cui è inutile cercare di evadere, è appunto la riduzione della realtà storica a problema etico-sociale, da modellarsi sulle esigenze della persona, al di fuori di ogni consistenza ontico-metafisica della realtà storica stessa che la ponga quale materia dell’Assoluto come forma. Il personalismo rimane così succube di una con­cezione naturalistica metafisicamente chiusa all’essenza onti­co-dinamica della realtà storica, applicando in teoria e in pratica alla medesima uno schema statico analitico ed astrat­to, che metafisicamente non può andare al di là di una visione etica delle cose, posta concretamente in continua discussione dalla sconcertante dinamicità della stessa realtà storica, che almeno fenomenicamente nessuno può più ignorare. L’eticità infatti, agganciata alla persona umana e sganciata dall’Asso­luto e dalla realtà storica come EDUC, cade nell’ambiguità e diventa priva di senso.

 

A scanso di equivoci conviene richiamare ancora una volta la fondamentale distinzione tra la dottrina sociale cri­stiana che giustamente fa continuo appello alla persona uma­na da salvare, e il personalismo che vorrebbe garantirne la messa in opera al di fuori della natura ontico-dinamica della realtà storica e indipendentemente dal funzionamento di un sistema TD cristiano.

 

L’istanza etico-sociale cristiana, oltre ad appellarsi alla coscienza morale dei singoli, oggi deve poter contare su una spinta culturale che fa necessariamente capo ad una chiave metafisica dinamica. Oggi infatti qualsiasi cultura che voglia incidere sulla costruttività della realtà storica, deve inne­starsi in una metafisica dinamica che per noi è quella reali­stico-dinamica.

 

 

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La chiave metafisica in questione non può essere che Dio, o l’uomo. Il sistema sacrale aveva scelto Dio. Il personalismo sceglie l’uomo, pur nell’illusione di non rifiutare Dio. E’ an­cora la scelta «statica» .

Di fatto, oggi, il rifiuto di Dio risulta automaticamente consumato dalla dialettica personalista, in quanto esclude Dio come forma dinamica ontico-religiosa della realtà storica, e la mobilitazione operativa di essa nei TD. Non solo non ne seguirà una cultura come valido appoggio della dottrina so­ciale cristiana, ma ne risulterà più universalmente una specie di disarmo religioso, destinato a riflettersi in disarmo educa­tivo, morale, sociale e missionario: in una parola, in un di­sarmo TD cristiano, a favore della mobilitazione pseudo-TD anticristiana.

Ed invero, se già in un mondo statico ciò che appariva storicamente risolutivo era l’accettazione sacrale del Divino; a maggior ragione, in un mondo diventato dinamico, l’unica formula concretamente ed operativamente valida anche se non effettualmente risolutiva, sarà quella dell’accettazione dell’Assoluto come forma e della sua mobilitazione TD, perché postulata dalla natura ontico-dinamica della realtà sto­rica stessa. E’ ciò che è stato afferrato da parte delle moderne metafisiche dinamiche immanentiste, e dei movimenti che vi si ispirano, dando inizio in tal modo all’epoca d’oro degli pseudo-TD.

 

7 – L’epoca d’oro degli pseudo-TD

 

Le moderne metafisiche dinamiche immanentiste non sono che la teorizzazione di una realtà contingente interpre­tata come Assoluto di natura dinamica nel senso di attivisti­camente diveniente. Ed è bastata l’applicazione di tale Asso­luto ad una realtà storica diventata ormai essa stessa esisten­zialmente dinamica, per avere in mano la chiave della sua natura ontica, e conseguentemente anche della sua dinamicità  del suo dominio. A questo scopo, tutto si riduceva a conce­pire il rispettivo Assoluto come forma dinamica religiosa (o antireligiosa) della realtà storica, e a mobilitarlo, più semplicemente a sfruttarlo, nei cinque aspetti fondamentali di essa corrispondenti appunto al cinque TD.

 

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La diversità di terminologia non ha importanza[11]. Coe­rentemente all’impostazione realistica o meno del sistema gli stessi elementi possono esprimersi con parole e concetti diversi. Come non ha importanza, per ora, la eventuale fal­sità degli elementi in questione. Gli Assoluti e i TD dinamici emergenti dalle metafisiche immanentiste risultano falsi pel fatto stesso che rinnegano la trascendenza del Divino. E’ per questo che dobbiamo chiamarli pseudo-Assoluti o pseudo-TD. Ma ciò non basta per una loro squalifica. In campo dinamico, anche l’errore può essere una concreta realtà dinamica ope­rante, sì che una pura confutazione teorica o una condanna ufficiale rimanga sterile, per la ragione che la dinamicità la­vora a favore di esso, indipendentemente da dette condanne e confutazioni.

Può darsi addirittura il caso opposto: che cioè la verità non riesca ad incarnarsi dinamicamente nella realtà storica, mentre vi s’incarna l’errore, convogliando a proprio profitto la dinamicità di essa. In una realtà storica la quale dispieghi anche esistenzialmente la sua intima natura dinamica, il cumulo di verità più sacrosante che vi siano presenti soltanto in forma statica, analitica ed astratta, non solo non avrà ra­gione sull’errore che s’incarna in essa dinamicamente, ma è destinato ad esserne sopraffatto, poiché sul terreno dinamico concreto lo statico è inesorabilmente destinato ad essere bat­tuto dal dinamico.

E’ l’esperienza che limitatamente al suo aspetto umano sta facendo il Cristianesimo oggi: ciò che non ne frustra l’efficienza soprannaturale. Ne riconferma anzi l’origine divi­na e l’essenziale indefettibilità, ma facendo esperimentare ad un tempo, in base agli stessi dati di fatto, quel che significa in un mondo diventato dinamico l’assenza di una sua adeguata mobilitazione dinamica, tanto più trovandosi di fronte ad una mobilitazione avversaria in tal senso, quanto mai efficiente.

Non si può infatti negare che il sistema pseudo-TD anti­-

 

 

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cristiano stia vivendo in questo periodo storico la sua epoca d’oro, determinata da fattori molteplici ma soprattutto dalla mancata presenza operante del sistema TD cristiano. Questo non è più surrogato dal sistema sacrale. E quel che è peggio, resta eliminato in un certo senso a priori dal naturalismo metafisico di indole statica fatalmente legato al personalismo. Né viene compensato da un mistico slancio vitale esistenzial­personalista, per la sua radicale inadeguatezza o ambiguità culturale e operativa.

I disorientamenti teoretici e pratici nonché i compromessi esistenziali che possono seguirne, non interessano diretta­mente la nostra metafisica della realtà storica. Basti avere accennato, con quanto sopra, ad una chiave per una loro più penetrante comprensione, e per una più facile prevenzione, quanto mai necessaria.

Un sistema pseudo-TD in regime di monopolio, infatti, è quanto di più insidioso si possa immaginare, tanto per la sua congenita spinta missionaria e proselitistica, indipenden­temente da qualsiasi forma di dialogo; quanto per quell’istin­tivo complesso di inferiorità che prende fatalmente chi non si trova efficacemente sorretto da un sistema TD contrario. Questi verrà con facilità convogliato, per inerzia, per debo­lezza o per un equivoco zelo, nella corrente pseudo-TD pre­valente, restandone più o meno succube od infetto, quando pure non si trasformi in un suo accolito entusiasta, il cui zelo inconsulto, anche se candidamente sincero, sarebbe sen­z’altro degno di miglior causa[12].

Più che i rilievi pratici od applicativi, ciò che interessa più direttamente il nostro studio metafisico a proposito degli pseudo-TD, è la loro incompossibilità con i TD veri, insieme alla loro ineluttabilità, nonché l’identità dialettica del conge­gno metafisico che governa tanto i veri TD, quanto gli pseu­do-TD.

 

 

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Cominciamo dalla incompossibilità tra gli uni e gli altri. Essa viene inesorabilmente sancita dalla diversità degli Asso­luti a cui appellano, che sono rispettivamente, per esprimerci in puri termini metafisici, l’Assoluto vero, e un falso Asso­luto, il quale immanentisticamente non può risolversi che nell’Antidivino. TD e pseudo-TD partono in tal modo da due termini diversi, che importano l’opposizione più radicale e irriducibile, e ad essi costantemente riconducono.

Si potrebbe nondimeno pensare che cammin facendo le cose cambino. Nel corso della storia, attraverso la logorante usura degli avvenimenti e del tempo, i massimalismi ideolo­gici (si dice) si attenuano, i movimenti ad essi ispirati se ne rendono autonomi, il senso di praticità e concretezza prende il sopravvento su qualsiasi idealismo o ideologia, e le teorie e dottrine più perniciose possono svuotarsi o venire accanto­nate, per dar luogo a un modus vivendi tollerabile o addirit­tura passibile di una positiva collaborazione, quando non lo si saluti come l’avvento e l’affermazione di un progresso sto­rico e sociale giudicato altrimenti irraggiungibile.

E’ un tipo di ragionamento, questo, che in certa misura poteva apparir valido in un mondo statico, ancora al di fuori del dominio dei sistemi TD, ed anzi ancor privo della loro presenza. In un mondo statico infatti, il problema di un Asso­luto come forma dinamica buona o cattiva di una realtà sto­rica essenzialmente ed esistenzialmente dinamica, e quindi tale da postulare in ritmo di costante e rinnovata necessità la forma suddetta, traducentesi inesorabilmente nel correla­tivo sistema TD; in un mondo statico, diciamo, tale problema non si poneva. E dunque non si imponeva nemmeno il sistema TD come ineludibile esigenza storico-metsfisica[13].

Il sistema TD invece s’impone, e non soltanto sul piano teoretico, ma come una incomprimibile realtà pratica, in un mondo diventato dinamico, in virtù della stessa natura dina­mica, sintetica e concreta, della realtà storica che lo compone. La questione degli itinerari ideologici pertanto, si presenta

 

 

 

 

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anch’essa in termini affatto diversi, secondoché quelli ven­gono percorsi in un mondo statico o dinamico, con o senza incarnazione dell’Assoluto come forma dinamica religiosa (o antireligiosa) in un sistema TD o pseudo-TD.

Ma noi stiamo parlando di detti itinerari in un mondo dinamico, e per di più in funzione di sistemi TD o pseudo-TD presenti ed operanti. Sul piano metafisico dinamico essenziale pertanto, che dinamicamente rimane il piano della concretezza decisiva e della praticità radicale (poiché praticità e con­cretezza con la prassi partono dalla essenza dinamica della realtà storica); dobbiamo concludere che l’itinerario storico del sistema TD non soltanto non svuoterà se stesso, ma è destinato a potenziarsi, qualunque ne siano le vicende esi­stenziali. Ed anche questa è una legge dei TD -la legge del potenziamento del sistema – che com’è ovvio favorirà il sistema TD in atto.

Quanto alla incompossibilità fra TD e pseudo-TD, dob­biamo dunque concludere che essa rimane attraverso qualsiasi vicenda storica, riflettendosi nella pratica in modo tale, che anche le coincidenze di interessi, di valori, e addirittura di significati verbali, non potranno essere che apparenti e di conseguenza equivoche. Una sola ipotesi diventa possibile per il superamento di tale incompossibilità: quella dell’assorbi­mento di un sistema TD (o pseudo-TD) da parte di un altro.

 

8 – Ineluttabilità degli pseudo-TD

 

Il fatto dell’incompossibilità fra TD e pseudo-TD si mani­festa ancor più cruciale, per la ragione che la presenza e la operatività degli pseudo-TD appare ineluttabile. La realtà storica è distruttibile, ma non reversibile. E un mondo di­ventato dinamico, al di fuori di una ipotesi che lo annienti, quale può essere quella di una catastrofe nucleare, è destinato a rimanere dinamico e ad esaltare la propria natura dinamica, soggiacendo sempre più alla sua dialettica. E’ per questo che gli pseudo-TD, una volta entrati formalmente nella storia come leve segrete della sua dinamicità, non danno luogo a vane speranze. E’ quindi inutile illudersi che cadano nella inerzia o scompaiano.

Tale illusione è nondimeno piuttosto diffusa, e si esprime

 

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in modi diversi, compresa la prospettiva di un mondo futuro governato sovranamente da una supertecnica elettronica, al di fuori e al di sopra di qualsiasi ideologia. E’ questa l’espres­sione di un materialismo empirico o metafisico, a sbocco scientista, il più ingenuo che si possa immaginare. Si avvici­nano più al vero coloro i quali pensano invece che la super­tecnica elettronica possa diventare uno strumento determi­nante per il potere egemonico di una data ideologia. La ra­gione di ciò sta appunto nella diversa natura dei due termini a confronto. L’ideologia[14] in un mondo dinamico e in fun­zione di esso, è espressione cosciente di un Assoluto come forma dinamica religiosa (o antireligiosa), imposta dalla cul­tura e resa operante come religiosità (o antireligiosità), edu­catività, moralità, socialità e missionarietà trascendentali dinamiche. Mentre anche la supertecnica elettronica non è che «materia» a disposizione della forma e conseguentemen­te dell’ideologia capace di imprimerle il proprio impulso ope­rativo strumentalizzandola.

Benché per via diversa, nutre la illusione di una possi­bile realtà storica senza TD e senza ideologia, il personalismo, come se la realtà storica in concreto potesse essere diretta­mente governabile da una pura norma etica emanante dalla natura morale della persona umana, o ispirarsi idillicamente a un sistema di valori, senza passare attraverso un sistema sacrale, o un sistema TD. La «purificazione personalisti­ca» della norma etica, liberandola ad un tempo dai sistemi sacrali e ideologici per porla a disposizione di un umanesimo più autentico e possibilmente di un Cristianesimo più aperto alle realtà terrestri e più accessibile all’umanità di oggi, porta con sè un non lieve margine di utopia, e rimane praticamente ambigua.

Di fatto, la nuova realtà storica, che il personalismo vor­rebbe servire, come realtà dinamica non è governabile né attraverso la natura fisica, anche se espressa nella supertec­nica elettronica, né attraverso la sola natura morale come espressione personalistica, né attraverso un astratto sistema

 

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di valori. Essa non è governabile che tramite l’Assoluto come forma dinamica religiosa e ideologica, esprimentesi ontica­mente e praxiologicamente nelle sue cinque funzioni trascen­dentali che ben conosciamo. Tutto il resto, a partire dalla norma etica personalistica, e compresa la supertecnica elet­tronica, dovrà subirne la incomprimibile dialettica. Detto Assoluto infatti potrà rifiutare o accogliere la norma etica professata dal personalismo, bloccandola in radice o renden­dola energicamente operativa, ma sempre in virtù dei propri TD. Né si pensi, nel caso degli pseudo-TD eliminatori della sana norma etica naturale, che la loro eliminazione rimanga fittizia, in quanto detta norma è natura, e invano si tenta di sopprimere la natura. Come la stessa esperienza dimostra, non è questo, purtroppo, il caso dei Dieci Comandamenti.

Se dunque la norma suprema destinata di fatto a reg­gere concretamente la realtà storica dinamica, è l’Assoluto come forma dinamica religiosa o ideologica esprimentesi nei suoi TD; ed ancora, supposto che, com’è effettivamente, la sua presenza operante sia indilazionabile per la ragione che la realtà storica dinamica è necessariamente costruttiva in funzione di un Assoluto; ne segue che anche la presenza ope­rante di un sistema TD in atto, diventa ineluttabile. Ed essa potrebbe risolversi precisamente nell’ineluttabilità dello stes­so sistema pseudo-TD.

Non è che un’ipotesi metafisica questa ineluttabilità degli pseudo-TD a cui siamo arrivati. Né, per fortuna, sarebbe pos­sibile tradurla in tesi come tale. L’ineluttabilità degli pseudo­TD non è di ordine metafisico, ma di ordine morale, nel sen­so che rappresenta una fatalità storica non superabile di fatto, secondo le normali leggi storico-sociologiche.

Che cosa si richiede infatti per una sua instaurazione e persistenza? Nient’altro che questi tre fattori concorrenti: primo, una realtà storica che s’imponga essenzialmente ed esistenzialmente come dinamica; secondo, una metafisica di­namica immanentistica, che interpreti la concreta natura di­namica di tale realtà storica tracciando ad un tempo la via della sua costruzione, in quanto addita l’Assoluto che la costruisce e in funzione del quale bisogna costruirla; terzo, una cultura che organizzi e promuova tale costruzione.

 

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Non è difficile constatare come questi tre fattori siano stati e continuino ad essere a completa (e sostanzialmente ad esclusiva) disposizione degli pseudo-TD, determinandone ine­luttabilmente la presenza operante. Ciò, in riferimento ad un passato più o meno recente, e ad un presente tuttora in corso. Il dubbio potrebbe avanzarsi per il futuro. Ma anche per il futuro, insieme all’auspicata urgente scomparsa del loro mo­nopolio e della loro esclusiva, è da prevedersi una ineluttabile persistenza degli pseudo-TD qualunque siano le inopinabili trasformazioni teoretiche e pratiche a cui dovranno andare incontro.

Basta infatti riappellarsi al fattori suddetti, per convin­cersene. Alla realtà storica dinamica innanzitutto, la quale essenzialmente è, ed esistenzialmente diventerà sempre più dinamica, pur ponendosi come tale a disposizione tanto degli pseudo-TD che dei TD veri. Viene poi come secondo, il fattore delle metafisiche dinamiche immanentistiche. La stessa dina­micità della realtà storica, anziché fare opera di dissuasione nei confronti di esse, ne sarà come un postulato sempre più stringente, nella misura che la costruzione dinamica della stessa realtà storica si collocherà sulla linea di un Assoluto che non sarà il vero, e peggio sarà l’antagonista del vero.

Diciamo « nella misura» che la costruzione della realtà storica si collocherà sulla linea di tale Assoluto. Detta misura è un mistero che ci sfugge. Onde nessuno, e men che meno un metafisico della realtà storica, può prevederla. Ma è pre­vedibile con assoluta certezza il fatto della costruzione in funzione antidivina a cui essa si riferisce. Il male continuerà ad essere una delle insopprimibili componenti del mondo futuro. E il sistema pseudo-TD rappresenta appunto il segreto della dinamica del male, non superabile da una formula più efficiente, e dunque non rinunciabile. La ragione si è che esso rappresenta la mobilitazione più completa ed energica della stessa dinamicità essenziale della realtà storica, perché ne è la mobilitazione ontico-praxiologica, al di là della quale non è possibile andare.

La metafisica dinamica immanentistica pertanto, qualun­que ne siano le elaborazioni sistematiche e le modalità di accoglimento e di espressione vitale, è destinata a fondare il

 

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dogma dell’Assoluto che sta alla base della costruzione dina­mica antidivina del mondo futuro, e prima ancora, sta alla base della formazione dei suoi adepti. E’ un processo che non potrà compiersi se non attraverso la fede: ma fede opera­tiva e ideologicamente costruttiva poiché qualsiasi dogma e tanto più il superdogma di un Assoluto come forma dinamica sintetica e concreta, ontica e praxiologica, etica e salvifica, dell’intera realtà storica, non può accettarsi che per fede e rendersi operante che con una fede religiosa – in questo caso antireligiosa – e dinamica.

Penserà la cultura – da intendersi anch’essa in senso dinamico e dunque come coerente e totale espressione e ser­vizio del rispettivo Assoluto -; penserà la cultura, diciamo, nelle sue forme e prestazioni più diverse, ma sempre in fun­zione di mobilitazione pseudo-TD dell’Assoluto antidivino e in appoggio alla relativa prassi, a garantire il processo di co­struzione del mondo. Dinamicamente infatti, le fondamentali funzioni «profetica» ed «apostolico-missionaria», nella indi­spensabile fase di un continuo aggancio fra lo pseudo-Assoluto e le coscienze, tra realtà storica e ideologia, tra la vita e la spinta dinamica all’azione qualificata o anche semplicemente a un passivo assorbimento dentro di essa; vengono demandate alla cultura, come terzo ed ultimo fattore per una instaura­zione di base del sistema pseudo-TD[15].

E’ pensabile che i profeti e gli apostoli del male astraendo da qualsiasi giudizio sulle persone poiché è possi­bile che la realtà da essi preconizzata e promossa sfugga alle loro stesse coscienze – rinuncino al tremendo strumento di bene o di male che è il sistema TD, essendone stati i primi beneficiari, sensibilissimi come sono alla natura dinamica della realtà storica e alla sua utilizzazione?

Senza bisogno di ricorrere alla dichiarazione evangelica la quale ammonisce che «i figli delle tenebre sono più sagaci dei figli della luce», diciamo che è ingenuo il pensarlo. E’ invece cosa da saggi il darsi conto di questa ineluttabilità storica degli pseudo-TD, per superare facili illusioni od ine-

 

 

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zie, nell’evidente certezza che, secondo la logica umana e divina delle cose, il mezzo indispensabile per contrastarne la paurosa efficienza, è contrapporvi operativamente e concretamente il sistema TD vero.

 

9 – Identità dialettica del congegno metafisico

 

Benché proiettata nel futuro, anche l’ineluttabilità degli pseudo-TD fa parte del dato di esperienza che va posto alla base della nostra trattazione metafisica sui TD come forma dinamica religiosa – o antireligiosa – in azione. Ma la trat­tazione per noi qui deve restare metafisica. Prescindiamo per­tanto dai cruciali problemi pratici che vi si connettono e co­minciano forse ad intravvedersi. E limitiamoci, a proposito dei TD veri e degli pseudo-TD, ad un ultimo rilievo metafisi­co: quello dell’identità dialettica del loro congegno essen­ziale intimo.

La frase che dice: la dialettica dei contrari è identica, può essere ritenuta vera anche in senso realistico-dinamico, a proposito dei TD e pseudo-TD, che, formalmente, nono­stante ingannevoli analogie materiali e più o meno equivoci compromessi esistenziali, si oppongono radicalmente e total­mente fra loro. La loro opposizione infatti, è quella degli As­soluti che esprimono: irriducibile, come a livello essenziale metafisico è necessariamente irriducibile l’opposizione tra vero e falso, bene e male, Dio e Satana.

Si tratta però per noi di una opposizione non di tipo dialettico idealistico, ma di tipo realista dinamico, facente capo al realismo dinamico che importa anch’esso una sua dialettica. Ed è una dialettica che va intesa come logica dina­mica oggettiva interna alla cosa stessa – per noi qui «inter­na» al TD veri o falsi -, esprimentesi ad un tempo come razionalità ed energia operativa, e più precisamente come una razionalità a immediato servizio di una incomprimibile energia operativa.

Ciò posto, asseriamo che tale dialettica, in quanto riferita al TD e agli pseudo-TD come puri trascendentali a prescin­dere dalla verità o falsità del loro Assoluto, è identica, perché implica un identico congegno metafisico, il quale scatta dia­letticamente tanto a favore dei TD veri che degli pseudo-TD:

 

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sì da poter precisamente asserire pure in senso realistico dinamico che la dialettica dei contrari, perché basata su un loro congegno metafisico comune, è identica.

Per non pensare che in senso realistico tale principio sia esclusivo dei TD, basti ricordare per esempio che anche la dialettica dell’atto moralmente buono o cattivo è identica, in quanto basata sull’identico concetto di moralità come norma e sullo stesso meccanismo psicologico razionale, i quali fun­zioneranno allo stesso modo tanto a servizio dell’atto buono che cattivo: nel primo caso, portando l’atto umano alla sua posizione e alla sua qualifica di atto buono; nel secondo, por­tandolo a quella di atto cattivo.

Ma è sulla identità dialettica dei TD sia veri che falsi, che qui vogliamo insistere. Una identica dialettica si applica a tutti e a ciascuno, e vi si applica dinamicamente, e dunque secondo i principi e le leggi metafisiche che governano i TD e li investono totalmente, spingendosi fino alla concretezza esistenziale e alle prestazioni operative più immediate. Rife­riamoci per esempio alla religiosità, che nell’ipotesi del TD sintetico falso sarà antireligiosità; e l’identità dialettica in questione sarà facilmente constatata.

Ed infatti, se la religiosità implica le due valenze ontica e salvifica, esse si verificheranno infallantemente tanto per il TD sintetico vero, che per il TD sintetico falso, e cioè tanto per la religiosità quanto per la antireligiosità. Ancora se essa implica un atto di fede, speranza e carità, ciò si veri­ficherà (sia pure con modalità e significati diversi) sia per il TD sintetico vero, che falso.

Non basta. Se è nella natura dei TD sintetici la biva­lenza suddetta e il triplice atteggiamento teologale (od ateo­logale),l’una e l’altro dovranno trovarsi presenti ed operanti fin dove si spinge il TD sintetico, e dunque in tutta la realtà storica, tramite la persona umana storicizzata. E poiché la presenza operante del TD sintetico come religiosità o anti­religiosità non è concretamente possibile senza il passaggio del TD sintetico nei TD analitici, ne segue che tutti i TD saranno rispettivamente religiosi o antireligiosi, rendendo la loro identica dialettica trascendentalmente sempre presente ed operante tanto la religiosità, che l’antireligiosità.

 

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Ne segue, sempre per l’identità dialettica, che l’efficienza e il potere operativo e dominativo metafisicamente non potrà esser monopolio dei TD falsi, ma si trova egualmente a di­sposizione dei TD veri, purché sia tradotto in atto nella stessa misura e possibilmente in misura maggiore dei falsi.

L’identità dialettica dei contrari, pertanto, mentre da una parte previene qualsiasi illusione in quanto a causa di essa le forze destinate al bene sono anche a disposizione del male; dall’altra ci rassicura che tali forze restano sempre ricuperabili da parte del bene, il quale potrà lanciarle anche con maggiore energia.

A tale scopo, nondimeno, risulta del tutto indispensabile evitare un equivoco altrettanto facile quanto dannoso. Ed è appunto il credere che l’efficienza del male dipenda dalle sue tecniche, sì che per contenerlo ed eventualmente per batterlo basti plagiare queste ultime. In una realtà storica dinamica, non sono le tecniche che decidono del governo o del dominio del mondo, ma è il possesso e l’utilizzazione della segreta energia che si cela ed opera nel sistema dei TD.

E’ un tipo di energia che tanto per il bene quanto per il male appartiene al mondo dello spirito, e per la sua so­vrumana potenza e forza di decisione può ben paragonarsi e contrapporsi all’energia nucleare, che del resto sovrasta. Ed invero, se nell’attuale regime politico una vittoria è ancora pensabile, essa è destinata ad essere una vittoria ideologica più che militare; è destinata cioè ad essere la vittoria di un sistema TD.

Se ciò risulta più che verosimile sul terreno delle poten­ziali guerre politico-militari, diventa assoluta certezza nella lotta tra il Divino e l’Antidivino per la costruzione e la sal­vezza del mondo. Non saranno le tecniche a deciderne la sorte, ma sarà quella specie di energia nucleare del sistema TD, che decide anche della scelta e utilizzazione delle tec­niche.

Ed invero, all’identità dialettica determinata dal comune congegno metafisico, si accompagna al TD una irriducibile diversità tecnica ed operativa, derivante dal contenuto irri­ducibilmente diverso del congegno metafisico comune. Come TD infatti, tanto i TD veri che i TD falsi beneficiano di una

 

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identica dialettica, che innesta gli uni e gli altri alla sorgente energetica dell’Assoluto.

Ma è appunto l’Assoluto – Divino o Antidivino -, che pone dentro di essi un contenuto antitetico irriducibile, dan­do l’avvio a due dialettiche operative divergenti ed altret­tanto antitetiche e irriducibili. Non è possibile servire a due padroni. E la dialettica operativa del sistema TD a servizio del Divino, per la stessa essenza di questo non potrà essere che una dialettica di evangelico amore e di pace vera. Mentre la dialettica operativa del sistema TD a servizio dell’Anti­divino, per sua essenza non potrà essere che una dialettica di lotte e di egoismi e di odi.

Sul piano esistenziale e fenomenico, che di per sè è an­cora il piano di una materia dinamicamente amorfa e fatta di sole apparenze; per ragioni molteplici, tra cui la sempre possibile incoerenza dei buoni, o la tattica mimetica dei cat­tivi, o anche semplicemente una incomprimibile linea di equilibrio insito nell’andamento stesso della vita e della real­tà storica, fino al limite delle estreme catastrofi o come su­peramento di esse; le cose potranno forse anche «material­mente» (e apparentemente) coincidere. Stessi problemi e stesse azioni, per il sistema TD e il sistema pseudo-TD.

Ciò che tuttavia dovrà decidere, sarà precisamente la dialettica dinamica, o la dinamicità dialettica, che partendo dal polo dell’Assoluto Divino o Antidivino per arrivare al­l’altro polo della costruzione della realtà storica in funzione di esso, come una corrente ad alto potenziale positivo o nega­tivo percorrerà la massa ambigua dell’esistenza e della feno­menologia caricandole della propria forma ed energia, che sono ad un tempo slancio vitale ed operativo ideologicamente ben qualificato, e spinta escatologica (o semplicemente finalistica) inequivoca.

Quanto alla identità dialettica dei contrari, dobbiamo quindi concludere che essa esiste. Ma in combinazione con una irriducibile opposizione da parte delle rispettive forme, che risulta decisiva. Da una parte il TD sintetico falso ha quel suo tremendo potere operativo e dominativo, non però perché falso, ma perché TD sintetico. Non è dunque un suo potere esclusivo, ma comune al TD sintetico vero. D’altra

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parte, l’Antidivino e il Divino, rispettivamente come forma del primo e del secondo, per la loro irriducibile opposizione, non potranno che dare l’avvio ad una loro espressione esi­stenziale ed operativa inconciliabili. Sarà nondimeno una in­conciliabilità sottoposta alla dialettica della propria forma, che per il Divino sarà quella dell’amore, in funzione della suprema Verità e Bontà di esso.

Ciò che pertanto deciderà del sistema TD, in definitiva sarà il suo contenuto Divino, o Antidivino. Sarà la scelta teo­logica dell’uno o dell’altro, che dovrà essere, innanzitutto, una scelta metafisica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CAPO VI
LA SCELTA TEOLOGICA COME SCELTA METAFISICA

 

 

1- Categorie filosofiche e contenuto teologico

 

Parlare, in sede di metafisica della realtà storica e non per esempio di teologia della storia, di una scelta «teologi­ca», potrà forse apparire strano. Eppure dobbiamo parlarne proprio in sede di metafisica della realtà storica, e non co­munque, ma in precisa e formale funzione di essa. Se ciò avviene, è perché la scelta teologica deve far parte di detta metafisica, anche se, come tale, essa rimane filosofia e non diventa teologia. Di più: il Divino, nella sua specificazione teologica, dovrà entrare a far parte dell’essenza stessa della realtà storica, e dunque della sua metafisica senza la riserva di un illogico agnosticismo soprannaturale, anche se di indole puramente metodologica.

La questione è quanto mai seria, senza dubbio. Ed è al­trettanto cruciale e decisiva, poiché, se la teoria metafisica dei TD per restare filosofia deve interdirsi di specificarne il contenuto teologico, essa rimane come una macchina di stra­ordinaria potenza, ma spezzata in due, sì da non poter assu­mere un significato determinante in piano teoretico, e non essere efficacemente applicabile in piano pratico. Dobbiamo pertanto affrontare la questione con decisione e chiarezza, cercando di giungere ad una sua soluzione valida, poiché in essa sta la chiave per una validità risolutiva, teoretica e pra­tica, della nostra metafisica della realtà storica.

Finora, tutti gli elementi metafisici da noi acquisiti non sono che categorie filosofiche le quali si riducono a pure «for­me», vuote di contenuto. Abbiamo parlato di essenza, di forma essenziale, di formalità trascendentali, in riferimento alla realtà storica come EDUC. E ne abbiamo parlato in fun­zione dell’Assoluto, poiché ognuna di tali categorie ha un senso, unicamente in funzione dell’Assoluto. Ma, a sua volta

Lo stesso Assoluto rimane una forma vuota di contenuto, per la ragione che va specificato in vero o falso. Né è sufficiente una sua specificazione in Divino e Antidivino, poiché lo stesso

 

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Divino e Antidivino debbono a loro volta venire specificati. E nemmeno basterebbe ancora una loro ulteriore specifica­zione a titolo puramente informativo anziché di scelta, poiché altro è una specificazione a titolo di informazione, e altro il giudizio di verità e di valore sopra il loro preciso conte­nuto, come elemento specificativo ultimo e risolutivo del­l’Assoluto stesso, e con esso di tutte le categorie anzidette.

Ora, è evidente che, in concreto, tale elemento specifi­cativo ultimo e risolutivo dell’Assoluto, come giudizio di ve­rità e di valore, implica una scelta teologica, un pronuncia­mento di giudizio teologico, pel fatto che consiste in una ine­quivocabile realtà teologica.

Qual è infatti questa realtà teologica che si impone come conclusione dell’indagine realistica in materia, la più ogget­tiva e adeguata che si possa ragionevolmente pretendere? A puro titolo di tesi conclusiva di tale indagine, senza rifarne il cammino il quale non è compito della metafisica della real­tà storica, ci limitiamo qui ad enunciarla, riservandoci in se­guito di giustificarne l’accettazione. E lo facciamo in questi termini: la realtà teologica che rappresenta l’elemento specificativo ultimo e risolutivo dell’Assoluto come forma dinami­ca religiosa della realtà storica, è Cristo Capo del Corpo Mi­stico, in sede di forma primaria; e lo stesso Corpo Mistico di Cristo, in sede di forma derivata.

Prescindiamo dalle implicanze divine di Cristo-Forma, che pongono propriamente questioni teologiche al di fuori del nostro problema. Qui ci basti tener presente che tutto il Di­vino come forma passa in concreto per Cristo, e si risolve in Cristo-Forma. E prendiamo atto del fatto che Cristo-Forma è una squisita realtà teologica, e che dunque l’Assoluto come forma della realtà storica si risolve, di fatto e di necessità, in una realtà teologica. Che vi si risolva di fatto, risulta chia­ramente dalla concretezza cristiana della realtà storica. Che vi si risolva di necessità, risulta con altrettanta chiarezza e perentorietà, dalla concretezza anticristiana della realtà sto­rica stessa che è anch’essa a valore teologico, anche se di natura «ateologica .

Un neutralismo «teologico» di fondo a riguardo della realtà storica, basato sulla essenziale eticità dell’uomo e con­figurantesi esistenzialmente nella distinzione tra sacro e pro­fano, è stato e continua ad essere l’ideale sognato da umane­simi passati e presenti. Ma a renderlo sempre più utopistico è stato proprio il passaggio dal mondo statico al mondo dina­mico, che allontana sempre più l’illusione etico-naturalistica ereditata dall’illuminismo, che sognava una società «fonda­ta sull’uomo».

I termini dell’esistenza umana concreta infatti non si pongono più come traduzione immediata della natura nell’in­dividuo, senza la mediazione di una realtà storica come ente di secondo grado da costruirsi in funzione dell’Assoluto. In un mondo dinamico, essi si pongono necessariamente in su­bordinazione alla realtà storica come EDUC la cui forma non può essere che l’Assoluto, con un’unica possibilità di scelta negativa: quella atea, e non già quella del neutralismo teo­logico, magari avallata da un illusorio umanesimo persona­listico.

Ed invero, in un mondo dinamico, per la stessa dialet­tica della realtà storica come EDUC a forma divina, il rifiuto della concreta forma divina metafisicamente vera non può risolversi se non in una scelta atea, che come tale non è affatto teologicamente neutra, ma rappresenta una scelta teo­logica teoretica e pratica di sua natura quanto mai convinta e virulenta, per la stessa ragione che è scelta teologica atea, od ateologica, proiettata direttamente nella concezione meta­fisica della realtà storica e nella prassi, senza remore extramondane o sacrali.

Bisogna pertanto concludere che la realtà storica dina­mica non dà luogo a categorie metafisiche di se stessa come forme vuote di contenuto teologico. In tanto esse sono meta­fisicamente concepibili e valide, in quanto sono ripiene di un Assoluto come forma e dunque ripiene di un contenuto teo­logico, e vengono riconosciute e metafisicamente stabilite in tale loro pienezza. La stessa realtà storica, in tanto può esser dinamica, in quanto dentro di essa è essenzialmente presente un concreto Assoluto come forma dinamica religiosa (o anti­religiosa).

Le metafisiche dinamiche atee della realtà storica lo riconoscono, e non per questo si inibiscono come metafisiche. Al contrario, la loro possibilità metafisica è proporzionale alla loro scelta atea e al loro contenuto «ateologico», come ultima

 

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e risolutiva determinazione della realtà storica, e come con­creta e specifica negazione e sostituzione del contenuto teo­logico vero.

Tutto ciò è nella logica della metafisica della realtà sto­rica, semplicemente perché è nella dialettica essenziale della realtà storica stessa. Non v’è motivo perché non lo sia anche per una metafisica realistico-dinamica della realtà storica, il cui contenuto metafisico specificativo ultimo e risolutivo do­vrà essere perciò teologico, per la stessa ragione e gli stessi diritti per cui il contenuto delle metafisiche dinamiche im­manentiste è ateologico.

 

2 – Contenuto teologico ontico e salvifico

 

Nondimeno, il rifiuto di una metafisica della realtà sto­rica a contenuto teologico può corrispondere per noi a una tendenza così innata, da apparire inevitabile, sia per una ma­lintesa distinzione dei saperi, sia anche per la persistente illusione di dovere e poter demitizzare la realtà storica non solo da ogni sovrastruttura sacrale, ma anche da qualsiasi inquinamento ideologico. E’ l’Assoluto infatti che arma ideo­logicamente la realtà storica, fino a spingere a lotte esaspe­rate e a ingiustificabili fanatismi. Perché dunque non tornare a concepire la realtà storica in pura funzione dell’uomo, dal quale essa parte, e a cui deve in definitiva servire?

In tal modo, e cioè attraverso un semplice umanesimo sia pure implicante un personalismo etico, il contenuto teologico della realtà storica parrebbe saggiamente accantonarsi, po­nendo su un piede di parità dialogica, evitando le complica­zioni epistemologiche tra filosofia e teologia, e superando nel­la pratica i deprecati litigi ideologici…

Senonché l’umanesimo, compreso il personalismo etico, né interpreta la realtà storica dinamica, né blocca la sua dia­lettica ateologica, né evita i suddetti litigi, né tanto meno, è in grado di supplire alle imprescindibili esigenze di una dia­lettica «teologica» e ideologica cristiana della realtà storica stessa. E’ semplicemente una gratuita quanto inopportuna e inutile evacuazione di esse. Non è dunque ammissibile il rifiuto del contenuto metafisico teologico della realtà storica a nome dell’umanesimo e del personalismo. Bisogna affron-

 

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tarne il problema, nonostante le reali o apparenti complica­zioni epistemologiche che ne derivano.

Posto infatti che il contenuto delle categorie acquisite dalla nostra metafisica della realtà storica sia teologico, è da decidersi se tale metafisica rimanga ancora filosofia, o diventi teologia, o si risolva in un inaccettabile ibrido. Né la questio­ne sarà puramente accademica, poiché si tratta di ammettere, od estromettere, il Divino nella sua concretezza di forma di­namica religiosa cristiana, dall’essenza della realtà storica. Il che è di una importanza decisiva per la teoria e la pratica cristiana, la quale dovrà obbedire ad una dialettica affatto diversa, a seconda dell’accettazione dell’essenza metafisica teologica della realtà storica, o del suo rifiuto. Si tratta infatti di poter usufruire di una dialettica realistico-dinamica cri­stiana, mettendo in moto il rispettivo sistema dei TD, oppure bloccare l’una e l’altro. Il danno sarebbe tanto più grave, in quanto la teoria e la pratica acristiana o anticristiana è già pienamente allineata con un’essenza metafisica ateologica del­la realtà storica, al di fuori di qualsiasi scrupolo epistemo­logico e di una prospettiva ingenuamente «umanistica».

Il contenuto metafisico delle categorie storico-filosofiche da noi acquisite, sarà dunque «teologico», oppure esse do­vranno restare puramente «filosofiche», e dunque vuote di contenuto? E se il loro contenuto è teologico, come la meta­fisica della realtà storica potrà ancora chiamarsi filosofia?

Per rispondere a queste domande basta richiamarsi la bivalenza della forma dinamica religiosa della realtà storica, in concreto sempre teologica, perché forma religiosa in atto, condotta come tale alla sua ultima specificazione teoretica e pratica. A questo punto essa supera il residuo astrattismo della forma filosofica vuota, riempiendosi di quel contenuto divino o antidivino, che la rende appunto teologica o ateo­logica. Ciò posto, diciamo che la bivalenza in questione, come già sappiamo è ontica e salvifica. Ontica, in quanto la forma dinamica religiosa importa una funzione ontica, attualizzante la realtà storica come EDUC: salvifica in quanto detta forma religiosa importa necessariamente e inscindibilmente anche . la funzione salvifica in senso spirituale ed eterno.

 

Emergono in tal modo due formalità epistemologiche del­la forma dinamica religiosa, sempre teologica nel suo concreto

 

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contenuto ontico e salvifico appunto perché religiosa, che danno luogo a due oggetti formali diversi, di due saperi scien­tifici diversi. Essi saranno precisamente il sapere filosofico metafisico, in funzione della forma dinamica religiosa consi­derata nella sua formalità ontica; e il sapere propriamente teologico, in funzione della forma dinamica religiosa consi­derata nella sua formalità religioso-salvifica in senso stretto.

La conseguenza che ne deriva risulta evidente: la nostra metafisica della realtà storica rimane epistemologicamente filosofia nonostante il perseguimento di un proprio conte­nuto teologico. Più esattamente: sarà una autentica metafisi­ca della realtà storica, alla sola condizione di raggiungere il proprio contenuto ontico nella sua specificazione teologica. Una metafisica della realtà storica che si esaurisse in forme vuote, non sarebbe affatto una metafisica di essa, ma aborti­rebbe in una costruzione logica concretamente priva di appli­cabilità e di valore. E’ questa la ragione per cui nessuna me­tafisica dinamica immanentista si riduce a un castello di forme vuote, ma risulta fatalmente permeata da un Assoluto concreto anticristiano in funzione ontica e salvifica, che la rende ateologica.

Il richiamo alle metafisiche immanentiste dinamiche ci induce a riflettere sul problema del contenuto teologico delle categorie filosofiche che c’interessano, come problema di epistemologia squisitamente dinamica e per noi, più esatta­mente, realistico-dinamica. L’epistemologia statica infatti, coi suoi relativi saperi, ignora l’Assoluto come forma religiosa dinamica, e dunque il contenuto teologico che ne segue, con le due formalità epistemologiche da esso implicate.

Staticamente, il taglio è netto: l’Assoluto, Dio, si conosce in quanto è accessibile alla ragione (teodicea), o in quanto si rivela (teologia). Ma né in un caso né nell’altro Dio potrà tradursi in concreta forma dinamica religiosa della realtà storica, conferendole un contenuto teologico, epistemologicamente passibile di considerazione filosofico-metafisica, e di considerazione propriamente teologica, a seconda delle sue due formalità, ontica e salvifica, nel senso suddetto.

E’ ciò che invece si verifica in sede di realtà storica dina­mica e di epistemologia realistico-dinamica: la realtà teolo­gica, rappresentata dal contenuto concreto divino (o antidi­-

 

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vino) delle categorie proprie della metafisica della realtà sto­rica, dà luogo a un doppio oggetto formale, secondoché la si vede nella sua funzione e formalità ontica, o nella sua fun­zione e formalità salvifica, dando luogo di conseguenza a due saperi. Il primo, di indole filosofica, è appunto quello della

metafisica della realtà storica, di cui è propria la competenza ontica. Il secondo, è il sapere propriamente teologico, a cui compete dinamicamente la formalità religiosa salvifica.

Ne risulta una metafisica dinamica della realtà storica, e una teologia dinamica, che avranno in comune una stessa realtà teologica: l’Assoluto nel suo contenuto concreto, a valore ontico e salvifico ad un tempo. La differenza dipenderà dalla formalità, – ontica o salvifica -, di esso. In tal modo, l’Assoluto viene a rappresentare il vero punto di sutura tra filosofia e teologia, che si porranno così in perfetta continuità e in sintesi piena, pur rimanendo epistemologicamente di­stinte.

La loro distinzione però non sarà più in base ad una realtà teologica esclusiva della teologia: ma si porrà sulla base di una realtà teologica comune, con la diversa formalità di questa, e con la conseguente diversità del metodo. Metodo filosofico (= positivo-razionale) per la metafisica della realtà storica; metodo teologico per la teologia.

 

 

3 – La scelta teologica come atto di fede

 

Da quanto siam venuti dicendo, dobbiamo realmente concludere che le categorie acquisite dalla nostra metafisica della realtà storica, a cominciare dalla forma dinamica reli­giosa, debbono avere un contenuto «teologico», pur restando essa un sapere filosofico.

Come si è constatato, ne deriva una nuova problematica epistemologica, da noi appena accennata per giustificare la scelta teologica da parte di detta metafisica, alla quale dob­biamo fermarci.

Il nostro problema, infatti, è ora quello del contenuto teologico della forma dinamica religiosa della realtà storica e delle categorie che ne derivano, con la conseguente scelta teologica imposta alla metafisica della realtà storica. Essa

 

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implica pure quella scelta fondamentale, che si consuma nel cosiddetto atto di fede.

Col problema della forma della realtà storica posto in tali termini, si può dire che la metafisica della realtà storica attinge, pur senza esaurirlo perché bisognoso di ulteriori es­senziali esplicitazioni, il suo vertice speculativo, ponendolo in combinazione con la fondamentale sorgente energetica e operativa dell’intero sistema TD, la quale consiste appunto, oggettivamente, nella fede religiosa, o ideologica, o in tutt’e due.

Cominciamo dal vertice speculativo, che si concretizza i nel contenuto teologico della forma della realtà storica ren­dendola forma effettiva di essa, in quanto è forma cristiana o anticristiana, senza possibilità metafisica di una terza scelta. Diciamo senza possibilità metafisica, poiché, al di fuori del­l’impegno metafisico essenziale, sul semplice piano esistenziale tutti gli ibridi o i surrogati diventano possibili. Sta però il fatto che dovranno risolversi anch’essi in funzione della forma cristiana o anticristiana, venendo metafisicamente as­sorbiti dall’una o dall’altra.

La presenza tuttavia della forma a contenuto teologico cristiano o anticristiano, è la sola metafisicamente possibile perché è l’unica a rappresentare la suprema risoluzione ontica della realtà storica, sulla base della contrapposizione dialet­tica tra vero e falso, buono e cattivo, Divino e Antidivino. La metafisica della realtà storica infatti per assolvere il compito di interpretazione ontica risolutiva della realtà storica che le è proprio, deve arrivare a cogliere, e soprattutto ad accettare la presenza dell’Assoluto come forma quale effettivamente è, o arrivare ad equivocarla in modo definitivo, e dunque a rifiu­tarla e a surrogarla, avvenga per un equivoco in buona fede, o per partito preso.

In qual modo la metafisica della realtà storica giunga ef­fettivamente ad attingere il contenuto teologico od ateologico .- della forma di essa, dipenderà dal suo metodo, che, ripetia­mo, non sarà teologico, ma filosofico, con tutte le varianti determinate dalle diverse gnoseologie e sistemi metafisici.

Per la metafisica realistico-dinamica della realtà storica, il metodo come si è detto sarà positivo-razionale, nel senso che combina insieme l’esplorazione della realtà storica come

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dato di esperienza anche cristiana, e una speculazione meta­fisica integrale (statica e dinamica), la quale arriva, a un dato momento del suo sviluppo, alla sintesi metafisica essenziale tra realtà storica già interpretata come EDUC, e il contenuto teologico della sua forma. Più precisamente, arriva alla espli­citazione concreta e metafisicamente risolutiva di questa.

Evidentemente, in sede di metafisica della realtà storica, il dato di esperienza cristiana non abbisogna di venire stabi­lito nella sua configurazione e validità, a titolo proprio, rifa­cendo itinerari apologetici o storici già acquisiti. Anche qui deve operare il criterio della divisione del lavoro, che è valido anche per il lavoro scientifico. Quanto alle metafisiche dina­miche immanentiste della realtà storica, il loro metodo per attingere il rispettivo contenuto ateologico resta semplificato dal fatto che esso si risolve in una immediata trasposizione del loro pseudo-Assoluto dinamico, da una metafisica gene­rale al campo storico, come si verifica per esempio nel pas­saggio marxista dal materialismo dialettico al materialismo storico, e più universalmente nello storicismo idealista.

La questione tuttavia dell’acquisizione del contenuto teo­logico o ateologico della forma della realtà storica nelle ri­spettive metafisiche, non si riduce affatto alla questione del metodo. Essa implica, come già si è detto, una accettazione  per fede. E’ questo senza dubbio il punto più delicato (e in­sieme più decisivo) della metafisica della realtà storica, che ne consuma in radice la sintesi con la teologia (come scienza differenziata del salvifico), e con tutto il vivere ed agire umano.

La questione non riguarda soltanto il contenuto teologico cristiano, ma è comune al contenuto ateologico anticristiano, e si risolve nel fatto che l’uno e l’altro non si pongono come semplici acquisizioni dottrinali, ma come un vitale atto di fede. Bisogna cercare di penetrare questo fatto nel suo dupli­ce aspetto dottrinale e fideistico.

La chiave della soluzione sta nella ormai risaputa biva­lenza dell’Assoluto come forma dinamica religiosa, il cui valore è appunto ontico e salvifico nello stesso tempo. La sua valenza ontica lo pone come specifico e determinante ele­mento dottrinale. La sua valenza salvifica, lo pone come su­premo dogma religioso, o antireligioso.

 

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Ora, le due valenze, nella concretezza della forma dina­mica religiosa, non sono tra loro scindibili, per questa sem­plice ragione: l’Assoluto, come forma dinamica della realtà storica, in tanto ne è forma ontica, in quanto ne è forma salvifica; e in tanto ne è forma salvifica, in quanto ne è forma ontica. In altre parole l’Assoluto come forma non può assumersi il ruolo ontico-dinamico costruttivo della realtà storica, se non si presenta ad un tempo come salvatore di essa. Ma, viceversa, non sarà neppure in grado di salvarla, se non la costruirà modellandola onticamente e dinamica­mente su se stesso[16].

Ne segue che la metafisica della realtà storica non potrà riconoscere un Assoluto come forma ontica di essa, senza riconoscerlo e accettarlo ad un tempo come forma salvifica. E lo riconoscerà appunto come forma ontica, immettendolo speculativamente come contenuto entro di essa e nelle cate­gorie che ne derivano; viceversa, lo riconoscerà come forma salvifica, accettandolo come salvezza della realtà storica stes­sa,  per fede.

Ed invero, se non si accompagnasse questa accettazione per fede, l’accettazione dell’Assoluto come sola forma ontica rimarrebbe puramente fittizia, riducendo la metafisica della realtà storica ad un inutile gioco cerebrale. In tale ipotesi infatti, la metafisica della realtà storica cesserebbe di essere la suprema interpretazione di una realtà storica dinamica che si costruisce, per tradursi nell’interpretazione di una realtà storica dinamica che non si costruisce e che dunque dinamicamente non esiste, perché appunto non verrebbe accettato l’Assoluto che la salva costruendola onticamente in funzione di se stesso come forma dinamica.

 

La conclusione che ne deriva per la metafisica della real­tà storica, è questa: la forma dinamica ontica della realtà storica è condizionata da una fede salvifica. E questa fede a

 

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sua volta si condiziona all’Assoluto come forma dinamica on­tica della realtà storica. E’ quanto dire, che la forma dina­mica metafisica della realtà storica non sarà né speculativamente, né onticamente operante, se non come forma dinamica religiosa concreta, a contenuto teologico (o ateologico) scelto ed accettato per fede, come suprema salvezza di essa.

 

Si potrebbe tuttavia obiettare: se questo vale per la forma dinamica religiosa della realtà storica, non è detto che valga per la metafisica della realtà storica. Ed infatti: perché condizionare quest’ultima all’atto di fede, pure ammesso che si ponga come necessario per l’accettazione e l’efficienza ope­rativa della forma dinamica religiosa?..

 

La risposta virtualmente è già stata data, e consiste nel fatto che la forma dinamica religiosa nella sica specificazione teologica o ateologica diventa oggetto della metafisica della realtà storica solo come forma creduta (= accettata vital­mente per fede), per la semplice ragione che una forma dinamica religiosa non creduta non è affatto forma della realtà storica, e dunque non può essere l’autentico oggetto della metafisica della realtà storica!… [17]

 

Torna però il problema: forma creduta da chi?… Rispon­diamo: da chi deve agire, e dunque, dinamicamente, dal ri­spettivo E come superagente e dalle persone che ne sono effettivamente parte, nonché dal metafisico della realtà sto­rica, in quanto ne sarà effettivamente il metafisico, se ne professa la specifica forma dinamica religiosa teologica o ateo­logica, che altrimenti non sarebbe che uno «storico» della metafisica della realtà storica…

 

Si chiederà la ragione di questo fatto a prima vista così singolare e abnorme. La ragione va ricercata nella stessa dialettica dell’ente dinamico come essenzialmente sintetico e concreto. Questa sua sinteticità e concretezza si impone tal­mente, fino a condurre alla sintesi ontica dinamica radicale tra umano e divino, e dunque tra scienza e fede, tra meta­fisico e credente; e ad imporla, pena l’impossibilità della stes-

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sa metafisica della realtà storica. E’ una conclusione – sia pure appena delineata – che fa meditare, per le responsabi­lità che accolla al metafisico dinamico della realtà storica dinamica, tanto in sede di metafisica della realtà storica quanto in sede di teologia. Tali responsabilità si possono rias­sumere nel fatto che il metafisico dinamico della realtà sto­rica assume il ruolo di «ideologo». E il teologo, da puro ac­cademico dovrebbe tradursi in autentico apostolo e pastore o in un mistico, quale fu il caso di un San Tommaso o un Sant’Agostino.

 

4 – Tramonto del sacro e rinascita del religioso

 

E’ diventato un luogo comune il ripetere che si è assistito e si assiste nel mondo moderno e contemporaneo ad un tra­monto del sacro, in favore di un naturalismo e materialismo che al sacro si rivelano sempre più estranei. La questione è troppo complessa per ammettere dei pronunciamenti indiffe­renziati, validi in ogni settore e sotto ogni rispetto. Prescin­diamo dall’aspetto puramente esistenziale e sociologico della questione, o anche pastorale, e fermiamoci sul suo aspetto metafisico. La questione del tramonto del sacro importa pure tale aspetto, in rapporto con la metafisica della realtà storica, e più specificatamente con la forma di essa e il sistema TD, di cui stiamo sempre trattando.

Orbene, nei confronti dell’aspetto metafisico della que­stione, dobbiamo dire che, in un mondo dinamico il tramonto del sacro non si opera che alla condizione di una rinascita del religioso. Si tratta – è vero – di un religioso che troppo spesso si risolve nell’antireligioso. Ma sta di fatto che meta­fisicamente, in un mondo dinamico, il tramonto del sacro non può risolversi in una posizione religiosamente neutra, né in un umanesimo governato semplicemente da un naturalismo fisiopsichico o sociologico e tecnocratico, e neppure etico-personalistico.

E’ un’asserzione che è valida metafisicamente, e dunque in rapporto al piano essenziale della realtà storica, poiché, in rapporto agli altri suoi piani (esistenziale, fenomenico, ed operativo) sganciati dal piano essenziale, ogni combinazione pratica o illusione teoretica diventa possibile. Ma ciò che in

 

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un mondo dinamico soprattutto importa è la sua chiave meta­fisica, che culmina nella forma dinamica della realtà storica e nel sistema TD dominato dal TD sintetico a contenuto reli­gioso-teologico (o antireligioso-ateologico).

Ora, appunto, dinamicamente il tramonto del sacro non si opera che in combinazione con una correlativa rinascita del religioso, anche se disgraziatamente questo si specifica troppo spesso nell’antireligioso. E’ una legge metafisica della realtà storica dinamica di un peso enorme e tremendo, anche per l’apostolato e la pastorale, e per la stessa religione, com­presa la sua funzione salvifica e il suo aspetto sacrale.

Oggi infatti, qualsiasi revivalismo religioso e sacrale non è più sostenibile da una tradizione, e tanto meno da una semplice tensione psicologica ed emotiva, spesso superficiale e sempre passeggera. Ma esso, a prescindere dalle leggi della grazia, sul piano delle leggi umane deve risultare un corol­lario di una energica e profonda rinascita del religioso a valore ontico e salvifico, immesso nell’essenza della realtà storica e scattante da essa come forma, e come anima del sistema dei TD. Cerchiamo pertanto di penetrare maggior­mente la legge enunciata, pur mantenendoci sempre e sol­tanto, com’è nostro impegno, al suo livello metafisico.

Come già abbiamo avuto modo di rilevare, il sistema sacrale è stato la piattaforma delle vecchie società pagane. e anche della società cristiana, fino alla sua lenta demoli­zione da parte di un umanesimo naturalista, e alla sua sosti­tuzione, a volte rapida e violenta, da parte del sistema TD. Quest’ultimo è sopravvenuto e si è imposto col passaggio dal mondo statico al mondo dinamico, dominato a sua volta da una postulazione religiosa (o antireligiosa) radicale e concretamente teologica (o ateologica), che rappresenta un feno­meno caratteristico ed esclusivo del mondo dinamico stesso, per la ragione che segue.

Ci riferiamo alla realtà storica. In un mondo statico, il sistema sacrale poneva in moto la suprema sanzione di essa, sia in quanto alla vita individuale che collettiva. Sempre in riferimento alla realtà storica, la funzione del sistema sacrale era etica (morale e giuridica). E poteva essere una funzione esauriente in riferimento a una realtà storica statica. L’illu­sione personalistica di tutti i tempi è sempre stata quella di

 

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poter sganciare l’efficienza etica e giuridica dal religioso e dal sacro, logorando già prima del tempo il sistema sacrale.

Ed è sopravvenuto il passaggio dal mondo statico al di­namico, con l’esigenza metafisica di quest’ultimo di venire costruito onticamente in funzione di un Assoluto. L’essenziale ruolo metafisico, ontico e salvifico, dell’Assoluto in rapporto alla realtà storica dinamica, ormai lo conosciamo. Esso era e continua ad essere assai diverso dalla funzione etica del sistema sacrale, non perché le sia estraneo, ma perché la trascende. L’Assoluto infatti, come forma dinamica religiosa essenziale della realtà storica, è superiore alla semplice nor­ma etica, convalidandola come norma di comportamento e potenziandola col tradurla in norma costruttiva, se si tratta dell’Assoluto vero che in concreto è il Divino cristiano; o rifiutandola, se si tratta dell’Assoluto falso.

In tal modo, la fondazione della realtà storica passa dal sistema sacrale a un sistema ontico-religioso dominato da un Assoluto come forma religiosa dinamica a specifico contenuto teologico (o ateologico), poiché ad esso si chiede la concreta costruzione essenziale ontica e salvifica della realtà storica, in seguito ad un suo accertamento che non è più una pura statuizione metafisica, ma una vera e propria opzione reli­giosa e una fondamentale scelta di fede.

Come dunque abbiamo asserito, in un mondo dinamico non si verifica il tramonto del sacro che a condizione della rinascita del religioso. La ragione è evidente: un mondo dinamico, la realtà storica dinamica, debbono essere costruiti, perché appunto si tratta di realtà dinamica da costruirsi atti­visticamente nello spazio e nel tempo. Ma tale realtà dina­mica non può costruirsi che in funzione di un Assoluto, perché solo l’Assoluto può diventarne la chiave costruttiva ontica e salvifica, dominandola totalmente dal di sopra e dal di dentro e offrendole ad un tempo una speranza e una garanzia di consistenza ontica e di salvezza.

Per quanto quindi la cosa possa sembrare strana, dob­biamo concludere che l’epoca sacrale è tramontata dando l’avvio ad un’epoca religiosa che pone l’umanità di fronte all’Assoluto senza possibilità di evasione, sì che mai quanto oggi Dio e la religione siano stati tanto impegnativi. Ed inve­ro, se una cultura illuminista o un utopistico mondo etico-

 

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personalista hanno potuto illudersi di poter restare davanti a Dio e alla religione dei puri spettatori, il concreto mondo dinamico di oggi e tanto più di domani deve scegliere. In un mondo dinamico, Dio e la religione non si contemplano: o si accettano, o si rifiutano.

E non sarà semplicemente una accettazione o un rifiuto sacrale, ma una accettazione o un rifiuto a valore teologico-religioso, ontico e salvifico. E’ la grande scelta teologica, scel­ta metafisica e di fede ad un tempo, che il mondo dinamico è costretto a fare al di là delle ibride fenomenologie esisten­ziali, e delle pacificanti quanto illusorie «buone novelle» puramente umanistiche ed etiche. Ed é una scelta che si risolve fatalmente in scelta cristiana o anticristiana.

 

Questo il dato di fatto. Si tratta ora di coglierne il signi­ficato metafisico in modo definitivo e inequivoco.

 

 

5 – Valore metafisico della scelta teologica

 

Se vogliamo riassumerne il significato in breve frase, esso è quello di una scelta teologica a valore metafisico, e dunque di una acquisizione metafisica vera e propria. Già si è detto della sua giustificazione metodologica ed epistemo­logica. Ora si tratta della sua giustificazione logica e dialet­tica.

Perché mai il metafisico della realtà storica non può fer­marsi all’Assoluto come forma della realtà storica, posto che l’appello ad esso come forma o come movente costruttivo della realtà storica sia metafisicamente inevitabile?… Perché deve passare alla sua specificazione teologica?… Perché que­sto passo dovrebbe venir fatto dal metafisico cristiano, men­tre non sarebbe necessario per il metafisico non cristiano?…

Queste domande ripongono lo specifico problema «teo­logico» della metafisica della realtà storica, non più come problema di metodo, ma come problema di essenza.

Ora, l’essenza metafisica della realtà storica potrebbe mai essere specificata da una scelta teologica, che ne limita la portata universale in palese contraddizione con la meta­fisica stessa, che è per eccellenza filosofia dell’essere in universale e dunque anche dell’essenza in universale della

 

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realtà storica, e non già ridotta al particolare di una sua specificazione teologica?…

Ci troviamo di fronte ad una logica apparentemente inec­cepibile. Ed è precisamente la logica del «metafisico cristia­no» (e non soltanto del metafisico, ma anche del sociologo, del pedagogista, ecc.) il quale vorrebbe esaurirsi in una es­senza teologicamente neutra, appunto perché resti metafisi­camente valida per tutti. Né d’altra parte questa sua limita­zione sarebbe appoggiata soltanto da tale criterio che potremmo chiamare di «disponibilità economica» (per non dire di compiacenza irenica o peggio ancora di rinunciatario conformismo culturale). Ma verrebbe né più né meno imposto dalla natura stessa della metafisica, la quale rimarrebbe au­tenticamente metafisica senza diventare teologia, alla sola condizione di fermarsi ad un’essenza universalmente valida, a cominciare dall’essenza della realtà storica per passare poi alle essenze da essa derivate.

La difficoltà si aggrava per il fatto che la specificazione teologica dell’essenza in questione verrebbe in definitiva im­posta da una scelta di fede, e cioè da un fattore squisitamente extrametafisico, per non dire puramente volontaristico e irrazionalistico.

Posta in questi termini complessi, la questione non ci sfugge in alcuno dei suoi aspetti, e se viene da noi risolta in senso positivo a favore della specificazione teologica die­tro una scelta di fede, è perché essa risulta la sola metafisi­camente valida, e quindi anche l’unica metafisicamente ra­zionale. Cercheremo di rilevarlo in due momenti, in quanto la specificazione teologica in questione ha precisamente un imprescindibile valore metafisico specificativo dell’essenza, e contemporaneamente alla sua razionalità logicamente co­stringente, dev’essere pure accettata per fede.

Per quanto riguarda la giustificazione della specifica­zione teologica in se stessa, non abbiamo che da riappellarci alla dialettica realistico-dinamica, ossia alla logica oggettiva interna della stessa categoria ontica dell’ente dinamico, or­mai già esplicitata e consolidata nell’EDUC.

Appunto perché si tratta della dialettica dell’EDUC ossia dell’ente dinamico, essa stessa sarà una dialettica rovesciata rispetto a quella dell’ente statico, sì che tutto si riduce a

 

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vedere se la realtà storica debba metafisicamente venire in­terpretata in funzione della categoria ontologica dell’ente statico, o dell’ente dinamico; e se quest’ultima importi ancora la distinzione tra essenza in universale priva di specifica­zione teologica, e perciò di competenza della rispettiva meta­fisica, e la peculiarissima essenza specificata teologicamente, che come tale sarebbe di competenza della sola teologia.

Ci pare che l’intera metafisica che siam venuti svilup­pando, a cominciare dall’ontologia dell’ente dinamico, stia per l’interpretazione metafisica dell’essenza della realtà sto­rica in funzione della categoria ontologica dell’ente dinamico, non solo in seno alla metafisica che si viene svolgendo, ma nel senso dell’unica possibile metafisica della realtà storica stessa. Per altra via (se vogliamo prescindere dalle metafi­siche dinamiche immanentiste), posto che ancora ci si inte­ressi del vecchio problema dell’essenza, è lecito sfidare chiun­que a penetrare l’autentica essenza realistica della realtà storica, sia pure limitatamente al solo suo significato filoso­fico, e non teologico.

Se dunque l’unica metafisica realistica possibile della realtà storica è quella realistico-dinamica, l’essenza della realtà storica stessa andrà ovviamente perseguita in funzione della dialettica realistico-dinamica, che non è più quella del­l’essenza in universale priva di specificazione teologica, ma quella dell’essenza unica, e dunque a necessaria specificazione teologica.

Che così sia effettivamente, è superfluo insistervi, dopo quanto fin dall’inizio si è detto della universalità della realtà storica come totalità, e dopo esser giunti a coglierne l’essenza radicale come EDUC, ossia come unico ente dinamico universale e concreto, come sintesi dinamica reale essenziale del­l’umano nel Divino, e cioè nell’Assoluto come forma dinamica religiosa.

Come sarebbe ancora possibile immaginare per la realtà storica una pluralità di essenze reali alla stregua della plu­ralità dell’essenza reale degli individui nella stessa specie (che pertanto appare concettualmente universalizzabile), co­me avviene precisamente nell’ente appartenente alla natura rerum in conformità alla dialettica dell’ente di primo grado ossia dell’ente statico?… E’ evidente che si tratterebbe anche

 

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qui di una falsa proiezione analogica della metafisica statica in campo dinamico, in ossequio a quel naturalismo metafisico che trova così la strada aperta fino alle estreme applicazioni in sede di scienza pedagogica e sociologica od affini, per pre­scindere dalle sue applicazioni in teologia.

Generi e specie, e conseguentemente la pluralità degli individui a valore metafisico, non esistono né possono esi­stere nella realtà storica come EDUC. Al più, com’è già stato detto altra volta, hanno semplice valore fenomenico, come generalizzazioni logiche del fenomeno stesso. Ma lo stesso fenomeno che si moltiplica come individuo di una stessa spe­cie, non corrisponde all’individuo portatore della intera es­senza di essa, come avviene sempre e necessariamente per l’individuo nella specie in natura rerum. Un’essenza pertanto mutuata dall’individuo o dalla specie «storica», non sarebbe che un’essenza fenomenica, mutilatrice dell’essenza metafisica della realtà storica stessa nella sua totalità e nelle sue rispettive parti, quando non addirittura una paradossale elu­sione di essa.

Se dunque in una realistica metafisica della realtà storica non c’è posto per l’essenza metafisica universale nel senso del genere e della specie, ciò significa che in essa non c’è posto se non per l’essenza reale una ed unica, universale appunto come tale, universale cioè nel senso di essenza totale e concreta, che per esser tale davvero deve importare la totalità e la concretezza dell’Assoluto come sua forma, e dunque la specificazione metafisica teologica di esso. In una parola, per l’indole stessa dell’essenza della realtà storica, la sua for­ma non potrà essere che metafisicamente teologica.

L’Assoluto come forma dinamica religiosa totale e con­creta. infatti, non può essere che l’Assoluto come forma me­tafisica effettiva della realtà storica, nel senso che diversa­mente, come semplice forma ipotetica, non sarebbe né forma metafisica di essa, né forma fenomenica. Ma soltanto una cerebrale astrazione del filosofo.

 

6 – La scelta teologica come accettazione di fede

 

La specificazione teologica a valore metafisico dell’es­senza della realtà storica, però, per il fatto stesso che appella ad un Assoluto come forma dinamica religiosa completa e

 

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concreta effettivamente operante, si risolve necessariamente in una scelta ed accettazione per fede. Una tale forma, infatti, non può mettersi in moto se non con una scelta ed accetta­zione per fede. Non si traduce in un effettivo sistema TD, a valore ontico-praxiologico, se non incorporando l’Assoluto teologico (o ateologico).

Ed allora, ecco il secondo aspetto del problema di detta specificazione teologica della forma. Pur concessa la sua me­tafisicità anche come specificazione teologica, resta da vedere se essa competa pure alla scelta ed accettazione per fede, o se addirittura non ne venga radicalmente infirmata.

Cominciamo col dire che la specificazione teologica (o ateologica) e la sua scelta ed accettazione per fede, in riferi­mento all’essenza metafisica della realtà storica e allo studio metafisico di essa, sono inscindibili. Onde, in proposito, o tutto, o nulla, avrà valore metafisico. O tutto, o nulla, sarà razionale.

Per risolvere la questione torna in soccorso la dialettica realistico-dinamica, in posizione di dialettica rovesciata anche rispetto a questo aspetto del problema. La dialettica realisti­co-dinamica è quella emanante dall’essenza della realtà sto­rica, che si pone come realtà metafisica e teologica ad un tempo proprio per la sua specificazione nell’Assoluto come forma accettata per fede.

Dimodoché, o anche questa sua accettazione per fede avrà valore razionale e metafisico, o neppure ce l’avrà l’Assoluto come forma, pena il cadere in una contraddizione in termini. E’ invero contraddittorio affermare l’Assoluto come forma metafisica a specificazione teologica, e negarne la metafisicità nella sua accettazione per fede, poiché è forma teologico-me­tafisica solo in quanto accettato per fede. Anziché infirmare la metafisicità dell’Assoluto come forma, la sua accettazione per fede diventa l’unica giustificazione razionale di essa. Ne segue che la forma teologica della realtà storica in tanto as­sume significato metafisico e razionale, in quanto viene accettata per fede, e per di più fede autenticamente religiosa (anche se purtroppo può porsi a servizio di un Assoluto come forma antireligiosa), in quel senso pregnante di «religioso», che a suo tempo abbiamo cercato di chiarire.

Interviene qui una necessaria distinzione tra fede pro­-

 

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priamente religiosa, e la fede che si potrebbe chiamare sem­plicemente metodologica, la quale distinzione però si pone soltanto per il cristiano, in rapporto allo studio della Rivela­zione soprannaturale, mentre è del tutto superflua per chi nega tale Rivelazione. Metodologicamente, il cristiano teologo  indaga la verità del contenuto della Rivelazione arguendo ex auctoritate Dei revelantis, e cioè per via di fede metodologica, che pone appunto in atto il metodo teologico come tale. Tale fede potrebbe anche disgiungersi dalla fede propriamente religiosa, che non consiste in un atteggiamento metodologico, – bensì nell’accettazione vitale dell’Assoluto come forma dina­mica ontica e salvifica di sè e dell’intera realtà storica.

La fede religiosa in tal modo, lungi dal non esserne una componente metafisica e razionale, diventa la sorgente della razionalità e metafisicità della forma stessa della realtà storica e della stessa realtà storica, per il fatto che senza la sua accettazione per fede, la forma non si pone né come forma metafisica teologica della realtà storica, né come sua forma puramente filosofica.

La ragione di quanto detto sta nella dinamicità della forma religiosa in questione, la quale dinamicità, imponendole la propria dialettica sintetica e concreta, la costringe ad es­ser tale, e cioè forma dinamica sintetica e concreta (nel senso attivo di forma concretamente e dunque totalmente sintetiz­zante) radicalmente, e cioè a partire dalla sua stessa radice. Se infatti la forma dinamica religiosa della realtà storica non fosse sintetica e concreta in radice, non potrebbe esserlo mai, negandosi in tal modo come forma.

Ora, la sua sinteticità e concretezza radicale vien posta precisamente dalla fede religiosa e unicamente da essa. La fede religiosa infatti, appunto perché accettazione dell’Asso­luto come forma dinamica religiosa a valore ontico e salvi­fico, rappresenta la sintesi radicale e originaria dell’umano nel Divino, che rende quest’ultimo effettivamente forma, e innanzitutto forma dinamica ontica, quale è appunto l’Asso­luto come forma dinamica religiosa in rapporto all’essenza della realtà storica. Tanto che, quanto teologicamente si dice a proposito della fede religiosa (= fede teologale) in funzione salvifica, prospettata appunto come principium, fundamentum et radix totius iustificationis; va ripetuto per la fede reli-­

 

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giosa nella sua funzione ontica che si esprime precisamente nella e attraverso la forma dinamica religiosa della realtà storica, della quale forma risulta così componente reale essenziale e decisiva.

La conseguenza che ne deriva appare evidente: la fede in qualche modo viene a identificarsi con la stessa forma dinamica religiosa della realtà storica, in quanto, come radi­cale e originaria sintesi dell’umano nel Divino, ne è princi­pio, fondamento e radice ontica; in quanto ne è l’elemento costitutivo che ne fa scattare il potere concretamente sinte­tizzatore, ponendola precisamente come forma; in quanto, ponendola come forma, la pone nella sua specifica realtà ontica, come sorgente del suo essere effettivo di forma, e dunque della sua metafisicità e razionalità. Tutto ciò diventa possibile, in quanto la fede viene inclusa nell’essenza dina­mica religiosa della realtà storica.

Lungi dal negare la razionalità e metafisicità dell’accet­tazione per fede della forma metafisica teologica della realtà storica, dobbiamo ammettere tale razionalità e metafisicità, proprio in merito alla accettazione per fede e in merito alla metafisicità e razionalità della fede stessa, come fede reli­giosa nella sua funzione ontica. Più esattamente: come fede e forma religiosa nella sua funzione ontica, nel senso che l’Assoluto come forma è il contenuto della fede, e la fede è l’assunzione di tale contenuto, il quale, se non viene assunto, non diventa forma.

Il reale è sempre razionale, di una sua intrinseca razio­nalità che non sempre coincide col vero, perché purtroppo esiste anche una realtà e una razionalità del male, a partire dalla realtà e razionalità del falso Assoluto come forma dinamica della realtà storica. E che la razionalità di esso sia messa in moto dai figli delle tenebre più e meglio che non la razionalità della realtà vera da parte dei figli della luce, è un fatto che sta a riprova della razionalità (e della sfrut­tabilità) di qualsiasi reale, anche falso. Se poi (come nel caso dell’Assoluto come forma), la forma si pone come reale solo se assunta per fede, nell’ipotesi che così non venga assun­ta, manca addirittura il « reale» che dà luogo al «razionale»… I figli delle tenebre « credono» al loro Assoluto come forma dinamica «ateologica» della realtà storica. Forse i cristiani

 

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non se ne pongono ancora neppure il problema. E’ quanto dire che per loro la forma dinamica «teologica» della realtà storica ancora non esiste. Manca lo specifico «reale» meta­fisico che può dar luogo al «razionale». Pongano il loro rispettivo «atto di fede», e la questione, anche per essi, si risolve automaticamente.

In ogni caso, l’elemento ontico radicale originario della metafisicità e razionalità anche dal falso Assoluto come for­ma, sarà proprio la fede: fede religiosa («teologale», o «ateologale»), con la metafisicità insita alla sua funzione ontica, e la razionalità che ne deriva.

E’ quanto dire, che la stessa metafisica sarà radicalmente , teologica, non già per una ibrida o incongrua incidenza della

fede dentro di essa, ma per la imprescindibile e radicale metafisicità della fede stessa, che fa parte della «razionalità» della stessa forma dinamica religiosa della realtà storica[18].

 

 

7 – Indole radicalmente teologica della metafisica.

Per quanto è stato detto sopra, forma dinamica religiosa

significa forma metafisica a specificazione teologica, accettata per fede. Il che non solo non esorbiterà dal suo significato metafisico razionale, ma sarà la conditio sine qua non della sua stessa razionalità e metafisicità di forma dinamica reli­giosa della realtà storica.

Senza una sua immanente accettazione per fede, infatti, la forma dinamica religiosa come tale si ridurrebbe ad un flatus vocis, e con essa crollerebbe la stessa essenziale meta­fisicità e razionalità ontica della realtà storica.

Una tale prospettiva è forse troppo lontana da quella emanante dalla dialettica dell’ente statico, che ci ha abituati a prescindere dalla fede non soltanto filosofando, ma persino teologizzando (in quanto la fede «metodologica» della teo­logia è ben lungi dall’essere fede religiosa-telogale!…), nella convinzione che quella fosse la vera via della ragione e della

 

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metafisica: mentre la via vera per l’una e per l’altra era forse quella contraria. E ciò, già all’inizio del filosofare, in quanto si tratti di quel filosofare sommo che corrisponde precisamente alla metafisica come l’aristotelica «filosofia prima», il cui autentico punto iniziale, non ancora pregiu­dicato da inibizioni critiche o sviamenti di sistemi, vien posto dalla immediata e spontanea percezione dell’essere.

Dell’essere diciamo, e non dell’ente. Poiché, se vogliamo rilevare una distinzione fra i due termini abitualmente sino­nimi e spesso usati promiscuamente, dovremo dire che pur connotando la stessa cosa, l’ente la connota in rapporto alla sua essenza, mentre l’essere la connota in rapporto alla sua esistenza.

Parliamo dunque della immediata e spontanea perce­zione dell’essere, come dato primordiale dell’esperienza vi­tale, antecedente alla stessa riflessione discorsiva o per lo meno ad essa concomitante, in modo operante e cosciente o meno, secondo che venga accolta ed illuminata, o venga accantonata e repressa.

Appunto perché parliamo della immediata e spontanea percezione dell’essere come dato primordiale di esperienza vitale ci riferiamo all’essere che cade sotto di essa, e dun­que all’essere contingente, creato, poiché l’Ente necessario rimane al di fuori della nostra percezione immediata e spontanea, come dato di esperienza diretta.

 

Ora, poiché appunto si tratta della percezione sponta­nea e immediata dell’essere esistente che cade sotto il dato di esperienza ossia dell’essere contingente, tale percezione  non può porsi che come percezione dell’essere così com’è: contingente, e dunque privo di ragion sufficiente in se stesso, e perché tale in relazione con l’Ente necessario che ne è la ragion sufficiente, la quale relazione lo fa necessariamente percepire come essere creaturale in funzione di un necessario Essere creatore.

E’ il punto di partenza primordiale della metafisica come autentica metafisica realistica dell’essere, perché scatta dal­l’essere creaturale, fondante e fondato ad un tempo: fon­dante in termini assoluti la metafisica, perché questa va fon­data sull’Assoluto. l’Essere creatore, Dio.

Ma ecco il punto cruciale. Si tratta di una primordiale l99

 

e spontanea percezione metafisica, di carattere sintetico, con­creto, essenzialmente vitale e dinamica. Come ricuperarla in sede di metafisica riflessa senza vanificarla, ciò che verrebbe a vulnerare irrimediabilmente la metafisica stessa?…

La riflessione, al di fuori di una dialettica realistico-di­namica, è analisi e astrattezza. L’analisi è demolizione; e l’astrattezza rischia di diventare imbalsamazione di un cadavere. E’ la tragedia della metafisica, che si instaura al suo stesso momento di nascita.

Essere «creaturale», o essere «contingente» metafisi­camente autonomo?… Metafisica dell’essere contingente ma alla luce dell’Essere creatore che la fonda, o metafisica priva di autentico fondamento ontico?…

La risposta spetta di nuovo alla scelta ed accettazione per fede, non già della primordiale percezione metafisica come dato immediato di esperienza vitale che s’impone da sè, ma della relazione creaturale, connaturale all’essere con­tingente percepito come tale; e dunque, accettazione per fede, anche dell’esistenza dell’Ente creatore che lo fonda e lo giustifica.

La prova metafisica realistica dell’esistenza di Dio è tutta in questa percezione metafisica spontanea e immediata dell’essere creaturale. La sua accettazione condiziona neces­sariamente l’accettazione (e dunque la validità soggettiva) delle prove dell’esistenza di Dio in sede di metafisica riflessa. Senza la previa accettazione della prova immanente alla primordiale, spontanea e immediata percezione dell’essere creaturale come tale, risulta psicologicamente utopistico pretendere la validità delle prove dell’esistenza di Dio in sede di metafisica riflessa, poiché la naturale sede psicolo­gica della sua accettazione non è in tale sede, ma in sede della suddetta percezione immediata, o almeno in combina­zione con essa.

La ragione è la seguente. L’accettazione dell’esistenza di  Dio non può risolversi nell’accettazione della conclusione di

un sillogismo, per il fatto che porta con sè immanente la accettazione o il rifiuto dell’Assoluto col suo insopprimibile valore ontico e salvifico. Ne segue che l’esistenza di esso non è psicologicamente accettabile come pura conclusione di un raziocinio, e cioè come un dato analitico ed astratto, estro-

 

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messo dalla sintetica e concreta (nonché dinamica) tessitura dell’essere e dell’esistenza umana.

Questa infatti costringe l’uomo ad accettare, o a rifiu­tare l’Assoluto nella sua inscindibile duplice funzione ontica e salvifica di Assoluto, che è di natura squisitamente reli­giosa e dunque oggetto di fede ed accettabile solo per fede. Questa non distrugge la conclusione sillogistica, ma la rende soltanto psicologicamente valida. Ed invero, non è la conclusione sillogistica in sede di metafisica riflessa che fonda questo atto di fede, ma è questo primordiale atto di fede che fonda vitalmente detta conclusione sillogistica.

E fonda ad un tempo l’intera metafisica, poiché non si tratta qui di «fede teologica salvifica», ma di «fede teolo­gica metafisica», nel senso che vien posta non già fideisticamente sulla base di una Rivelazione salvifica, ma sulla base ­della primordiale percezione metafisica, la quale scatta dal dato spontaneo e più immediato dell’esperienza vitale, non ancora demolito o soffocato da una metafisica o da una cultura riflessa.

La conclusione che ne deriva risulta ineccepibile e in qualche modo apodittica. Proprio per il fatto che la metafi­sica deve necessariamente partire da questa primordiale accettazione per fede dell’Assoluto nella sua funzione ontica e salvifica, la metafisica (e con essa la filosofia) non potrà non essere che radicalmente «teologica», o «ateologica». Le sue incertezze, i suoi drammi, la sua intima tragedia ne sono la riprova. Tutto è già presente, in germe, al suo punto di partenza.

Metafisica «teologica», o «ateologica»?… Per darsene conto, non è necessario consumare il suo punto d’arrivo. E’ sufficiente guardarla a partire. E’ sufficiente constatare come la primordiale percezione dell’essere creaturale venga rias­sunta, o rifiutata, «per fede metafisica», al suoi inizi. E’ appunto questa iniziale fede metafisica, che, lungi dall’inficiarne la razionalità e il valore critico, garantisce l’una e l’altro, poiché ambedue traggono la loro autentica garanzia da una piena e totale immersione nell’essere e nelle leggi dell’essere.

Ciò che è solo possibile con la accettazione per fede

 

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della primordiale percezione metafisica dell’essere creatu­rale, che viene imposta da una immediata esperienza vitale. Tale fede, invero, come immersione totale nell’essere e nelle leggi dell’essere è quanto di più razionale e metafisico si possa pensare, poiché la metafisica è e dev’essere quella immersione totale nell’essere e nelle sue leggi, che, ontica­mente, la rende radicalmente e necessariamente teologica.

 

8 – Metafisica teologica o ateologica; cristiana o anticristiana

Non possiamo qui inoltrarci né in una metafisica della religione né entro le vicende della metafisica come tale. L’importante per noi è solo rilevare che questa non può essere che onticamente teologica o ateologica, fino alla sua risoluzione ontica, in sede di metafisica della realtà storica, in metafisica cristiana o anticristiana.

 

Di qui, per la metafisica, l’incidenza del suo primordiale punto di partenza, posto inevitabilmente da una scelta teo­logica (o ateologica) di fede, a valore ontico e metafisico essa stessa, e non dunque a semplice valore salvifico.

 

Questa iniziale scelta ed accettazione per fede a valore ontico-metafisico si pone, come già sappiamo, in sede di  esperienza vitale immediata con la percezione dell’essere creaturale. e non ancora in sede di un filosofare riflesso.

 

Quale pertanto il rapporto tra i due momenti?.. Come il primo momento si può inverare nel secondo…?

 

Il primo momento (quello della suddetta accettazione per fede è il momento della dinamicità sintetica e concreta. E poiché, come risulta dalla dialettica realistico-dinamica, la dinamicità sintetica e concreta diventa in definitiva privi­legio della forma dinamica religiosa, il primo momento sarà quello della dinamicità sintetica e concreta in virtù di detta forma dinamica religiosa.

 

Il secondo momento invece, ossia il momento del filoso­fare riflesso, al di fuori della dialettica della forma dina­mica religiosa che in sede di metafisica riflessa opera sol­tanto per la realtà storica, diventa il momento dell’analisi ed astrazione, e più precisamente della staticità analitica ed astratta.

 

 

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Ne segue che il momento filosofico riflesso posto in questi termini si rivela del tutto inadatto ad accogliere il primo momento ossia il momento metafisico primordiale della per­cezione immediata dell’essere creaturale con l’accettazione per fede dell’Assoluto, la cui esistenza vi si trova implicita. E tanto meno si troverà idoneo ad accogliere la sintesi dina­mica religiosa a valore ontico e salvifico, che scatta ineso­rabilmente da detta accettazione per fede, ma che, proprio per tale ragione, rischia facilmente di abortire.

 

In effetti, il momento primordiale della fede è il momento della dinamicità sintetica e concreta sul piano vitale. Il momento filosofico riflesso invece, se si pone come il momento della staticità analitica ed astratta, lo distrugge. Nella migliore ipotesi la fede cede al raziocinio, seppure il raziocinio non diventa ateo esso stesso.

 

Che dire pertanto del destino della metafisica vista in tale inevitabile prospettiva?… Per rispondere a questa do­manda conviene confrontare la metafisica stessa presa nel suo insieme, con la metafisica della realtà storica come tale, poiché è precisamente da questa che si commisura la «teolo­gicità» od «ateologicità» di essa, e conseguentemente della sua capacità di riassunzione e di immanentizzazione opera­tiva dentro di sè, del dato metafisico primordiale, che è eminentemente c teologico».

 

La filosofia, e con essa la metafisica che ne è il cuore, è per l’uomo. E’ anzi filosofia dell’uomo in funzione della totalità dell’essere, confrontato con l’Assoluto. E la deter­minante di questo confronto ha modo di esplicitarsi precisa­mente nella metafisica della realtà storica. Ontologicamente, anzi, si esplicita come metafisica della realtà storica, o, se vogliamo essere più precisi, come metafisica ontica della realtà religiosa, nella metafisica della realtà storica.

 

La realtà storica infatti, sotto il profilo della sua essenza ontica e non di una sua fenomenologia, è la connaturale ­sede dell’accoglimento e della costruzione del Divino come forma dinamica religiosa, e dell’umano come materia di essa, fino alla loro sintesi ontica che pone l’essenza della realtà storica stessa. Nella sua essenza ontica infatti, la reli­gione è la forma dinamica religiosa che incarna in sè l’Asso­luto appunto come forma; e la realtà storica è l’EDUC

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= attuato da detta forma, colta innanzitutto nella sua funzione ontica.

Ecco la ragione per cui la metafisica consuma la sua «teologicità» o «ateologicità» nella metafisica della realtà storica, rivelandosi per quel che è e per quel che vale, e scoprendo in modo inequivoco le sue carte, rispetto al dato metafisico primordiale, essenzialmente teologico.

Metafisica della realtà storica onticamente «teologica», o onticamente « ateologica »?… Il destino della metafisica, e ‘ con essa l’essenzialità teologica del dato metafisico primor­diale si consuma precisamente qui: nella metafisica della realtà storica. Onde sarebbe sufficiente ripercorrere l’iter metafisico retrospettivamente per darsi conto del come il dato metafisico primordiale incida dentro di esso, condizio­nandone ogni problema, a cominciare dallo stesso problema critico.

La metafisica dunque, qualsiasi metafisica, è già salva­guardata o compromessa in partenza dalla sua capacità o me­no di trasferire in sede del filosofare riflesso il dato metafisico primordiale onticamente ed essenzialmente «teologico» del­la percezione immediata dell’essere creaturale come tale, con la sua implicanza dell’accettazione dell’Assoluto per fede: , dato primordiale pure onticamente ed essenzialmente dina­mico, sintetico e concreto, proprio per detta accettazione. Quale è stata effettivamente questa capacità?… La que­stione si trasferisce sul terreno della storia della filosofia, che qui non è possibile neppure delibare. Stiamo infatti par­lando della congenita «teologicità» o «ateologicità» della : metafisica, e per restare aderenti a questo nostro problema e perseguirne la soluzione, è sufficiente quanto segue. Se prescindiamo da certe correnti metafisiche orientali

(come le indù) e classiche (come alcune correnti neoplato­niche e stoiche), essenzialmente «teologiche ” per la stessa prevalenza della funzione religiosa salvifica del Divino, noi i ‘ constatiamo che la strada maestra della filosofia classica corre su un tipo di metafisica «teologica», e per di più sostanzial­mente ortodossa (alludiamo alla sua ortodossia metafisica

realistica oggettiva), anche nella sua fase precristiana, nel senso almeno tendenziale di un teismo trascendente non infi­ciato di panteismo.

 

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Per la nostra questione, ciò non appare tuttavia soddi­sfacente. Non soltanto la filosofia classica, e con essa la scola­stica, non ha approdato ad una metafisica realistico-oggettiva della realtà storica, ma non se ne è aperta neppure la via per giungervi. Di più: il suo stesso teismo restaurato per via di argomentazione riflessa sulla base dell’astrazione ontica dal sensibile, non ha saputo sorreggere la primordiale anima metafisica teologica, venendo esso stesso sorretto da una ani­mazione mutuata dalla scienza teologica, finché almeno il di­vorzio non fu consumato tra filosofia e teologia. La stessa in­terpretazione metafisica della storia, a cominciare da Sant’A­gostino che per il pensiero cristiano ne rimane il primo e principale interprete, viene mutuata dalla Rivelazione e si pone propriamente come una teologia della storia in fun­zione religiosa salvifica, come del resto appare teologia in funzione dei fondamentali misteri della salvezza cristiana, la teologia della storia in senso moderno.

Per la stessa surrogazione del problema da parte della teologia nell’ambito della filosofia classica diventata filosofia cristiana, il problema metafisico della realtà storica come problema ontico non aveva di fatto più ragione di porsi, anche se diventava sempre più urgente, in un certo momento del pensiero filosofico e culturale, la sua ragione di diritto.

Cosi, questo momento ha finito per passare invano per la filosofia classica e cristiana, scavalcata, proprio sul ter­reno delicatissimo di una metafisica della realtà storica, dall’imporsi di una filosofia moderna a metafisica fondamen­talmente divenirista «ateologica», nel senso di una sua pro­grediente chiusura immanentistica nel soggetto o nella natura.

Terreno delicatissimo, ripetiamo, quello di una meta­fisica della realtà storica: poiché, è precisamente dentro di esso che si consuma la dialettica «teologica» o «ateologi­ca ” della metafisica stessa. Questa sua consumazione consiste appunto nell’arrivare fatalmente all’Assoluto come forma dinamica religiosa (o antireligiosa) nella concretezza totale della sua incarnazione storica. che in sede di giudizio ontico-metafisico risolutivo, non potrà essere che quella «teologica» cristiana, o «ateologica» acristiana (per non dire anticri­stiana).

L’elemento discriminativo ineccepibile, non tanto in

 

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sede di ortodossia religiosa quanto piuttosto in sede di ragione metafisica, è precisamente l’immanentismo metafi­sico diveniristico sia di tipo idealistico che naturalistico evolutivo. Esso infatti, al di là delle formule verbali che possono suonare comunque, si risolve in metafisica « ateolo­gica» (ed a fortiori acristiana ed anticristiana), anche quando  non è ancora teoria o prassi dichiaratamente atea o anticri­stiana. L’ateismo infatti e l’antireligione sono piuttosto un comportamento pratico anche se radicato in una metafisica; mentre la «ateologicità» e l’anticristianesimo sono un tim­bro di pensiero, non necessariamente combinato con la prassi atea e anticristiana, ma combinabile addirittura con un ‘ linguaggio mistico e con una larga tolleranza religiosa pra­tica. Il che però non deve illudere, poiché alla resa dei conti, qualsiasi pseudomisticismo è destinato a servire il materia­lismo ateo.

Ciò posto, la sola conclusione che qui per noi importa, è darci conto che, come gli stessi fatti dimostrano, qualsiasi metafisica è radicalmente «teologica» o «ateologica». Radi­calità teologica o ateologica che, condotta al suoi ultimi sviluppi di metafisica della realtà storica, si specifica neces­sariamente in «cristiana» o «anticristiana», attualizzando in tal senso la sua radicalità teologica o ateologica sopraddetta.

La specificazione metafisica anticristiana suppone per la metafisica della realtà storica l’impossibilità di una opzione religiosa diversa da quella cristiana. Il che è vero in quanto essa è «ateologica», e dunque escludente la religione come tale. Ma poiché, in concreto, l’Assoluto come forma dinamica religiosa si identifica con l’Assoluto cristiano á questo che viene escluso, in virtù della stessa dialettica della metafisica  dinamica della realtà storica, che è appunto quella della

concretezza, a partire dallo stesso Assoluto.

Sul terreno della pura religione in funzione salvifica, invece, una opzione «acristiana» in merito alla buona fede può ancora risultare possibile senza diventare anticristiana. Ma sul terreno della stessa religione in funzione ontico-dinamica, sul terreno cioè della metafisica della realtà storica, nessuna opzione è possibile all’infuori di quella «teologico-cristiana». o «ateologico-anticristiana».

La metafisica infatti, in radice non ha altra scelta che

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quella «teologica» o «ateologica», della, che quella «teologico-cristiana» o ma, senza la possibilità di una ti caso si rivelerebbe fittizia. Di conseguenza, il suo sbocco finale nella metafisica realtà storica, che è lo sbocco della concretezza totale non potrà avere altra scelta c ateologico-anticristiana scelta, che in ogni

 

 

 

La conclusiva opzione «teologico-cristiana» richiama ­Cristo. E Cristo di fatto risulta l’Assoluto «teologico» che incarnandosi assume il ruolo di forma dinamica religiosa non solo in funzione salvifica, ma anche (e prima di tutto) in funzione ontica.

L’Assoluto «ateologico» pertanto, pel fatto stesso che si arroga la funzione ontica sottraendola e negandola a Cristo, non potrà essere che Assoluto «ateologico-anticristiano», anche se a livello pragmatico, disinteressandosi della fun­zione salvifica in senso propriamente religioso la demanda alla religione cristiana, o addirittura a qualsiasi religione.

Ma la funzione salvifica non è concretamente ed effettiva­mente separabile dalla funzione ontica, nemmeno in sede di salvezza puramente spirituale. Se dunque l’Assoluto in fun­zione ontica acristiana si traduce nella pratica in Assoluto a funzione (ontica e salvifica) anticristiana, vuol dire che – a modo suo – ha raggiunto la suprema coerenza metafisica, conducendola fino alle sue ultime conseguenze teoretiche e pratiche.

 

9 – La scelta metafisica come scelta cristiana

 

Se quella è la dialettica «teologica» o «ateologica» dell’Assoluto come supremo riferimento metafisico e come fondamento e animazione della metafisica stessa, viene da chiedersi come tale dialettica «teologica» sia rimasta più o meno inoperante in sede di filosofia classica e della stessa Scolastica, sì da non raggiungere la sua oggettiva e reali­stica consumazione in sede di metafisica della realtà storica; mentre ciò è avvenuto in sede di filosofia moderna, pur­troppo a favore dello sviluppo metafisico «ateologico».

 

Si tratta di darsi conto di due cose: darsi innanzitutto conto della ragione di questa paralisi «teologica» della filo­sofia classica e scolastica da una parte; e dall’altra della

 

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necessità di fare il passo necessario a proposito della nostra metafisica della realtà storica.

Prescindendo dalle possibili effettive ragioni contingenti ed appellando alla sola ragione metafisica che appare deci­siva, diciamo soltanto questo: il filosofare poteva ricuperare in sede di metafisica riflessa il dato metafisico primordiale già racchiudente in sè il germe di una metafisica «teologico-cristiana» della realtà storica, alla condizione di impadronirsi fin dall’inizio della categoria ontica che lo interpretava. In assenza di essa, il dato metafisico primordiale restava inaffer­rabile nella sua intima embrionale essenza di sintesi dina­mica concreta dell’umano nel Divino, che con la sua accet­tazione per fede già si poneva come forma dinamica religiosa in funzione ontica e salvifica. Per tale assenza, si dava così l’avvio ad un filosofare riflesso di indole statica, analitica ed astratta, non soltanto come indispensabile momento meto­dologico del filosofare totale, ma con significato e valore sistematico conclusivo. Tanto, da giustificare in qualche modo l’indebita qualifica della filosofia aristotelico-tomista, come di filosofia statica, analitica ed astratta senza possibilità di redimersi, integrandosi col dinamico.

Quale sia la categoria ontica alla cui mancanza nella filosofia classica e scolastica si allude, non surrogabile e non surrogata dalla pure insuperabile e imperitura dottrina del moto metafisico, per noi non è più un mistero comprenderlo: essa è la categoria dell’ente dinamico, esplicativa tanto del contenuto concreto del dato metafisico primordiale, quanto dell’essenza della realtà storica. E’ essa che poteva e può rimettere in moto la genuina «teologicità» insita nella metafisica, conferendole in sede di metafisica realistica riflessa quella funzione ontica, che diventa sempre più indi­spensabile sia per la metafisica stessa come suprema legge della costruzione storica, sia per la religione. al fine di sapersi e potersi interpretare nella sua realtà vera ed intera.

Come la lacuna ontologico-dinamica della filosofia clas­sica non sia stata colmata nemmeno in seguito alla sua rias­sunzione da parte dei pensatori cristiani, è già stato detto. Ed è pure già stato accennato alle ragioni storiche che pos­sono in qualche modo spiegare il fatto. a meno che la ragione storica più valida di tutte sia proprio stata quella di non

 

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porre il problema dinamico della storia in senso ontico, perché già se ne possedeva la soluzione in senso salvifico. La visione storico-teologica agostiniana del Cristo totale può esserne una riprova. E lo stesso vertice interpretativo da essa rappresentato, può aver pacificato gli spiriti di fronte al problema ontico della realtà storica, pel fatto che già se ne possedeva la soluzione religiosa salvifica esauriente. Questo invero, in rapporto a pure esigenze speculative ancora al di fuori di una impegnata costruzione ontica della realtà sto­rica, poteva rendere pienamente soddisfatti.

Per questo insieme di ragioni resta pur vero che la filo­sofia classica, anche nella sua corrente realistica aristotelico-tomista, si è esaurita in una metafisica statica, analitica ed astratta, mutilatrice del dato metafisico primordiale non già nel senso di rinnegarlo, ma nel senso di non poterlo adegua­tamente e dinamicamente ricuperare ed interpretare. Ne è risultata una metafisica della natura, o come si esprimono i suoi moderni critici una metafisica dell’oggetto, mentre l’inte­resse e la sua chiave risolutiva sarebbe rappresentata dal soggetto.

Di qui lo spostamento della filosofia moderna dall’ogget­to al soggetto, che in fondo rappresenta la nostalgia della sintesi perduta (o non colta) tra i due, incanalata tuttavia nella direzione infida della gnoseologia soggettivista. Una sintesi tra soggetto e oggetto, infatti, in funzione del soggetto conoscente, anziché dell’Assoluto che lo trascende e può as­similarlo nella propria unità come forma dinamica religiosa, è fatalmente destinata alla risoluzione immanentistica del­l’Assoluto nel soggetto stesso, o di questo nell’Assoluto come natura, a seconda del prevalere di una dialettica idealistica o naturalistico-evoluzionistica.

In ambo i casi la filosofia moderna si è risolta in meta­fisica divenirista, e come tale ha dato luogo ad una metafisica della realtà storica come sintesi dinamica ontica o come in­carnazione dinamica del proprio Assoluto «ateologico e anti­cristiano», in funzione di una antireligione e di una costru­zione atea della realtà storica stessa.

 

Il mondo di oggi tuttavia, non è soltanto un mondo in costruzione in rapporto ad un Assoluto, solo a cagione della metafisica dinamica, dialettica o progressista, della filosofia

 

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moderna. Lo è ormai per sua intima natura: per quella sua essenza realistico-dinamica che, dopo aver sonnecchiato per millenni al margini di una natura essenzialmente statica ed esistenzialmente ciclica, è finalmente esplosa incontenibil­mente sul piano dell’esistenza, invocando disperatamente (e alla luce delle ideologie e dell’odierna cultura non si tratta di retorica) una metafisica che illumini la propria costru­zione e un Assoluto che la sorregga.

Purtroppo l’Assoluto vero, che sul piano storico concreto è soltanto quello cristiano, è mancato all’appuntamento meta­fisico della storia. In contrapposizione alle metafisiche mo­derne sfocianti in una costruttiva metafisica della realtà storica, la metafisica classica non ha saputo porre a servizio del Cristianesimo e del mondo moderno una realistica e dinamica metafisica della realtà storica, che ne mobilitasse filosoficamente prima, culturalmente ed operativamente poi, la insurrogabile funzione, non soltanto religioso-salvifica, ma anche religioso-ontica e praxiologica.

Se pertanto la nostra metafisica della realtà storica ha l’ardire di appellare all’Assoluto cristiano come sua indero­gabile scelta metafisica, è perché questa è l’attuale esigenza storica. ed è per di più nella stessa natura delle cose. Meta­fisica dinamica e realtà storica dinamica appellano ad un As­soluto concretamente qualificato in se stesso e nella sua spe­cifica incarnazione storica, poiché solo un Assoluto concreto ed incarnato diventa effettivamente operante. E l’Assoluto, come forma dinamica religiosa o come fondamentale fattore costruttivo della realtà storica, risulta l’elemento operante per eccellenza, fino ad assumere il ruolo dinamico di Super­agente. Ciò vale per le metafisiche dinamiche della realtà storica che professano un Assoluto «ateologico», quando non dichiaratamente ateo. Ciò deve valere anche per una meta­fisica realistico-dinamica di essa, che voglia essere (perché deve esserlo) «teologica» . Il suo Assoluto o sarà quello cri­stiano, o sarà semplicemente nullo.

Non le è infatti sufficiente il Dio dei deisti e neppure un Dio «teistico», che però non si sappia tradurre in effet­tiva e concreta forma metafisica dinamica religiosa della realtà storica. Per questo, è necessario il Dio della Rivela­zione nella sua concreta incarnazione storica della Persona

 

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del Verbo, nella sua specifica e determinante funzione di forma ontica, e non solo religioso-salvifica.

Pertanto, per quanto riguarda l’Assoluto come forma dinamica religiosa, la nostra scelta metafisica, anche come tale, è la scelta cristiana, poiché l’essenza metafisica reali­stico-dinamica della realtà storica è essenza cristiana[19].

 

10 – Essenza metafisica cristiana della realtà storica

Questa espressione è da intendersi non solo nel senso di una essenza professata dal cristiano, ma nel senso che la autentica essenza metafisica della realtà storica è essa stessa cristiana. E metafisicamente lo è, non già a titolo di cristiana, ma a titolo di. autentica essenza realistico-dinamica di essa, sì che per noi dire essenza metafisica cristiana della realtà storica significhi formalmente dire la sua essenza realistico-dinamica. In sede di metafisica della realtà storica il «cri­stiano» diventa sinonimo di «realistico», perché il «reali­stico» contiene il «cristiano».

L’asserzione ci ripone sul cammino della nostra inda­gine metafisica, apparentemente interrotto da questa nostra complessa discussione sulla forma della realtà storica. Si trattava infatti, e si tratta, di un punto cruciale del tutto decisivo, poiché è la forma che attua e specifica l’essenza e l’essere.

Bisogna dunque stabilire fin dove deve arrivare la for­ma dinamica religiosa della realtà storica come EDUC. Non secondo l’arbitrio del filosofo, ma in conformità al metodo oggettivo realistico, che rappresenta la suprema legge del filosofare.

Se dunque va riposta nell’Assoluto cristiano la oggettiva

 

 

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e realistica forma dinamica religiosa della realtà storica, il filosofo non può fermarsi a metà strada, pena il tradire il suo supremo compito metafisico, che è quello di cogliere e definire innanzitutto e soprattutto l’autentica e realistica essenza della realtà che costituisce l’oggetto della sua inda­gine.

Gli ostacoli che si frappongono a questo cammino già li conosciamo e sono già in parte stati superati. Primo fra tutti  quello della distinzione dei saperi: nel nostro caso, la distin­zione fra filosofia e teologia. La difficoltà viene radicalmente superata con la distinzione della duplice funzione della reli­gione e della forma religiosa, da noi stabilita: la funzione ontica, e la funzione salvifica.

Essa stabilisce due oggetti formali, riferentisi a un iden­tico oggetto materiale – la realtà rivelata della religione cristiana- che qualificano inconfondibilmente il suo studio filosofico e teologico in una perfetta autonomia di saperi, ma senza una loro separazione, segnata da un preteso ogget­to materiale distinto e diverso: che anzi nel nostro caso l’identità dell’oggetto materiale li costringe ad un’unità di sinergia e di integrazione culturale, che corrisponde ad una loro primaria e fondamentale esigenza e funzione.

Anche solo sul piano culturale, infatti, appare una imperdonabile lacuna il fatto che la religione cristiana sia stu­diata dalla teologia in funzione salvifica (tanto più oggi, che la teologia vuole essere teologia della storia della salvezza), e rimaneva scoperto (o peggio vena del tutto dimenticato se non addirittura interdetto) lo studio del suo aspetto ontico che, appunto come uno studio dell’essere, deve competere anche. ed in prima istanza, alla filosofia.

Vero è che la diversità dell’oggetto formale porta con sè anche una doverosa diversità di metodo, come effettivamente avviene per la teologia che procede ex auctoritate Dei revelantis. mentre la filosofia deve procedere ex lumine rationis, evidentemente (se vuole essere realista) sulla solida base del dato di esperienza. Ma è proprio quel che avviene rispetti­vamente nello studio teologico della funzione salvifica, e filosofico della funzione ontica, della religione cristiana. Dimodoché, da questo Iato il cammino della nostra metafisica della realtà storica appare perfettamente libero e pienamente

 

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legittimo: ci interessiamo soltanto della essenza ontica e della funzione ontica della religione e della forma religiosa cristiana, con metodo puramente filosofico.

Quanto al dato di esperienza da cui partire, è logico che esso, per lo specifico oggetto della religione cristiana, non si risolva nel dato sensibile. Consiste invece in un dato posi­tivo storico, da accertarsi con la relativa indagine integrata se necessario da un giudizio filosofico di valore: tutte cose che interessano direttamente lo storico e se vogliamo l’apo­logeta, e che comunque, in merito alla razionale divisione del lavoro, il metafisico della realtà storica ha diritto di pre­supporre. D’altra parte per lui la questione resta enorme­mente semplificata, per il fatto che non è questione di singoli dogmi, ma della realtà storica cristiana globale precisamente come essere, traducentesi in un macroscopico e sufficiente­mente definito dato di esperienza, il quale al filosofo altro non richiede se non di essere utilizzato, come pacificamente av­viene per qualsiasi altro dato di esperienza assai meno con­sistente e meno vistoso.

 

Potrebbe tornare , sempre a proposito del metodo, la questione dell’accettazione dell’Assoluto cristiano per fede. Torniamo a ripetere che essa qui non rappresenta un puro espediente logico di ordine fideistico. Al contrario, essa assume il significato di una reale e vitale immersione nel con­creto storico spazio-temporale della forma dinamica religiosa e dell’essere che ne vien posto, come elemento costitutivo determinante della sua realtà, sì che, in senso ontico, la fede cristiana risulta parte costitutiva della realtà storica cristiana, al pari della fede marxista per la realtà storica marxista.

Una realtà religiosa (o antireligiosa) e una forma dina­mica religiosa (o antireligiosa), infatti, non esiste né può esi­stere come concreta ed operante realtà storica, se non in quanto accettata e vissuta per fede, sì che questa faccia parte della stessa realtà e razionalità di essa.

Resta a vedere se mai, l’atteggiamento di fede dello stesso metafisico della realtà storica. Se non vuole scadere al rango di semplice «storico» di detta metafisica, ma si impegna ad esserne per davvero il metafisico, deve impe­gnarsi a professarla o addirittura a costruirla scegliendo per

 

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fede-immersione quella data metafisica della realtà storica, e rifiutando le altre.

A questa sola condizione potrà essere un autentico metafisico della realtà storica, e lo sarà effettivamente in senso cristiano, o acristiano (quando non anticristiano). Que­sta scelta metafisica come inevitabile scelta di fede, non solo non impedirà al metafisico della realtà storica di esser tale, ma sarà quella che gli conferirà l’effettiva possibilità di esserlo. Non c’è posto per il metafisico della realtà storica non impegnato, come non c’è posto per una non impegnata metafisica della realtà storica, nel senso che questa in defi­nitiva si risolverà in una accettazione o in un rifiuto globale di tutto il dogma cristiano sia pure a livello di Assoluto come forma ontico-dinamica della realtà storica stessa. Nella mi­sura pertanto che viene a mancare o a cessare l’impegno di fede del metafisico della realtà storica, egli cessa di esser tale, per diventare un semplice «storico» di essa, o peggio, per farla diventare un puro ed inutile gioco accademico.

Ciò risulta vero per una metafisica della realtà storica che sia (tanto per il bene che per il male) autenticamente dinamica a livello metafisico, perché solo a questa condi­zione impegna con l’Assoluto come forma dinamica religiosa costruttiva di essa. In caso contrario, si ricade in schemi ana­litici ed astratti (anche se forse dinamici fenomenicamente), che come tali non impegnano per nulla. Ma cessano anche ad un tempo di essere vera metafisica della realtà storica.

Rimane il problema della giustificazione della scelta, in quanto parrebbe del tutto irrazionale affidare la metafisica della realtà storica ad una arbitraria scelta di fede. E lo sarebbe effettivamente, se la scelta di fede non fosse in qual­che modo giustificata e fondata. Nessun metafisico della real­tà storica cosciente e responsabile farebbe la propria scelta metafisica come una scelta di fede puramente arbitraria.

Ma la giustificazione e fondazione in questione, è già garantita in partenza per il metafisico della realtà storica. La metafisica di questa infatti non è che l’espressione con­clusiva, ed insieme anche decisiva per la vita e per l’azione, del rispettivo sistema filosofico. Ed è per questo, che ad esempio la metafisica marxista della realtà storica, la quale si riassume nel materialismo storico, si fonda e si giustifica

 

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nel materialismo dialettico; e la filosofia della storia di Hegel, si fonda e si giustifica nella sua «scienza della logi­ca», di cui è l’inveramento concreto.

Non altrimenti avviene per la fondazione e giustificazione della nostra metafisica della realtà storica. Pure vista nella sua ultima specificazione cristiana, la sua fondazione e giustificazione non è né teologica né dogmatica: è sempli­cemente ontologico-realistica, come sbocco finale di quella metafisica realistica integrale in cui s’inserisce, mettendone in moto la dialettica completa, per mezzo della categoria ontica dell’ente dinamico.

Per nessuno quindi, e tanto meno per noi, la scelta sto­rico-metafisica rimane una scelta di fede arbitraria, o sem­plicemente «fideistica». Si risolve anzi nella riassunzione della razionalità, vera o fittizia che sia, dell’intero sistema in cui s’inserisce, risollevando se mai la questione della sua critica radicale.

Si ritorna così al dato iniziale della primordiale perce­zione metafisica sintetica e concreta, vitale e dinamica del­l’essere creaturale, implicante l’accettazione o il rifiuto per fede – dell’Assoluto che fin d’allora si pone come em­brionale forma dinamica religiosa dello spirito umano e con­seguentemente dell’intera realtà storica. Tutto quanto filo­soficamente vien dopo, anche se rivestito della più sublime speculazione metafisica o della più sottile critica gnoseolo­gica, non sarà che lo sviluppo filosofico di quella scelta di fede, fino al suo incoercibile sbocco in una metafisica della realtà storica «teologico-cristiana», o «ateologico-anticri­stiana», chiamata a presiedere all’intero gioco del vivere ed agire umano.

Ed infatti, non lo si può ignorare: la metafisica è per sua stessa natura una primordiale e progrediente immersione nell’Assoluto Divino o Antidivino, fino alla sua piena concretizzazione di forma dinamica religiosa o antireligiosa, incar­nantesi nello Stato, o nella società socialista, od altro ancora, come essenza concreta della realtà storica stessa.

Evidentemente, un fatto analogo si pone anche per l’Assoluto Divino vero, che coincide con quello cristiano, poiché la legge metafisica suesposta è uguale per tutti.

 

 

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CAPO VII
DALL’EDUC AL SUPERORGANISMO DINAMICO

 

 

1 – Rimessa a punto della questione

 

La scelta «teologica» come scelta metafisica, ed in concreto la scelta metafisica cristiana (o anticristiana) a pro­posito dell’Assoluto nella realtà storica, ci ha ricondotti come abbiamo detto – sul nostro cammino, che è quello della ricerca metafisica essenziale, per quanto riguarda la realtà storica stessa.

Ed invero, la scelta cristiana o anticristiana, realistica­mente si riferisce direttamente alla forma dinamica religiosa della realtà storica, e dunque alla sua essenza, di cui la forma (tanto più trattandosi di forma dinamica) è la componente costitutiva preminente e decisiva.

Tant’è che la nostra indagine essenziale, per non breve tratto e forse per altri momenti di pensiero ancora, si è spo­stata, meglio si è imperniata e si è diffusa, sul tema della forma. Giustissimamente, poiché, se l’essenza è in funzione della forma da cui viene attuata e specificata, la forma è in funzione dell’essenza che deve attuare e specificare, in base a una sua dialettica immanente e permanente, che dovrà essere presente ed operante, anche quando della forma diret­tamente si tace.

In ogni caso, pertanto, sarà sempre il tema metafisico centrale dell’essenza che si pone, e viene effettivamente trat­tato, seguendo quel procedimento logico che si rivela neces­sario, perché la trattazione stessa non devii o addirittura si blocchi.

E’ quanto dobbiamo fare ora: crearci un nuovo sbocco ontologico e logico, capace di accogliere le nuove ricchezze od implicanze prospettate dalla forma dinamica religiosa cristiana, sì da potere arrivare, se è possibile, fino alle ulti­me specificazioni realistico-dinamiche dell’essenza della real­tà storica. La necessaria e pienamente logica e razionale specificazione metafisica della forma dinamica religiosa della realtà storica in forma dinamica religiosa cristiana, apre delle

 

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nuove prospettive per l’essenza metafisica di questa, che bisogna poter perseguire, aprendone innanzitutto il relativo sbocco.

Quale sarà questo sbocco? Lo indica lo stesso titolo del capitolo. E’ lo sbocco del superorganismo dinamico. Per quan­to questa parola non sia ancora per noi corredata a questo punto di un suo preciso significato metafisico, essa tuttavia già esprime nominalmente la categoria ontologica atta ad interpretare in modo conclusivo l’essenza della realtà storica che andiamo esplorando.

E si tratterà di una categoria ontologica in perfetta con­tinuità con quella dell’ente dinamico e dell’EDUC, poiché non è che la categoria dell’ente dinamico stesso, condotta, attraverso l’EDUC, alla sua ultima esplicitazione metafisica.

Passaggio dall’EDUC, pertanto, al superorganismo dina­mico (che per brevità sigliamo in SD). Ecco l’ultima svolta che ci attende. Per non equivocarlo, e coglierne l’intero si­gnificato, dobbiamo prendere atto di tre cose. La prima ri­guarda lo stesso passaggio ontologico-metafisico dall’EDUC al SD, da prendersi nel più rigoroso senso della parola.

E’ necessario infatti escludere fin da questo momento qualsiasi forma di organicismo storico e sociologico di tipo bio-analogico o psico-analogico, proiettato in sede storica e sociologica (non osiamo dire metafisica) in base ad una fal­lace e arbitraria analogia con l’organismo fisico, o in riferi­mento ad un tessuto psicologico fenomenico del tutto privo di consistenza ontico-metafisica propria.

Il SD di cui parliamo, per il fatto stesso che si risolve in una esplicitazione ontologico-metafisica dell’EDUC, porta con sè tutta la consistenza ontico-metafisica di esso, diffe­renziandosi radicalmente da qualsiasi organicismo biologico e psicologico, di tipo sociologico o meno.

La differenza può venire accentuata anche sperimental­mente, per la ragione che il SD ha un senso essenziale esclusivo, sì da porsi come tale solo sul piano dell’essenza, e non più negli altri piani dell’essere, in cui prevalgono le categorie esistenziali e fenomeniche ad essi proprie.

E’ quanto dire che sul piano esistenziale, fenomenico ed operativo, il SD non sarà né visibile né immaginabile sen­za cadere in illusori giochi di fantasia, poiché il suo essere

 

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vero rimane quello dell’essenza, la quale s’incarna bensì nell’esistenza, come si manifesta nella fenomenologia ed opera sul piano dell’azione, ma attraverso le categorie che sono loro proprie, pur rimanendo intatto il primato dell’essenza ed imponendosi la legge del suo incontrastabile dominio su tutti i quattro piani dell’essere.

Quali propriamente siano le categorie dei tre piani del­l’essere che seguono il piano essenziale del SD, non è né ora né poi il luogo di trattarne, poiché esse esorbitano dalla ontologia dinamica e dalla metafisica della realtà storica. Se qualche accenno ne verrà fatto, sarà per chiarimenti essen­ziali indispensabili.

 

2 – Esplicitazione ontologica e storico-metafisica

 

Le altre due cose da tenersi presenti nel passaggio dal­l’EDUC al SD, sono (come si è già accennato) che quest’ulti­mo rappresenta nient’altro che una esplicitazione ontologica, e storico-metafisica, dell’EDUC.

Torna la bivalenza del significato primario e derivato dell’EDUC, per cui esso appartiene contemporaneamente al­l’ontologia dinamica, nella quale rappresenta la esplicitazione determinante della categoria ontologica dell’ente dinamico, e alla metafisica della realtà storica, nella quale si pone come chiave essenziale od essenza-chiave della realtà storica stessa.

Si tratta dunque, anche per il passaggio dall’EDUC al SD, non già di una conquista per via discorsiva, di una verità nuova distinta e diversa dalla prima, o peggio di uno spostarsi da un argomento all’altro perché si cambia di soggetto: ma solo e sempre dell’esplicitazione ed approfondimento di una identica realtà. Nel nostro caso, dell’ente dinamico, già espli­citato ed approfondito come EDUC, sia pure nel suo signi­ficato bivalente di categoria ontologica e di essenza della realtà storica.

Non lavoriamo infatti in campo di metafisica statica, caratterizzata da un procedimento discorsivo analitico ed astrattivo, che accumula od affianca linearmente verità a verità, passando da argomento ad argomento. Siamo in sede di metafisica dinamica, ad argomento unico, poiché il suo oggetto coincide con l’essenza della realtà storica per sua

 

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stessa natura onnicomprensiva della realtà dinamica, sì da non ammettere che l’esplicitazione e l’approfondimento di sè per via di sintesi e concretezza, con la possibilità del momento analitico ed astrattivo solo a titolo metodologico, per il ripen­samento, l’approfondimento e l’esplicitazione del tutto.

Così è anche per il passaggio dall’EDUC al SD, e la con­seguente trattazione della realtà storica come SD, che affronteremo poi più estesamente nel terzo volume della nostra trilogia realistico-dinamica.

Per l’essenziale dinamicità sintetica e concreta dell’ente dinamico, tutta la realtà metafisica di esso (come categoria ontica e concreta realtà dinamica) è già contenuta nell’ente dinamico stesso, non soltanto come possibilità logica, ma co­me realtà ontologica sempre che esista una realtà storica che ponga e giustifichi lo stesso ente dinamico. Di qui ap­punto la necessità di procedere con metodo realistico sulla base del dato di esperienza, anziché a priori, con un proce­dimento che si potrebbe chiamare geometrico.

Il SD pertanto, andrà colto ed esplicitato (non dedotto!) nello stesso ente dinamico, già colto ormai come EDUC nella sua duplice valenza ontologica e storico-metafisica, attraverso il solo approfondimento dell’una e dell’altra.

Se il passaggio dall’EDUC al SD, prospettato in tal modo, può sembrare a prima vista un po’ sconcertante, poiché si tratta almeno apparentemente di due categorie assai diverse per non dire eterogenee, non è da stupirsi. Siamo fuori del processo astrattivo, che purificando e semplificando i con­cetti, li rende sempre più identici a se stessi, e dunque più invitanti e forse più convincenti. E’ il vantaggio, più appa­rente che reale in verità, dell’idea chiara e distinta. Qui in­vece procediamo metafisicamente per via di sintetizzazione e concretizzazione, poiché questa è la esigenza della dialettica realistico-dinamica. Tanto, da dover affermare metafisica­mente delle identità, come quella di ente dinamico e super­organismo dinamico, che al di fuori di un congruo processo di approfondimento ed esplicitazione sarebbero inammissi­bili. Sarà il caso di ripetere per qualcuno il durus est hic ser­mo. Ma, ciononostante, pensiamo che il discorso tenga, perché :’- è la parola  del reale, che per il filosofo realista dev’essere

la più convincente di tutte.

 

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Come pertanto operare il passaggio dall’ente dinamico al SD?.. Rispondiamo: ripartendo dalla realtà metafisica ormai acquisita dell’EDUC, ed approfondendone l’essenza sempre in funzione della forma; per di più, sulla linea della sua duplice valenza: ontologica, e storico-metafisica.

Cominciamo col mettere a fuoco il problema. La prima cosa è tener conto di tutto lo sviluppo metafisico finora rag­giunto, poiché si tratta di una sua prosecuzione, e non già di una evasione da esso per spostarci su altro terreno. E tener conto di tale sviluppo metafisico, significa innanzitutto non tornare a vanificarlo con indebite semplificazioni selettive o astrattive.

L’EDUC va preso così com’è, per quel che è: nella sua essenza reale dinamica sintetica e concreta, metafisicamente onnicomprensiva, con tutte le articolazioni ed implicanze che esso riassume. In modo specialissimo andrà riconsiderato in funzione della sua forma: l’Assoluto, come forma dinamica religiosa, trascendentalmente pentavalente, condotta, sul ter­reno metafisico concreto della realtà storica, fino alla sua ultima specificazione cristiana o anticristiana.

Sarà infatti in virtù di questa forma dell’EDUC, ricon­siderato di continuo nel quadro della sua realtà totale e con­creta, che si opererà il passaggio da esso al SD. E logica­mente: poiché detto passaggio non è che un arricchimento, per esplicitazione ed approfondimento, di essenza ed essere, la cui sorgente e ragione è la forma, ed essa sola. Perché tuttavia i due termini del passaggio vengano colti il meglio possibile nel significato che interessa il passaggio stesso, ne diciamo ancora una parola, prima di effettuare quest’ultimo.

 

3 – EDUC come terminus a quo e SD come terminus ad quem

 

Per quanto riguarda il terminus ad quem ossia il punto d– d’arrivo, che è il SD, ciò che per ora si deve ed è possibile dire, è presto detto: si tratterà di un organismo veri nominis a valore ontico-metafisico, e non già di una metafora o di un convenzionale complesso fenomenologico, a cui si sovrap­pone come una comoda ipotesi di lavoro ed «immagine» esplicativa, la categoria metaforica dell’organismo.

 

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Inoltre, come superorganismo, esso avrà un significato universale reale e concreto, precisamente come l’EDUC di cui sarà esplicitazione.

Il super vuole esprimere appunto questo suo significato metafisico di organismo vero e proprio a valore universale reale e concreto. Che poi esso sia di natura dinamica anziché statica, è detto chiaramente dalla sua stessa qualifica di «di­namico». Né potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una esplicitazione dell’EDUC, e, come sempre nel nostro discorso, di realtà storica.

Per quanto riguarda il terminus a quo, ossia il punto di partenza del passaggio, corrispondente all’EDUC, è necessario richiamare od aggiungere alcune precisazioni, che interes­sano il passaggio stesso, e assai più interesseranno il SD, come punto d’arrivo acquisito e come ulteriore esplicitazione dell’essenza della realtà storica.

Diremo pertanto della unicità, e insieme della moltepli­cità dell’EDUC. Metafisicamente, l’EDUC non può essere che uno ed unico. Ciò è già stato messo bene in evidenza nella rispettiva trattazione. Un «ente dinamico universale e con­creto», infatti, come tale non può essere che metafisicamente uno ed unico.

Ma è un fatto che la sua duplice specificazione metafi­sica, attraverso la sua forma dinamica religiosa cristiana od anticristiana, lo moltiplica in due, sì da potersi parlare di

–a due EDUC «coesistenti»: quello cristiano, e quello anticri­stiano.

Ciò è possibile per l’imperfezione congenita dell’ente di­namico, appunto come ente che ancora non è ma si fa atti­visticamente nello spazio e nel tempo. In tal modo rimane disponibile (per parlare con linguaggio biblico) anche lo spa­zio e il tempo per l’Anticristo.

Come dunque giudicare questa dualità dell’EDUC, che meglio si qualifica come dualismo ed antinomia?… non certo come una «diade» metafisica di esso. Si tratta infatti della contrapposizione del positivo e del negativo. Il che non moltiplica metafisicamente l’ente, e tanto meno l’EDUC. Solo contrappone positivo e negativo. Non perché l’EDUC anti­cristiano e cioè cristianamente negativo non abbia una sua consistenza esistenziale storica: cosa che l’esperienza dimo­stra fin troppo evidente. Ma perché si tratta di un «meta­fisico negativo», che come tale non moltiplica né può mol­tiplicare il positivo. L’EDUC perciò, nella sua realtà meta­fisica positiva, rimane uno ed unico.

Metafisicamente, infatti, l’Assoluto che fonda l’EDUC anticristiano non è che uno pseudo-Assoluto, che come Assoluto non esiste. Nemmeno Satana o l’Anticristo è l’Assoluto, anche se gli uomini possono farli funzionare e s’impegnano a farli funzionare come tali. Ma uno pseudo-Assoluto non ge­nera che uno pseudo-EDUC, che metafisicamente non può moltiplicare l’EDUC.

La questione è innanzitutto metafisica, e la sua soluzione in questi termini, del resto validissimi, rimane metafisica. Fenomenologicamente, come già sappiamo, l’ente dinamico si moltiplica. E può anche moltiplicarsi esistenzialmente come pseudo-EDUC, il quale, anche se è fondato su uno pseudo-Assoluto, magari suffragato da una rispettiva filosofia (che però non ne sana la congenita inconsistenza metafisica), dia­letticamente ed operativamente può rivelarsi pienamente ef­ficiente. In tal caso, non basta per bloccarlo, una condanna . ufficiale o una confutazione filosofica. Lo pseudo-EDUC non si blocca e non si neutralizza che con la mobilitazione teo­retica e pratica dell’EDUC. Anche questo fa parte degli in­comprimibili «riflessi pratici» di una metafisica della realtà

storica.

Ma passiamo alla «molteplicità metafisica» dell’EDUC. F Per non porla in contraddizione con quanto appena abbiamo detto, è chiaro che questa molteplicità metafisica dell’EDUC andrà intesa semplicemente ed esclusivamente come molte­plicità delle sue parti od aspetti. Ed è appunto in questo senso che dovremo distinguere tre EDUC, completando la triade, rispetto alla diade già accennata a suo tempo.

Abbiamo già detto infatti, in un approfondimento ana­litico metodologico dell’EDUC, che bisogna interpretare come .EDUC sia la sua forma dinamica religiosa, sia l’EDUC come

sintesi tra tale forma e la rispettiva materia, rappresentata

dalla realtà umana esistenziale.

Due EDUC, pertanto; l’EDUC che possiamo chiamare

-totale, ed è quello che corrisponde a detta sintesi, e quel­l’EDUC parziale che corrisponde alla stessa forma dinamica

 

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religiosa, derivante dall’Assoluto come forma religiosa originaria, e che possiamo chiamare EDUC formale.

 

La forma dinamica religiosa derivata, infatti, si orga­nizza, o per lo meno può organizzarsi anch’essa in EDUC

‘precisamente come religione, colta nella sua essenza ontica di sintesi reale dinamica concreta dell’umano nel Divino.

 

Sarà forma dinamica religiosa derivata, precisamente come tale sintesi., che si risolve anch’essa in EDUC: non

 

-+> però EDUC totale, ma EDUC «formale» (a funzione ontica), che corrisponde appunto alla forma dinamica religiosa come EDUC essa stessa.

In che modo giustificare tuttavia l’universalità dell’EDUC formale, sì da poterlo qualificare davvero come EDUC?… Tale giustificazione deriva precisamente dal valore universale del­la forma. La forma dell’EDUC totale infatti in tanto è forma di esso, in quanto lo adegua interamente in estensione e con­tenuto, sì da partecipare della sua stessa universalità con­creta, da esserne anzi il fondamento. Dunque anche l’EDUC formale, considerato in se stesso, è davvero «ente dinamico e universale e concreto».

, Sarà così effettivamente, purché la forma dinamica reli­giosa derivata, ossia la religione in funzione di forma ontica, si organizzi come tale. In questo caso non soltanto l’EDUC formale meriterà di essere così chiamato; ma apparirà l’EDUC più fondamentale e decisivo; quello che fonda e perciò decide dello stesso EDUC totale. Sarà questo il caso come vedremo, dell’EDUC formale cristiano ossia della religione cristiana organizzata – per quanto riguarda la sua funzione formale ontica – in EDUC formale, e più ancora correlativamente, in SD formale. Ma ciò già suppone la traduzione dell’EDUC in SD.

 

EDUC totale e formale, tuttavia, non rappresentano due EDUC distinti che diano luogo ad una effettiva e contraddit­toria moltiplicazione dell’EDUC. Ma sono uno nell’altro, uno

 

per l’altro, uno dell’altro, come la parte è nel tutto, per il tutto e del tutto. Si tratta però di quella parte dell’EDUC che ne è la forma, e di quel tutto che è l’EDUC stesso, compenetrantisi a vicenda, fino a risolversi in due aspetti di una realtà unica. L’EDUC formale infatti compenetra l’EDUC

 

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totale come la forma compenetra l’essenza e il relativo ente’ ‘

 

e l’EDUC totale ne è compenetrato, come un corpo viene compenetrato dalla rispettiva anima.

 

Ma l’anima non è il corpo, e la forma non è il relativo essere. Dimodoché dobbiamo parlare di EDUC formale e di EDUC totale come distinti, e pure identificantisi nell’unità di un unico EDUC. E dobbiamo farlo, non per il gusto di una sottile distinzione concettuale, ma per la necessaria introspe­zione dell’essenza della realtà storica, e più ancora per una doverosa sua mobilitazione metafisica teoretica e pratica.

 

Per essere completi tuttavia, e sempre per la ragione appena detta, all’EDUC formale e totale, dobbiamo aggiun­gere anche l’EDUC materiale; l’EDUC, cioè risultante dalla stessa realtà umana esistenziale come «materia» dell’EDUC totale, la quale materia, come risulta dal dato di esperienza, va appunto organizzandosi in EDUC materiale.

 

Tale dato di esperienza appare oggi fin troppo evidente (e lo sarà ancor più in futuro), posto il processo di costru­zione e di unificazione a cui si trova sottoposto questo nostro mondo moderno. Tutti sappiamo infatti – e lo constatiamo

 

– che esso è un mondo in costruzione avviato alla sua uni­ficazione esistenziale, anche se non è in grado di arrivare da solo all’autentica unità dell’essere, e quindi anche dell’ordine e della pace. Ed invero, la via per arrivarci non è certo quel­la del semplice EDUC materiale a valore puramente esisten­ziale. Ma è solo la via dell’EDUC formale, e formale vero, che dia alla materia e all’esistenza la sua autentica anima ed essenza metafisica[20].

Ciò nonostante, anche l’EDUC materiale acquista la sua importanza per la stessa metafisica della realtà storica (e non soltanto per una considerazione esistenziale di questa). Se non altro, come quel macroscopico e mastodontico dato di esperienza, che ci ha costretti a svegliarci dal nostro sonno statico.

 

 

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4 – La forma come forma viva

Sulla base del SD come organismo veri nominis e della triplice ed insieme unitaria prospettiva dell’EDUC come EDUC formale, materiale, e totale, possiamo ora affrontare il passaggio dall’EDUC stesso al SD.

La chiave di tale passaggio consiste nella forma. Posto che l’EDUC sia autentico ente e la sua forma dinamica reli­giosa sia autentica forma (anche se la loro «autenticità» è dinamica), tutto si riduce a giudicare se si tratta di una forma viva,  o di una forma morta.

Il giudizio ammette varie motivazioni come criteri di pronunciamento, riducibili alle tre seguenti: la forma di una materia morta, non può essere che una forma morta; la forma di una materia viva, non può essere che una forma viva; una forma che sia viva in se stessa, non può dare origine che ad un essere vivo, dimostrandosi, anche per questo, vivissima.

Si tratta di criteri di giudizio di per sè evidenti, sì da non esigere altro che una loro applicazione. Applichiamo dunque.

Di per sè, potremmo appellarci direttamente alla sola forma dell’EDUC, e per di più EDUC totale, poiché il nostro giudizio dovrà concludersi in definitiva sull’Assoluto come forma dinamica religiosa derivata, che è appunto la forma dell’EDUC totale. Ma, per un quadro di giudizio più completo, esaminiamo anche la forma dell’ente dinamico fenomenico.

Dalla teoria ontologica sviluppata a suo tempo, sappiamo che l’ente dinamico fenomenico si divide in ente dinamico fenomenico infraumano, che corrisponde sommariamente all’ente tecnico ed artistico; ed ente dinamico fenomenico umano, che ha come suo elemento esperienziale indicativo il raggruppamento umano, ed è caratterizzato dal fatto che la stessa persona umana ne è parte costitutiva e deve accet­tarsi come tale.

Si potrebbe però dire a questo punto, che la stessa per­sona singola in quanto storicizzata, si traduce in ente dina­mico umano (al quale perciò non corrisponde il raggruppa­mento umano). Senza dubbio: ma, per la singola persona umana storicizzata, la sua «storicizzazione» avverrà sempre in funzione di parte di un ente dinamico umano a cui cor-

 

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risponde il raggruppamento), sia esso a valore fenomenico o metafisico. Avverrà sempre, anzi, la storicizzazione della persona storicizzata, in quanto questa diventa parte, a valore fenomenico e metafisico ad un tempo, dell’ente dinamico fe­nomenico umano stesso e a cominciare da esso. Fuori di que­sto quadro, la storicizzazione della persona umana, specie in un mondo diventato dinamico, rimane una illusoria astrazione.

Stiamo dunque al caso dell’ente dinamico fenomenico umano che si pone in rapporto col raggruppamento, rinvian­do in seguito, al suo giusto posto, la discussione della per­sona storicizzata, che però, già in rapporto all’ente dinamico fenomenico umano, va vista ed accettata come parte.

Se pertanto cominciamo dall’esame dell’ente dinamico fenomenico infraumano, nessuna difficoltà ad ammettere che la sua sia una forma morta, per il fatto stesso che ap­partiene ad una materia morta, e dà luogo ad un ente di na­tura morta, sia esso un prodotto tecnico (come una macchina,una casa, ecc.), sia esso un prodotto artistico (una scultura, una pittura, un’opera musicale, ecc.).

La forma tecnica, meccanica o edile che sia, è una forma morta di una materia morta, produttrice di una entità morta. E la forma artistica scultorea, pittorica, o musicale, è essa pure una forma morta, anche se la musica è vivissima, la statua è parlante, e l’opera pittorica immortale. Tutti giudizi che non hanno valore metafisico, e non vanno al di là del­l’immagine, o della convenzione più o meno retorica.

Se invece passiamo alla forma dell’ente dinamico feno­menico umano, il discorso dovrà cambiare radicalmente. La forma qui appare forma dinamica viva; rimane morta (ces­sando anche di essere dinamica) se morto è il rispettivo ente, in quanto non realizzandosi come ente dinamico darebbe luogo ad un raggruppamento umano ontologicamente statico, o per meglio dire «ontologicamente» inesistente. Avremo infatti una società, una comunità, un clan, o qualsivoglia altra categoria «sociologica», ma non l’ente dinamico umano (sia pur fenomenico) per il fatto che manca la sua forma dinamica viva o per lo meno resta inoperante.

La ragione di quanto detto sta nella stessa natura del­l’ente dinamico fenomenico umano, che come «umano» im­porta il «raggruppamento» e dunque una «materia viva»

 

 

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(nessun cadavere fa parte del raggruppamento umano), la quale, anche se non è tutto, è nondimeno il «nucleo» della materia di esso. Sì che, l’unica forma che si adegui ontolo­gicamente (e non soltanto sociologicamente) alla «materia», debba essere una forma viva, capace di attuare ontologica­mente una materia viva e di produrre un ente dinamico vivo: che è quanto dire attuarlo, unificarlo, costruirlo, sostenerlo, potenziarlo, come ente dinamico «vivo», appunto perché umano.

Che per l’ente dinamico fenomenico umano si debba trattare di una forma dinamica viva, tornano i fatti a dimo­strarlo anche sperimentalmente, nel senso che nessuna forma tecnica (appunto perché di per sè morta), quale è ancora la forma puramente giuridica o organizzativo-strutturale, basta da sola a rendere funzionale il raggruppamento umano anche a dimensioni ridotte (come una azienda, una comunità edu­cativa, una comunità religiosa), senza mettere in moto la rispettiva forma dinamica viva[21].

Un’altra considerazione che accentua la differenza tra la forma tecnica (che è forma dinamica morta), e la forma del­l’ente dinamico fenomenico umano come forma viva, è la seguente: la forma tecnica sigilla il rispettivo prodotto tec­nico (ed artistico) finito. In riferimento al reale (e non sol­tanto al progetto al di fuori o prima della realizzazione), la forma tecnica ed artistica assume il suo vero valore a pro­dotto finito, ossia ad ente dinamico fenomenico infraumano «morto» anche come ente dinamico, perché «finito». E logicamente: poiché, trattandosi appunto di forma morta, essa non può aver valore di per sè (la morte non ha valore in se stessa), ma solo per la cosa prodotta, nata morta (poiché è cosa morta), dall’uccisione della stessa produzione. Delitto però pienamente legittimo. Non si tratta infatti che di una catena di cose morte, di cui importa solo l’ultimo anello – il prodotto finito -, destinato esso stesso al con­sumo (diretto o indiretto), e sottoposto in ogni caso (com­presa l’opera artistica) alla corrosione del cadavere che non

 

 

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porta in sè la forma viva per una propria autoricostruzione. Ma per la forma dinamica viva dell’ente dinamico feno­menico umano, e anche per esso, avviene precisamente il contrario. L’ente dinamico fenomenico umano vale solo come ente dinamico, e la sua forma vale soltanto come forma dinamica. La ragione si è che per l’uno e per l’altra si tratta di ente vivo e forma viva, sì che la più grande preoccupazione nello spazio e nel tempo sia appunto quella di proteggerne e potenziarne la vitalità e la vivezza.

E’ ciò che si constata sperimentalmente guardando ad una azienda industriale, in cui le due forme dinamiche, tec­nica infraumana, ed umana aziendale, si trovano in urto. Tutti gli sforzi sono rivolti a ridurre l’incidenza (come la­voro, tempo, costo) della forma tecnica, e a potenziare l’in­cidenza della forma umana aziendale, che presiede alla con­tinuità e all’ingrandimento dell’azienda stessa.

Dobbiamo dunque concludere che nell’ente dinamico fenomenico umano è presente una forma viva, e in qualche modo vi si constata anche sperimentalmente una forma viva, di natura affatto diversa dalle forme tecnica od artistica del­l’ente dinamico fenomenico infraumano, che sono ancora forme morte.

Ora possiamo passare alla forma dell’ente dinamico a valore metafisico, ossia alla forma dell’EDUC, il quale è l’ente dinamico umano per eccellenza, anzi, è l’ente dinamico «superumano». E ci domandiamo se la sua forma sia forma viva o meno.

La domanda diventa quasi superflua, per la ragione che segue. La forma dell’EDUC, come forma dinamica religiosa, coincide né più né meno che con l’Assoluto. E’ lo stesso Assoluto come forma dinamica religiosa.

Ora, niente di più vivo dell’Assoluto, del Divino, di Dio stesso che è la stessa vita e la sorgente di ogni vita. Ne segue che anche la forma dell’EDUC, identificandosi in qualche modo con esso, non può essere che forma viva, anzi vivissima, risolvendosi nella forma e nella realtà storica più viva di tutte.

 

 

 

 

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5 – Genesi della forma dinamica viva

 

Individuata così la forma dinamica viva, dobbiamo ora darci conto di due cose a suo riguardo, non prive di impor­tanza per la sua penetrazione metafisica. Esse riguardano la sua genesi, e la sua peculiare indole di forma viva dinamica. Cominciamo dalla prima.

La forma dinamica viva, appunto perché dinamica, e dunque « forma di secondo grado», si pone già di per sè come ente, e precisamente come un qualche ente di primo grado che si traduce in ente di secondo grado, con cui viene appunto costruita, o, con più esattezza, da cui viene generata, viene posta come forma. L’ente dinamico infatti presuppone l’ente statico (e più universalmente l’ente di primo grado che già è, compreso Dio, anzi, metafisicamente a cominciare proprio da Dio: Colui che è, l’Essere immobile per sua stessa natura). E come ente di secondo grado, si costruisce con l’ente di primo grado.

Così è anche per la forma dinamica viva: come ente di secondo grado, deve essere costruita, generata, posta dal­l’ente di primo grado. Ma, evidentemente, perché forma viva non potrà venire generata come tale, se non da un ente di primo grado vivo, e per di più capace di generare una forma dinamica viva, di «tradursi» in forma dinamica viva.

Ora, è altrettanto evidente che solo due esseri vivi sono in grado di porre la forma dinamica viva: Dio, e l’uomo. Non certo un animale o una pianta, poiché di per sè piante e animali né sono realtà storica né si storicizzano. E anche se vengono storicizzati (come in agronomia e zootecnica), ciò avviene da parte dell’uomo, e solo sul piano della materia della realtà storica, in quanto piante ed animali così storicizzati saranno «materia» anche rispetto all’ente dinamico fenomenico.

Resta dunque che solo Dio e l’uomo possono porre la forma dinamica viva dell’ente dinamico. E la loro specifica competenza consisterà nel porre, da parte di Dio, la forma dinamica religiosa viva dell’EDUC come categoria essenziale e come essenza della realtà storica; e da parte dell’uomo, nel porre la forma dinamica viva dell’ente dinamico fenomenico umano.

 

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Ciò rimane vero, ad una triplice condizione, però: che tanto Dio, quanto l’uomo, se ne assumano rispettivamente la precisa iniziativa; che tanto Dio quanto l’uomo si storicizzino; che vi sia la materia «uomo», capace di ricevere la forma divina in questione e almeno in qualche misura se ne faccia effettiva portatrice.

Cominciamo da Dio. Stiamo parlandone, in rapporto ad una forma dinamica religiosa viva posta effettivamente da Lui. Se dunque questa forma vien posta da Dio stesso, segno è che Egli se ne è presa l’iniziativa, provvedendo alla sua realizzazione, la quale importa una «storicizzazione», per il fatto che stiamo parlando di una forma che è Dio stesso (= l’Assoluto) incarnantesi nella storia come forma dinamica religiosa della realtà storica.

Quali siano i termini di questa incarnazione, e dunque la effettiva forma dinamica religiosa viva posta da Dio, è un dato storico positivo che la filosofia deve supporre già acqui­sito, ed utilizzare, come fondamentale dato di esperienza da cui partire per la sua riflessione metafisica, in funzione ontica.

Ma potremmo anche fare l’ipotesi che Dio non avesse provveduto a portare Egli stesso, attraverso una sua storiciz­zazione, tale forma dinamica religiosa. Potremmo anche fare una ipotesi peggiore: e cioè che l’umanità si rifiutasse tutta, o in parte, (e questa purtroppo non è più un’ipotesi…) di accettare tale forma, venendo così a mancare la «materia umana» recettiva di essa.

Nella prima parte dell’ipotesi, avrebbe dovuto provve­dere per detta forma, l’uomo stesso. Ad un certo punto della sua storia, infatti, come già oggi si è verificato, la realtà storica, appunto perché diventata realtà da costruirsi in funzione dell’Assoluto, non sarebbe più stata vivibile senza un Assoluto come forma dinamica religiosa, sì che l’uomo sarebbe a Lui ricorso, non più soltanto come all’Assoluto salvifico con la pratica del culto, ma appellando anche alla sua funzione ontica, che è quella propriamente che postula l’Assoluto come forma dinamica religiosa.

Per quanto riguarda la parte peggiore dell’ipotesi (che è purtroppo la tremenda realtà di oggi), il dato di fatto è

 

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fin troppo eloquente: per costruire la realtà storica al di fuori della forma dinamica religiosa cristiana, non c’è altra possibilità che porre a fondamento della sua costruzione un Assoluto «ateologico», qualunque esso sia. In ogni caso, la necessità dell’Assoluto come forma dinamica viva, «teolo­gica» o «ateologica», s’impone.

Passiamo ora all’uomo, come produttore di forma dina­mica viva. Delle tre condizioni necessarie a tale scopo, una

– quella della storicizzazione – rimane assicurata di per se stessa, nel senso che l’uomo non può esistere concretamente se non come persona storicizzata.

Ma restano le altre due, e cioè: che vi sia effettivamente la materia «uomo» capace di ricevere la forma dinamica viva e di farsene portatore; ed ancora – condizione prima e più determinante di tutte – che vi sia chi si assuma l’ini­ziativa di porre detta forma.

E’ un problema complesso, che coinvolge l’intera vicenda storica umana. E’ infatti necessario domandarsi: come, e quando, da parte dell’uomo può scattare la forma dinamica viva?… Evidentemente una possibilità c’era, e poteva anche apparire decisiva se fosse stata accolta e tradotta nella pra­tica. Ed è questa: supporre che un uomo, un qualche pio­niere, avesse afferrato la natura e la realtà vera della forma dinamica viva nonché dell’ente dinamico inseparabile dalla medesima, impegnandosi ad attuare l’una e l’altro.

Se si prescinde dall’iniziativa di Cristo come Uomo-Dio non pare tuttavia che l’ipotesi si sia verificata, né consta di un pioniere del genere nei secoli passati. Di fatto, era som­mamente improbabile (per non dire impossibile), aspettarsi una tale operazione dall’uomo, prima che ne fosse costretto da una forza maggiore, quale poteva essere la stessa forma dinamica religiosa divina, e la non prevista (e forse non vo­luta) trasformazione di un mondo statico in un mondo dina­mico.

Ma la stessa forma dinamica religiosa è rimasta impo­tente ad assorbire l’uomo come materia, e tanto meno a lan­ciarlo come produttore di forma dinamica viva. E’ rimasta impotente, a cominciare da quella che abbiamo chiamata «percezione metafisica primordiale dell’essere creaturale», implicante necessariamente l’Assoluto come forma dinamica

 

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religiosa, nella sintesi iniziale dell’umano nel Divino operan­tesi con la sua accettazione per fede (percezione metafisica e sintesi abortite in sede di cultura riflessa); ma, quel che più sorprende, è rimasta ancora impotente come forma dina­mica religiosa cristiana, innestantesi nella realtà dinamica del Corpo Mistico e dotata di per sè di una forza travolgente.

L’uomo, compreso il cristiano, non è stato travolto nem­meno da essa, se non in termini individuali e in espressioni transeunti: tanto meno è stato tradotto in produttore di forma dinamica viva e dunque in costruttore di ente dina­mico a forma viva. E’ prevalso il costruttore o il suddito della società, di indole statica, e per sua natura dissolvitrice della onticità della forma e dell’ente dinamico, in elementi di natura etica e teleologica.

Non restava che un’ultima risorsa, per tradurre l’uomo in produttore di forma e di ente dinamico vivi: quella del passaggio da un mondo statico, ad un mondo dinamico, operatosi inizialmente con l’avvento della rivoluzione indu­striale. Per mezzo di essa una autentica dinamicità, impli­cante la forma dinamica viva e l’ente dinamico umano, che non aveva potuto imporsi attraverso le vie dello spirito, si imponeva attraverso le vie della materia, a cominciare dal­l’azienda industriale. Questa infatti è il primo e permanente esempio di «ente dinamico fenomenico umano», che inizia la lunga catena a reazione delle trasformazioni storiche, fino alla risultante attuale di un mondo dinamico al posto di un mondo statico, con tendenza ad una sua unificazione universale.

Così l’uomo è diventato un produttore di forma dina­mica viva e di enti dinamici umani vivi, superando il vec­chio schema puramente societario, o forse, con più preci­sione, diventando vittima di tale superamento. Le prime vit­time infatti ne sono stati gli stessi iniziatori: gli industriali del vecchio liberalismo economico e politico, per loro natura conservatori, nelle cui mani, con la stessa azienda industriale esplodeva la bomba della più grande rivoluzione umana della storia (dopo quella divina cristiana), che è appunto la rivo­luzione industriale, eliminatrice a lunga scadenza di qual­siasi conservatorismo.

Il beneficiario più favorito invece, è rimasto il marxismo,

 

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che ha combinato a proprio profitto la dinamicità della rivo­luzione industriale e delle metafisiche diveniriste del tempo, a partire da quella hegeliana. La quale, senza la rivo­luzione industriale, si sarebbe forse anch’essa ridotta all’in­teresse di una nuova e più massiccia sofistica, dopo quella greca. Al contrario, con il rovesciamento realistico di essa, operato da Marx, una metafisica che negli intendimenti del suo autore doveva essere il più valido strumento della con­servazione, diventa la chiave della rivoluzione sociale e poli­tica e della stessa interpretazione dinamica rivoluzionaria del fatto industriale.

Ma inoltrarci in questi e simili argomenti sarebbe eva­dere dal nostro tema, poiché è passare ad una tematica storica ed esistenziale che, per quanto strettamente legata alla nostra tematica metafisica essenziale, le rimane formalmente estra­nea. Accontentiamoci pertanto di aver gettato una qualche luce sulla genesi della forma dinamica viva anche da parte dell’uomo. E passiamo al problema più immediatamente nostro, che è quello dell’identificazione della forma dina­mica viva in se stessa.

 

 

6 – Identificazione della forma dinamica viva

 

Non basta constatare il fatto della forma dinamica viva, e della sua genesi divina od umana. Per una sua piena giu­stificazione e comprensione metafisica bisogna ancora arri­vare alla sua identificazione. Con chi o con che cosa si identifica la forma dinamica viva?…

Possiamo anticipare la risposta a questa domanda, che del resto trova già implicita la sua motivazione in quanto detto sopra. Eccola: la forma dinamica religiosa viva del­l’EDUC e della realtà storica come EDUC si identifica con lo stesso Assoluto storicizzato. E la forma dinamica fenome­nica viva si identifica con la stessa persona umana storicizzata.

Assoluto e persona umana storicizzata, dunque, non se­gnano soltanto la genesi della forma dinamica viva, ma rap­presentano la forma dinamica viva stessa; si identificano con essa, attraverso una identificazione reale, che ovviamente non esclude la distinzione formale. Si tratta di capire le ra­gioni e soprattutto le modalità di questo fatto. Cominciamo dalle ragioni.

La forma dinamica viva, appunto perché viva, dev’es­sere essa stessa una realtà viva. E perché ente di secondo grado, non lo potrà essere se non viene costruita per mezzo di una realtà viva capace di valore formale e non soltanto materiale, identificandosi con essa. Ente di primo grado e di secondo grado infatti non si escludono. Che anzi, nel caso dell’ente di primo grado tradotto in forma viva di secondo grado, e viceversa, nel caso della forma viva di secondo grado derivante dall’ente di primo grado, non solo ente di primo grado e forma dinamica non si escludono, ma debbono addirittura identificarsi.

Ed invero, trattandosi di forma di secondo grado viva, sarà lo stesso ente di primo grado che dovrà costruirne e garantirne la vita. Il che è possibile soltanto alla condizione della sua identificazione con detta forma, e viceversa.

Bisogna dunque concludere che la forma dinamica viva si identifica rispettivamente con la realtà viva capace di valore formale: ossia con l’Assoluto (Dio), e con la persona umana. Dio e la persona umana quindi non spiegano soltanto la genesi della forma dinamica viva, ma spiegano la forma dinamica viva stessa.

Altra ragione può essere la seguente. La forma dina­mica viva è tale rispetto all’ente dinamico umano (metafi­sico, o semplicemente fenomenico), e cioè in rapporto al raggruppamento umano come materia umana viva.

Ora, è evidente che la forma ontica dinamica di tale materia viva dev’essere essa stessa una forma dinamica viva, pena l’inadeguatezza fra i due termini. E pertanto non potrà essere che la realtà viva superumana dell’Assoluto, o la stessa persona umana. L’una e l’altra infatti, in quanto storicizzate diventano parte dell’ente suddetto, come suo principio costitutivo, sua causa, in ordine alla funzione che compiono. Nell’ipotesi che questa sia precisamente la fun­zione formale, ne segue che la forma dell’ente dinamico umano sarà lo stesso Assoluto o la persona umana storiciz­zata, che come tali non potranno essere se non forma dina­mica viva.

Vista così la ragione dell’identificazione della forma

 

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dinamica viva con l’Assoluto o la persona umana storiciz­zata, passiamo ora a vederne le modalità che saranno senz’altro diverse, trattandosi dell’Assoluto, o della persona umana come forma.

Posta la modalità comune della storicizzazione, in quanto ed Assoluto e persona umana possono essere forma dell’ente dinamico solo se storicizzati diciamo che all’Assoluto (com’è ovvio) compete la modalità formale dell’Asso­luto, e alla persona umana la modalità formale della per­sona umana.

Quale sarà pertanto la modalità formale dinamica del­l’Assoluto? Sarà quella di essere tutto e totalmente forma, esclusa da sè la materia. Ciò importa una triplice implicanza: la donazione totale di sè; il dominio pieno ed assoluto della materia; la riduzione a «materia» della stessa forma dina­mica viva (ed a fortiori quella morta!) fenomenica. Le conse­guenze in ordine alla stessa persona umana saranno molte­plici e tutt’altro che irrilevanti. Ma cominciamo col darci conto della modalità e delle implicanze suddette.

Se l’Assoluto diventa forma dinamica, è evidente che non potrà diventarlo se non come Assoluto. A parte la sua storicizzazione, richiesta dalla forma in quanto «dinamica», e che almeno teoricamente poteva compiersi tramite diverse «economie» di salvezza, mentre consta che di fatto si è operata attraverso la «economia cristiana»; dobbiamo am­mettere che la modalità formale dell’Assoluto non può essere che modalità assoluta, e cioè quella di essere tutto e total­mente forma, sia pure attraverso le varianti ipotetiche di economie diverse.

La forma di secondo grado infatti è donazione di sè, nel senso che è il rispettivo ente di primo grado che si dona come forma. Ora, la sua donazione dev’essere consona alla sua natura. E dunque pura donazione di forma, trattandosi dell’Assoluto, poiché l’Assoluto non può donarsi come mate­ria. La sua modalità formale dunque, non può consistere che in una donazione totale di sè come forma: sarà tutto e totalmente forma, anche se non necessariamente «forma totale».

Questa infatti importa il grado massimo di comunica­bilità formale, che richiama il problema delle diverse econo­mie. Si verifica esso, nell’economia cristiana?… Se sì, ci tro­viamo di fronte alla forma dinamica religiosa cristiana non soltanto come una donazione totale, da parte di Dio: ma di fronte ad una donazione totale, anche come «forma totale».

Lasciando la questione ai teologi, ciò è già sufficiente ad illuminare la modalità formale dell’Assoluto, tanto più se teniamo presenti anche le altre due implicanze, che riguar­dano il dominio della materia, e la riduzione a materia della stessa forma dinamica fenomenica viva.

Per quanto riguarda il dominio della materia ossia della realtà umana esistenziale, da parte dell’Assoluto, non vi può esser dubbio. Per il fatto stesso che l’Assoluto è forma asso­luta e totale rispetto alla materia, il suo dominio pieno ed assoluto sulla materia è metafisicamente ineccepibile, come del resto conferma la sua stessa articolazione nei cinque tra­scendentali dinamici, ordinati appunto a garantirne e ad attuarne il dominio. L’immaginare infatti anche una minima aliquota della materia che evada dal dominio dell’Assoluto come forma, è cadere in una contraddizione in termini, co­munque poi vadano esistenzialmente le cose, trovandoci qui di fronte all’imperfezione e all’alea della realtà dinamica nonché al rifiuto da parte della libertà umana.

Per passare ora alla riduzione a materia della stessa forma dinamica viva fenomenica, dobbiam dire che essa è un puro corollario del dominio sopraddetto. Di fronte al­l’Assoluto, tutto l’umano è materia: anche la forma dinamica fenomenica viva, che, per quanto abbiam detto, viene a coincidere con la stessa persona umana storicizzata.

Ed è appunto qui che si pongono le conseguenze in or­dine alla persona umana. La più radicale di tutte, è che essa di fronte all’Assoluto come forma, non può porsi che come materia, diventando materia anche quando è forma dinamica fenomenica viva.

Per essere più esatti, aggiungiamo che la persona umana si trascende come materia alla sola condizione di diventare, e nella misura che effettivamente diventa, ricettiva dell’As­soluto come forma, e portatrice di essa. In una parola, nella misura che, come persona storicizzata, si traduce in «ma­teria formata».

Ma resta pur vero che la persona umana, e con essa la

 

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forma dinamica fenomenica viva che eventualmente ne venga posta, metafisicamente sono semplice «materia infor­me», al di fuori della sopraddetta funzione ricettiva e por­tante. Di. fronte al Divino come forma l’umano non è che materia, e «materia informe» finché, e nella misura, che non lo riceve come forma.

La persona umana dunque, e con essa anche la forma dinamica fenomenica viva, possono metafisicamente redi­mersi dalla loro condizione di materia, se partecipano del­l’Assoluto come forma. Ciò invita a fare una riflessione ulte­riore, che del resto introduce alla questione della modalità formale propria alla persona umana storicizzata.

Già conosciamo la distinzione tra Assoluto come forma dinamica religiosa originaria, e derivata. Essa si spiega pre­cisamente con la partecipazione suaccennata. L’Assoluto come forma originaria è Dio stesso, in quanto si storicizza come forma secondo l’economia prescelta. L’Assoluto come forma dinamica religiosa derivata (già lo sappiamo) è l’EDUC for­male che ne deriva: nell’economia cristiana, il Corpo Mistico stesso, visto qui nella sua funzione ontica di forma dinamica religiosa, rispetto alla realtà umana esistenziale.

Ora, l’EDUC formale, o cristianamente il Corpo Mistico come forma, è appunto tale, come sintesi del Divino quale forma originaria, con l’umano (che di per sè è materia), nella misura che questo si traduce effettivamente in materia for­mata, ricettiva e portatrice della forma originaria.

La forma in questione tuttavia, anche se così parteci­pata, rimane sempre il Divino, che obbedisce alla sua moda­lità formale, quale è stata prospettata senza distinguere tra Assoluto come forma originaria e derivata. Distinzione superflua in verità, trattandosi di modalità formale valida indi­stintamente per il Divino come forma originaria e derivata, purché quest’ultima sia intesa in funzione della prima.

La forma dinamica religiosa derivata invero, finisce col sottostare ad una dialettica ambivalente, che è quella della sua forma coincidente con il Divino come forma originaria, e a quella della sua materia o più precisamente della sintesi fra le due, che pone la materia come «materia formata».

Se pertanto ci appelliamo alla dialettica della forma, questa riconferma la modalità sopraddetta. Spinge anzi a

 

precisarla ulteriormente, nella direzione della pienezza del­l’Assoluto come forma, la quale ammette solo una propria divenienza esistenziale e non essenziale.

L’Assoluto infatti essenzialmente non può divenire nep­pure come forma dinamica religiosa, perché l’Assoluto non diviene: è. Non è possibile introdurre un divenire essenziale nell’Assoluto neppure come forma.

Il suo divenire come forma sarà dunque soltanto esisten­ziale, e si porrà nel divenire essenziale della sintesi dina­mica tra il Divino, come forma, e l’umano come materia, in quanto appunto è forma che essenzialmente già è nella sua pienezza, ma che dev’essere accettata e portata, ciò che importa un divenire esistenziale dell’Assoluto come forma , nell’essenza reale della sua sintesi con la materia.

Forma piena, forma pura, perfetta, assoluta, dunque, il Divino come forma. L’imperfezione e il divenire dell’ente dinamico non lo tocca se non nella sua esistenza storicizzata nel tempo, ossia nella sua sintesi dinamica con la materia. Questa sintesi tuttavia sarà dinamica non solo esistenzial­mente, ma anche essenzialmente, portando con sè tutta la imperfezione di ente dinamico e il conseguente impegno di crescita, sia come EDUC formale (come Corpo Mistico in senso cristiano), sia come forma dinamica religiosa derivata.

Se ora affrontiamo la modalità formale che compete alla persona umana storicizzata, non sarà difficile coglierne le linee essenziali, anche per contrapposizione alla modalità formale dell’Assoluto.

Come si è detto, anche la persona umana storicizzata può generare la forma dinamica viva identificandosi con essa: ma sarà solo forma dinamica viva fenomenica, poiché la for­ma dinamica a valore metafisico è privilegio dell’Assoluto, e da parte dell’uomo è solo partecipabile in senso recettivo e veicolare, sia pure nel gioco della sintesi reale ed essenziale rispondente alla realtà dinamica.

Quanto poi alla stessa forma dinamica viva fenomenica, la persona umana la genera e vi si identifica, non mai però come pura forma, né attraverso una donazione formale totale, né in un pieno dominio dell’ente, anche limitatamente all’ente a cui essa si riferisce.

E’ la condizione umana, alla cui legge l’uomo non può

 

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sottrarsi, neppure come forma dinamica viva. L’uomo non può donarsi totalmente che come materia, e non come forma. Questa limitazione deriva dalla stessa sua storicizzazione, che, mentre lo pone in grado di essere forma dinamica viva, lo limita precisamente come forma.

Ed invero, a differenza della storicizzazione del Divino, che lo afferma ed espande come forma, la storicizzazione dell’uomo lo afferma innanzitutto come materia dell’ente dinamico, sottoponendolo alla sua legge dell’accidentalità e transpersonalità, che colpisce precisamente la sua realtà e funzione di forma.

La persona umana storicizzata infatti, in quanto storiciz­zata è anzitutto materia. E’ l’ente dinamico di primo grado che si offre totalmente come «materia» per la costruzione dell’ente di secondo grado, il quale non utilizza che la per­sona diventata parte di se stesso, e dunque in questo senso diventata «materia spersonalizzata», sottoponendola a forme di natura accidentale ma a valore essenziale, in quanto pon­gono un nuovo ente veri nominis, che è il rispettivo ente dinamico.

La persona così storicizzata però non è destinata né a diminuirsi né a restare materia passiva. Sarà recettiva e portatrice di forma. E, limitatamente alla sua capacità ed iniziativa, potrà anche diventare produttrice di forma, com­presa la forma dinamica viva con la quale si identifica. In altre parole, se in funzione di materia in qualche modo si spersonalizza, in funzione della forma si «transpersonalizza», arricchendo e trascendendo se stessa.

La persona umana s’identifica con la forma dinamica viva che produce, ma vi si identifica come persona stori­cizzata, ossia, innanzitutto, come materia limitatrice della forma. E’ tuttavia per la persona una benefica limitazione, nel senso che, senza di essa, mai la persona si tradurrebbe in forma dinamica viva. Si esaurirebbe nell’affermare se stessa, nella sterilità di un personalismo antirealistico ed antidinamico, e dunque antistorico, per non dire potenzial­mente anarchico, sia in senso umano che cristiano.

Ed infatti, mai la persona affermata nella sua autonomia potrà essere forma attualizzante ed unificatrice della realtà storica, a cominciare dall’attuazione ed unificazione delle

 

persone umane storicizzate. Sarà piuttosto la radice, metafi­sicamente almeno, di un individualismo, insuperabile per via semplicemente etica (tale rimane anche la via del perso­nalismo comunitario), il cui sbocco sarà la negazione della persona storicizzata e come materia e come forma. La nega­zione dunque della stessa realtà storica come realtà meta­fisicamente ossia autenticamente dinamica, tornando a quel medioevo, che in nome dell’autonomia della persona umana si vorrebbe così drasticamente ripudiare e superare.

Ma veniamo alle limitazioni della persona umana come forma dinamica viva, derivanti innanzitutto dalla sua stori­cizzazione come materia. Appunto perché la persona umana si storicizza anche (e per prima cosa) come materia, non potrà essere una forma pura. E’ la sua prima limitazione. E perché

forma in combinazione con la materia, e per di più forma di secondo grado come emanante dalla persona storicizzata, ‘ sarà forma dinamica, ossia diveniente, non solo esistenzial­mente (come avviene per il Divino come forma), ma essen­zialmente. Ossia, sarà la stessa forma dinamica umana viva che dovrà farsi in se stessa, appunto per realizzarsi ancora in sè considerata, come una forma meno imperfetta e sem­pre più adeguantesi alla propria materia.

Ora, una forma che diviene essa stessa essenzialmente, non potrà essere che una forma accidentale, poiché una forma-sostanza non diviene, non può divenire. E’ un’altra limitazione, rispetto al Divino come forma che è e rimane sostanza, anche se entra anch’esso in composizione con la materia a modo di forma accidentale (sempre però a valore essenziale).

Ed è una limitazione questa, dell’accidentalità essenziale, che ne porta con sé altre, derivanti tra il resto dalla conse­guente transpersonalità. Dinamicamente infatti, la forma accidentale è anche transpersonale, nel senso che la forma dinamica compete alla persona umana storicizzata, che si trascende, o viene trascesa, come parte di un tutto. La forma dinamica viva quindi non sarà più monopolio di nessuna persona singola. Ciò tuttavia non soltanto non la limita, ma la potenzia, nel senso che potrà venire integrata da altri produttori di forma, e per di più in linea coerente ed univoca col rispettivo ente dinamico, la cui dialettica diventa orienta

 

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trice della propria forma dinamica viva, venendo essa stessa orientata dalla dialettica dell’EDUC (concretamente per il cristiano dall’EDUC cristiano), in cui necessariamente qual­siasi forma dinamica si inserisce e a cui non può sottrarsi.

Ciò spiega pure come la forma dinamica umana viva non possa neppure vantare un monopolio sulla sua rispettiva materia, per la ragione che deve condividerlo, o più esatta­mente cederlo, allo stesso EDUC che sarà cristiano o anti­cristiano.

Chiudiamo così queste considerazioni sulla forma dina­mica viva, identificantesi con l’Assoluto o con la persona umana storicizzata, attraverso modalità formali loro proprie, che si rifletteranno evidentemente anche nella traduzione dell’EDUC in SD, o semplicemente dell’ente dinamico feno­menico umano nel rispettivo organismo dinamico, che di per sè sarà anch’esso di ordine fenomenico.

Prima di trarre le ultime conseguenze per la traduzione suddetta, tentiamo ancora, se possibile, una qualifica metafisica delle forme dinamiche vive in questione.

 

7 – Qualifica metafisica della forma dinamica viva

 

Per tale qualifica metafisica, è indispensabile aver pre­senti i termini della questione. Si tratta della forma dina­mica viva, che si riferisce all’ente dinamico umano, e non già infraumano (tecnico od artistico). Questo infatti, anche se l’arte e la tecnica sono umanissime, fino ad essere inter­pretate come la quintessenza del moderno umanesimo, viene attuato da una forma dinamica morta, nel senso che non si identifica né con l’Assoluto né con la persona umana storiciz­zata, non identificandosi in tal modo con la vita a valore formale, pur restandone uno dei prodotti più nobili e significativi.

Fissandoci dunque sulla forma dinamica viva, teniamo presente che essa appartiene all’ente dinamico umano, e si identifica rispettivamente con l’Assoluto, o con la persona umana storicizzata, secondo che si tratti dell’EDUC o sem­plicemente di un ente dinamico fenomenico umano.

 

Tale identificazione della forma rimane decisiva, sia per fondare e giustificare la forma dinamica viva, sia per capirne

 

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le modalità e spiegare esaurientemente la presenza e la parte dell’Assoluto e della persona umana nei rispettivi enti dina­mici. L’Assoluto infatti non vi può essere presente che come forma. E la persona umana ne è parte anzitutto come mate­ria; ma deve pure assumersi in qualche modo (se necessario, tramite qualche particolare «storicizzazione») l’iniziativa e la funzione di forma, diventando essa stessa «forma».

Ciò posto, ecco la questione: come deve metafisicamente qualificarsi la forma dinamica viva?… Quali ne sono le carat­teristiche metafisiche dinamiche precise?…

Parliamo di qualifica metafisica dinamica, e di caratte­ristiche metafisiche dinamiche. Prescindiamo quindi dalle qualifiche o funzioni comuni a qualsiasi forma metafisica, come ad esempio la funzione attualizzatrice della materia o unificatrice del rispettivo essere. Esse rimangono ovviamente presupposte.

Ci riferiamo invece alle qualifiche di competenza della forma dinamica viva come tale, e per di più alle qualifiche metafisiche di essa, prescindendo perciò dalla questione della qualifica di forme dinamiche vive singole, prese nella loro individualità. Tale questione infatti non compete più alla metafisica della realtà storica, ma appartiene alla sua appli­cazione ad enti dinamici singoli o a loro particolari cate­gorie, quale sarebbe il caso dell’azienda industriale, di un istituto religioso, o, per fare un esempio meno limitato, della educazione come realtà educativa, la quale come realtà storica è realtà dinamica «ente dinamico» anch’essa.

Quali saranno pertanto le qualifiche metafisiche della forma dinamica viva, presa in se stessa?… Per rispondere a questa domanda dobbiamo sapere anzitutto donde attingere dette qualifiche.

Ora, trattandosi di forma dinamica viva, e dunque della forma dell’essenza e dello stesso ente dinamico umano (sia esso fenomenico, o metafisico), ne segue che le sue caratte­ristiche e quindi la sua qualifica va tratta dalla sua stessa funzione di forma dinamica viva rispetto a detta essenza ed ente dinamico.

Come risulta tale funzione?… Essa si può riassumere nelle quattro parole seguenti: produttività, costruttività, economicità, e organicità: da intendersi non già in senso impren-­

 

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ditorïale o amministrativo, ma in senso squisitamente metafisico.

Si tratterà pertanto di una produttività ontica,di una costruttiva metafisica (e non solo fenomenica),di una economicità come espressione di dinamicità essenziale,e di una organicità come funzione attualizzante l’ente dinamico uma no stesso,in organismo dinamico.

Questa è la funzi.one della forma dinamica vi,va,quale viene postulata dalla rispettiva essenza dinamica ed ente dinamico umano.Questa dunque è la sua qualifica metafisica,implicante le caratteristiche suddette.

Che sia così veramente,basta riappellarsi all’ente dinamico,per convincersene..Esso è attivismo per essenza,non però attivismo a vuoto ma metafisicamente produttivo. E tale attivismo ha appunto la sua radice nella forma dinamica, che è forma produttiva per eccellenza,destinata com’è ad attuare l’ente dinamico stesso,producendolo,e ad alimentare la sua specifica funzione produttiva.

Né si pensi ad una produttività di ordine puramente materiale,poiché esiste anche I duttività spirituale,a cominciare da quella religiosa ed ascetica,la quale impegna nella «produzione» persino una comunità di anime contemplative,ente dinamico umano anch’essa.

La produttività viene integrata dalla costruttività,il cui riferimento sarà né più né meno che la costruzione dell’EDUC,alla quale nessuna forma,neppure quella fenomenica può sottrarsi.

.Ed è appunto una costruttività che nasce dalla forma dinamica non solo produttiva nel senso so raddetto ma anche costruttiva e dunque aperta all’EDUC anche come forma fenomenica,e ordinatrice del rispettivo ente dinamico alla costruzione di esso.

Mentre pertanto la produttività di per sè rimane chiusa. nel rispettivo ente e funzione produttiva, la costruttività invece proietta la stessa produttività nella costruzione dell’EDUC,sottoponendola alla sua dialettica.

Forma produttiva e costruttiva,dunque,quella dell’ente dinamico umano anche fenomenico.E’ anche questo un affermare e un promuovere il dominio dell’Assoluto,come suprema forma costruttiva della realtà storica,che logicamente si sovrappone ad ogni altra forrna,convogliandola,senza vio-lentarla,al proprio servizio.

E appunto perché forma produttiva e costruttiva,la forma dinamica viva sarà anche «economica» nel senso del razionale contemperamento ed amministrazione di ogni elemento che essa implica o ne viene implieato: si tratti di persone,o cose,o azioni,e della stessa sintesi tra  produttività e costruttività,ordinata ad assicurare la massima efficienza della costruttività stessa; ed efficienza ben lontana dall’efficientismo, perché non già di ordine empirico, ma ontologico-metafisico-dinamico.

Quella della economicità,che così intesa,diventa la più razionale espressione della dinamicità essenziale alla forma e all’ente dinamico,rappresenta un impegno e una responsabilità delicatissimi,possibili ad assolversi alla sola condizione di penetrare e possedere una sufficiente conoscenza metafisica realistico-dinamica delle cose direttamente interessate sì da coglierne la dialettica,adeguandola di continuo alla dialettica costruttiva del tutto,che coincide in ultima istanza con l’EDUC.

Ma la caratteristica più importante della forma dinamica viva,che qui ci interessa maggiormente,e che la qualifica nel modo più inconfondibile,è quella della organicctà,per , cui la forma dinamica viva deve qualificarsi ed è veramente, forma organica.

Diciamo forma «organica»,e non forma «personale»,anche se essa nel caso nostro può venir generata dalla persona umana..La forma infatti si specifica non già dalla sua genesi ma dalla sua funzione ontica. .L’anima nostra,ad esempio,si specifica onticamente in forma «umana»,e non già geneticamente in forma «divina», nonostante la sua immediata creazione da parte di Dio.

Così è per la forma dinamica viva,che è forma «organica» anche se deriva dalla persona umana storicizzata e con essa si identifica. Chiamarla forma «personale» sarebbe non solo un errore metafisico,ma addirittura una contraddizione in termini,perché la persona in quanto tale si nega come forma dinamica,e si afferma come persona autonoma.

Questa dell’organicità è la qualifica più propriamente ontica della forma dinamica viva,perché specificata dalla

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sua funzione ontica, consistente nel porre l’essere, che sarà precisamente l’organismo. «Forma organica» quindi, significa forma producente l’organismo; significa la forma propria dell’organismo, della cui essenza ed essere, è il principio costitutivo determinante.

Ovviamente si tratterà di forma organico-dinamica, e di organismo dinamico, poiché la forma organica a cui ci riferiamo è la stessa forma dinamica viva. Ma sempre forma organica vera, e vero e proprio organismo, come traduzione dell’ente dinamico fenomenico umano in organismo dina­mico fenomenico, e dell’EDUC in SD.

 

8 – Forma viva e organismo

 

Siamo così giunti alla traduzione dell’EDUC in SD, e rispettivamente dell’ente dinamico fenomenico umano in organismo dinamico fenomenico. Traduzione invero già scon­tata, per quanto già è stato detto. Ma da esplicitarsi egual­mente, per vederne l’intero meccanismo, e capire che si tratta di una pura esplicitazione dell’ente dinamico umano.

Richiamiamo innanzitutto che, come è possibile un solo ente dinamico a valore metafisico vero e proprio, ossia l’EDUC, mentre gli altri rimangono di per sè enti dinamici fenomenici; così è possibile un solo organismo dinamico a valore metafisico, il quale è il SD. Gli altri organismi dina­mici saranno di per sè soltanto fenomenici.

Ciò posto, diciamo senz’altro che la legge della loro tra­duzione è comune, dipendendo essa unicamente dalla forma dinamica viva. E possiamo così universalmente formularla, per passare poi alla sua formulazione più speciale: dove c’è forma viva, c’è organismo; e più particolarmente: dove c’è forma dinamica viva, c’è organismo dinamico.

Poiché non sappiamo ancora che cosa sia metafisica­mente l’organismo (lo vedremo nel terzo volume), la legge metafisica in questione rimane per ora come un postulato, a valore ineccepibile tuttavia. Posto infatti il primo termine, segue necessariamente il secondo, anche se per ora questo secondo termine non lo conosciamo ancora sufficientemente.

Ed invero, che la forma viva produca un organismo vivo, è un dato di esperienza evidente, nell’ambito della natura

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fisica. Piante ed animali (compreso l’uomo, nel suo essere fisico), sono organismi. E lo sono appunto perché possiedono una forma viva, ossia un’anima, dalla quale vengono posti precisamente come organismo. La forma infatti è destinata ad entrare in sintesi ontica con la rispettiva materia. Ma una forma viva, appunto perché è viva, entrando in sintesi con la sua materia produce ciò che chiamiamo organismo.

Un fatto analogo dovrà necessariamente verificarsi anche nel caso della forma dinamica viva, purché si tratti di una vera forma dinamica viva.

Per esser tale, come si è constatato, essa deve identifi­carsi con l’Assoluto e la persona umana storicizzata, preci­samente come forme.

Con tale identificazione viene assicurata la forma reale viva, che sarà anche dinamica, per la storicizzazione del­l’Assoluto e della persona umana stessa, in quanto diven­tano «forma» solo storicizzandosi, ponendosi così ad un tempo come forma dinamica.

Anche per l’organismo dinamico, quindi, appelliamo ad una forma reale dinamica viva, che è ben diversa dalla sem­plice idea-progetto che si traduce in forma dinamica morta dell’ente dinamico fenomenico infraumano; come si distin­gue dalla persona come ente di primo grado, e dallo stesso Assoluto non storicizzato.

La persona umana come ente di primo grado infatti, non solo non è forma dinamica viva, ma ne rimane la più radicale negazione, frustrando l’organismo dinamico e lo stesso ente dinamico come tale.

Posta dunque una vera forma dinamica viva, non resta che concludere in favore dell’organismo dinamico, in virtù della legge metafisica suesposta. Non è possibile inibire il passaggio dall’EDUC al SD, o dal semplice ente dinamico fenomenico umano all’organismo dinamico fenomenico, se non negando detta forma dinamica viva. A sua volta, la negazione di questa non è possibile senza la negazione dello stesso ente dinamico umano, per la ragione che la forma dinamica viva non è altro che la forma dell’ente dinamico umano, e l’organismo dinamico non è che la esplicitazione metafisica dello stesso ente dinamico umano, col quale si identifica pienamente.

 

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Se vogliamo in proposito permetterci un accenno cri­stiano, sempre però di natura ontica e dunque ad interesse puramente metafisico, possiamo aggiungere il seguente ri­lievo. L’arbitraria negazione della forma dinamica viva con­durrebbe alla negazione ontica (non diciamo dogmatico-sal­vifica) dello stesso Corpo Mistico, precludendo ogni possibile via per una sua interpretazione analogica per mezzo del SD.

Onticamente, infatti, il Corpo Mistico rappresenta il SD religioso cristiano, posto da Dio stesso nella storia. Sulla base positiva della Scrittura, che nella realtà del Corpo Mistico propone una sintesi ontica e salvifica dell’umano nel Divino,l’interpretazione metafisica di esso come SD diventa ovvia, essendo il Divino «forma viva» (in linguaggio teologico: «quasi anima»), e l’umano «materia»; per di più, forma e materia dinamiche, perché forma e materia della realtà storica per eccellenza quale è appunto il Corpo Mistico stesso.

In riferimento all’ente dinamico fenomenico umano, l’organismo dinamico fenomenico che s’impone più immedia­tamente come dato di esperienza, sì da riscuotere maggior­mente l’attenzione metafisica, è senza dubbio quello del­l’azienda industriale: non solo raggruppamento umano, non solo officina, non solo società «commerciale», ma, ontologi­camente, il tipico ente dinamico fenomenico umano che tutto sintetizza, traducendosi automaticamente in organismo dina­mico, e funzionando anche sperimentalmente come tale (a parte l’incomprensione e le prevaricazioni che l’accompa­gnano).

Neanche l’azienda industriale, che pure si è imposta di forza come organismo dinamico scatenando la trasforma­zione di un mondo statico in un mondo dinamico, è stata compresa nella sua realtà vera: ragione non ultima del suo permanente travaglio interno e sociale.

Viene da chiedersi, di fronte ad una realtà e ad una sua interpretazione abbastanza ovvia, come mai il Corpo Mistico, sempre rispettando il suo «Mistero», non sia stato ontica­, mente riconosciuto come SD, e la stessa azienda industriale, che pure viene promossa e viene subita da oltre un secolo

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e mezzo, rimanga ignorata nel suo vero essere[22]. A parte le ragioni storiche oggettive, la ragione sogget­tiva – fortissima anch’essa – potrebbe essere questa: la « materia umana» è una materia fondamentalmente restia ad accogliere l’organismo dinamico e con esso la forma dina­mica viva che lo pone, perché ciò equivarrebbe, sotto molti rispetti, a rinnegarsi, e a perdere la propria autonomia.

La «materia umana» di cui si parla, infatti, altro non è che la persona umana come ente di primo grado, portata per istinto a difendersi dalla forma dinamica viva che la soggioga, o in cui dovrebbe tradursi «transpersonalizzan­dosi».

Per questo, il Corpo Mistico non ha trovato nel mondo il «raggruppamento umano» disposto e capace di viverlo on­ticamente come SD. E’ prevalsa a suo riguardo la «società n; prevale oggi la « comunità»: tutte cose perfettamente conci­liabili con un personalismo (conscio od inconscio) ad oltranza, come estrema difesa contro l’organismo dinamico e la forma dinamica viva, che rischiano di travolgere non già la per­sona umana, ma il personalismo che dall’uno e dall’altra si difende. In propria venit, et sui eum non receperunt: lo si può ripetere forse con verità a proposito del Corpo Mistico come SD. Se questa accettazione fosse avvenuta tempestiva, e in modo adeguato teoreticamente é praticamente, non è presunzione il dire che il corso della storia «ecclesiale» e «profana» sarebbe stato un altro.

Ma forse era necessario piegare l’uomo come raggruppa­mento umano ad accettarsi come materia e forma dinamica, passando attraverso la costrizione della a materia bruta». E’ ciò che è avvenuto in seguito alla rivoluzione industriale.

Questo non toglie il fatto altrettanto evidente, che il cristiano singolo, e in modo specialissimo il Santo, si sia in ogni tempo immerso come «materia formata», ed anzi come produttore di nuova forma dinamica, nella realtà del Corpo Mistico come SD religioso cristiano diventandone «persona-cellula». Ciò è stato e continua ad essere del tutto inevita­bile, poiché non si è cristiani veri, se non nella misura che

 

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ci si «storicizza in persona-cellula» del Corpo Mistico di Cristo.

Ma questo fatto così rivoluzionario e decisivo, ha potuto anche consumarsi nel rapporto dell’anima singola con lo Spirito, senza tradursi in una riflessa e visibile realtà esisten­ziale collettiva, tale da dare l’avvio anche nell’ambito della realtà storica concreta ad un sistema di organismi dinamici cristiani, vorremmo dire a portata anche sperimentale.

Come già è stato detto, in tale ambito è prevalsa in passato la categoria «societaria», e prevale al presente l’offensiva personalista, ultima roccaforte di difesa dell’uomo anzi del cristiano, contro la dialettica superorganico-dina­mica del Corpo Mistico stesso.

 

9 – La catena «pseudo»

 

Quanto finora è stato esposto, rimane vero, in coerenza con una interpretazione realistico-dinamica della realtà sto­rica e delle questioni esaminate. Ma, che dirne, al di fuori

?’ di tale interpretazione… Più ancora, che dirne, nell’ambito di una interpretazione della realtà storica «antirealistica», anche solo per la ragione di rifiutarne l’elemento realistico fondamentale, che resta sempre l’Assoluto come Assoluto vero, coincidente con il Divino vero?…

La risposta a questa domanda è del più alto interesse, per giudicare della situazione reale della cultura e dell’im­pegno vitale e costruttivo della vita di oggi. Per un giudizio siffatto, è necessario distinguere fra l’essere così come real­mente è, a cominciare dall’essere statico (in senso trascen­dente, include Dio stesso, come «Colui che è»), e il «dive­nire attivistico» come tale.

La cultura e la tensione costruttiva moderna ha sepa­rato nettamente i due termini a partire dalla stessa metafi­sica che li fonda, poiché – è inutile volerlo smentire o ignorare – in ultima istanza rimane la metafisica, la chiave fondamentale della cultura e di qualsiasi impegno di vita. E la enorme carenza della cultura e della vita moderna è innanzitutto carenza metafisica: più precisamente, carenza di una adeguata e funzionale metafisica vera.

Metafisicamente, il rifiuto dell’essere equivale al rifiuto

 

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di Dio. Una metafisica che riduca l’essere al puro divenire, è già una metafisica atea, almeno potenzialmente. Ed è questo il gorgo metafisico, scavato all’umanità dalla filosofia mo­derna, per il solo fatto di essersi rinchiusa gnoseologicamente nel soggetto. Ma questo sarebbe stato ancora il minor male, perché destinato a naufragare da se stesso nel proprio nichilismo.

La gnoseologia soggettivistica della filosofia moderna, invece, ha portato, sia per via idealistica che positivistica, alla riduzione dell’essere ad un puro divenire attivistico, creando l’illusione dell’autocreazione dell’Assoluto, identifi­cato, in un modo o nell’altro, con l’uomo stesso. Ed è questa una illusione che piace all’uomo moderno, poiché si risolve in un ateismo che almeno apparentemente non è soltanto una negazione fallimentare, ma autoliberazione, autoafferma­zione, autocostruzione, autosuccesso, positiva affermazione dei destini dell’uomo e del mondo.

Tutto questo nondimeno sarebbe rimasto un sogno, se l’uomo moderno non avesse trovato la chiave, diciamo meglio non avesse potuto beneficiare contemporaneamente dei due fattori inseparabili, della messa in opera del suo sogno pazzo, che, come già abbiam detto, sono rappresentati dalla rivolu­zione industriale e dalle metafisiche riducenti l’essere a divenire «attivistico».

Tale riduzione metafisica, infatti, sganciando il divenire attivistico dall’essere, la cui dialettica riporterebbe fatal­mente ad una riaffermazione teistica, fino al suo sbocco fi­nale in una metafisica realistico-dinamica e perciò teistica anch’essa e anzi addirittura cristiana; ha garantito all’uomo moderno le due condizioni esistenziali che pare gli stiano maggiormente a cuore: la liberazione da Dio da una parte, e dall’altra la spinta creatrice, attraverso la costruzione della realtà storica. A questo si è aggiunta la condizione della loro pratica possibilità di realizzazione, offerta dalla rivoluzione industriale e tecnologica.

Si tratta a dir vero di un sogno che non è affatto priva­tiva dell’uomo moderno, ma che fa parte piuttosto del pa­trimonio dell’uomo stesso, a partire dal peccato originale. La differenza tuttavia sta in questo: l’uomo dei secoli passati si trovava prigioniero di se stesso e della natura (prima

 

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ancora che di Dio), preso com’era nelle strettoie di una cul­tura e di una civiltà possiam dire materialmente rudimentali. L’uomo moderno invece beneficia di una doppia liberazione: quella della rivoluzione industriale, che lo libera dalle stret­toie dell’artigianato e di una civiltà ancora artigianale; e quella di una metafisica che, riducendo l’essere al divenire attivistico, lo libera praticamente [quand’anche non teoreti­camente) da Dio stesso.

A noi interessa quest’ultima liberazione, e non tanto da un punto di vista storico-esistenziale, quanto dal punto di vista metafisico.

Metafisicamente, il dinamismo essenziale della realtà storica è purtroppo sganciabile dall’essere e conseguente­mente dall’Assoluto vero, sì da potersi ipostatizzare appunto come un assoluto divenire attivistico, beneficiario in pieno della incomprimibile e travolgente dialettica di una realtà storica, diventata anche esistenzialmente dinamica, e mobi­litata come tale.

E questo è appunto il nuovo Assoluto che le moderne metafisiche diveniristiche hanno offerto all’umanità di oggi, e che essa, sia pure entro sistemi diversi, attivisticamente serve, e adora. Diciamo «attivisticamente», poiché, pel fatto stesso che la odierna umanità è sempre più aliena dal sacro e dunque dal rito, la sua «adorazione» e il suo c servizio» al nuovo Assoluto, è religiosamente fatto di vita, di azione, di fede ideologica che attraverso la cultura le permea; e di tensione costruttiva, che dialetticamente richiama in causa lo stesso Assoluto, possiam dire istante per istante, fino alle espressioni più capillari dell’intero vivere e agire umano[23].

 

In verità, non si costruisce un nuovo mondo e una uma­nità nuova, che in funzione di un Assoluto, il quale se non è il vero, dovrà essere fatalmente un falso Assoluto. Ma sem­pre Assoluto come alfa ed omega della costruzione, poiché costruire un mondo e una umanità nuova è una tipica ope­razione creatrice, che come ogni creazione è di stretta com­petenza dell’Assoluto, e di chi ne accetta l’azione costruttiva.

 

 

Si entra così in collaborazione con esso, accettandone il domi­nio, e adorandolo e servendolo con la propria fede e azione, che diventerà costruttiva soltanto in funzione di detto Assoluto.

Se torniamo pertanto alla nostra domanda iniziale, dob­biamo rispondere che, indipendentemente dalla interpreta­zione metafisica realistico-dinamica della realtà storica, il dinamismo essenziale di questa appare già in fase di piena mobilitazione, scatenando la sua dialettica costruttiva (o di­struttiva) in funzione dell’Assoluto che ne rappresenta la stessa chiave metafisica.

Perché mai ciò si è verificato a beneficio del falso Asso­luto, anziché dell’Assoluto vero?… E’ un interrogativo ango­scioso che fa pensare, e che, per il mistero che indubbia­mente racchiude, dobbiamo rimettere ad una teologia della storia o ad una analisi storica che esorbita dal nostro compito.

 

Basti qui prendere atto della situazione di fatto, dal punto di vista della metafisica della realtà storica. Da questo punto di vista, il fatto si risolve a completo favore del falso Assoluto, ossia dello pseudo-Assoluto. Questo infatti benefi­cia di una sua metafisica dinamica della realtà storica, come premessa indispensabile della mobilitazione di essa a suo favore. L’Assoluto vero invece, dobbiamo ammettere che no. Una metafisica dinamica della realtà storica a favore di esso deve ancora esser fatta, e se viene tentata in questo nostro raggio, sarà ancora, probabilmente, oggetto di pura disputa accademica o di inconcludenti polemiche.

Da parte dei filosofi cristiani forse si dimentica troppo facilmente (o addirittura si ignora o si conosce solo verbal­mente) quella famosa glossa di Marx a Feuerbach, dove dice che finora i filosofi hanno interpretato il mondo, mentre è venuto il tempo di cambiarlo. Eppure Cristo è venuto non già per farci contemplare il mondo, ma per salvarlo e per cambiarlo. Più esattamente forse: è venuto a salvarlo, cam­biandolo. Metafisicamente infatti (e anche teologicamente), la funzione salvifica passa attraverso la funzione ontica, che costruisce l’uomo nuovo, un mondo nuovo. In senso cristiano, evidentemente. E dunque a partire da una cristiana metafisica dinamica della realtà storica, e conseguentemente del­l’uomo e della realtà umana stessa.

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Per il momento, tuttavia, si deve ammettere con tri­stezza, che il dinamismo costruttivo della realtà storica è stato metafisicamente piegato a profitto dello pseudo-Asso­luto il quale ha avvolto nelle proprie spire la costruzione di essa. Si è venuta così a sostituire di un colpo solo la fun­zione ontica e salvifica dell’Assoluto vero che è quello cri­stiano, con la funzione pseudo-ontica e pseudo-salvifica del­l’Assoluto «ateologico» che nella pratica è l’Assoluto ateo.

Evangelicamente, non si può negare che ancora una volta i figli della luce sono stati colti di sorpresa. Una sorpresa tragica, che metafisicamente dura da oltre un secolo e che rappresenta, volere o no, una delle più magistrali rivincite di Satana e dell’Anticristo. La catena metafisica degli «pseudo», infatti, che lega l’umanità al suo servizio, è estre­mamente compatta e tremendamente efficiente, come cultura e come vita ed azione: a partire dallo pseudo-Assoluto, per passare alla sua funzione pseudo-ontica e pseudo-salvifica, nonché ad uno pseudo-EDUC coi suoi pseudo-TD, e a uno pseudo-superorganismo; per passare poi a uno pseudo-uma­nesimo, e a pseudo-valori umani, che, anche se a titolo di equivocazione di valori veri, invadono ormai tutti i campi.

Il peggio si è che, in base alla stessa irrilevanza meta­fisica dell’essere, rifiutato già a partire dall’Assoluto come divenire attivistico, l’accentuazione massima vien posta sul­l’azione, sulla «prassi», e dunque sull’impegno costruttivo in qualsiasi settore, a cominciare da quello dottrinale e cul­turale, come condizione indispensabile dell’azione stessa. Ciò non soltanto non limita la efficienza della catena «pseudo», ma in qualche modo la potenzia per la stessa concentra­zione sull’impegno attivistico, senza la distrazione di una «metafisica statica».

La dialettica dei contrari infatti rimane identica anche nel caso della catena che fa capo allo pseudo-Assoluto; e il dinamismo della realtà storica, peggio se concentrato su un attivismo combinato con l’assenza di un dinamismo reali­stico-dinamico e favorito da tale assenza, rimane a completa disposizione della catena «pseudo».

Di qui ancora l’errore strategico e tattico da parte cri­stiana, in quest’ultimo secolo di realtà storica diventata essenzialmente ed esistenzialmente dinamica: l’essersi fer­mati a confutare (o a condannare) gli errori che la accom­pagnavano, e a cercare di risanarla eticamente, anziché lanciarla in un dinamismo realistico-dinamico cristiano.

Una concezione dinamica infatti è una corrente di vita e di azione teoretica e pratica, che non si vince se non con il lancio teoretico e pratico di una concezione dinamica con­traria. In caso diverso, nonostante tutte le buone ragioni e gli eroismi a servizio del vero e del bene, se questi riman­gono «statici» sono destinati ad essere battuti. Il dinamico batte lo statico, perché lo statico pur essendo per ipotesi nel vero, rimane una verità astratta ed inerte; mentre il dina­mico, anche se falso diventa un errore operativo che appunto perché è dinamico ha dalla sua parte il prepotente ed incom­primibile dinamismo della realtà storica.

 

10 – Verso un’essenza superorganico-dinamica cristiana

 

Senza volerlo, abbiamo sfiorato in più di un punto il problema esistenziale della realtà storica, ed il problema ope­rativo in cui esso sfocia automaticamente. Dobbiamo tornare al nostro tema essenziale.

Nessun male tuttavia per tale digressione, permessaci a ragion veduta. Si trattava infatti di prendere coscienza di due cose in un procedimento metafisico, che appare sempre più solidale ed impegnativo con un tutto, di natura teoretica e pratica ad un tempo. Le due cose erano le seguenti: la presenza operativa di una metafisica della realtà storica in questo nuovo mondo in cui viviamo, e il suo incomprimibile sbocco in un impegno costruttivo.

Parlare della presenza operativa di una metafisica, si­gnifica dire che essa non si esaurisce né si perde lontana­mente nell’accademia, ma diventa una immediata ragione di vita e di azione, la cui portata si commisura alla stessa realtà storica e alla dialettica costruttiva che emana dall’essenza di essa, sia quella vera, sia quella falsa. Tanto, che parlare del suo sbocco in un impegno costruttivo del mondo, può appa­rire quasi una tautologia.

E può esserlo veramente, se non da un punto di vista verbale, per lo meno da un punto di vista dialettico: la metafisica della realtà storica sbocca necessariamente, anzi si

 

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risolve già di per sè in una metafisica dell’azione e più pro­priamente della prassi, diventando azione essa stessa, come anima, giustificazione, luce e sostegno di quella.

Ed è proprio questo che potrebbe indurre qualcuno (o forse molti tra i cosiddetti uomini di azione, anche in campo spirituale ed apostolico), a credere che dunque l’unica cosa necessaria sia l’azione, e non già la metafisica, che si con­tinua a concepire come l’antitesi più radicale di questa.

Niente di più errato, quando si pensi che l’agire umano di oggi, attraverso le sue fondamentali espressioni di agire collettivo, dalla tecnica, alla politica, alla stessa azione apo­stolica, e tanto più se ci riferiamo a quell’agire totale e uni­tario da noi chiamato prassi come vita-azione dell’EDUC e (come vedremo) del SD; non è più possibile senza una sua fondazione e una sua concomitante elaborazione scientifica fino a raggiungere i vertici della metafisica, specie quando si debba fondare, razionalizzare e mobilitare quel tipo su­premo di azione che è la prassi.

Tanto, che la stessa tecnica si riscopre sempre più aggan­ciata alla metafisica per poter comprendere se stessa e poter giustificare una propria funzione umanistica e cosmica. Per non dire del suo fatale soggiacere alla ideologia (appunto come «mobilitazione operativa per fede» di qualsiasi «filosofia della prassi»), la quale diventa in ultima istanza l’arbi­tra della tecnica stessa e del suo uso per il bene o per il male, al di là della morale e dello stesso diritto naturale.

Si tratta infatti di costruire – cristianamente o anti­cristianamente – un mondo diventato dinamico. E per que­sta costruzione, la scienza più indispensabile viene ad essere la metafisica della realtà storica come chiave della sua azione costruttiva ossia della prassi. Tale metafisica pertanto, sia pure con modalità e in misure diverse, dovrebbe far parte del «sapere professionale» dello stesso «uomo d’azione» tanto più se con responsabilità direttive o di governo.

Si sfata così il pregiudizio ancor troppo corrente (che spesso altro non è se non una anacronistica sopravvivenza «artigianale»), di una possibile, e peggio doverosa azione concreta e fattiva, liberata da ogni remora metafisica, com­presa la metafisica dell’azione che è anzitutto metafisica della realtà storica, anche se, da parte realistico-dinamica e dun­-

 

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que da parte cristiana, essa non è affatto riducibile ad una «filosofia della prassi».

La ragione si è che realisticamente e dunque anche cristianamente, non è possibile la riduzione dell’essere a un puro «divenire attivistico» di qualunque genere sia. Ciò

equivarrebbe al rinnegamento in radice dello stesso Assoluto vero, concretizzantesi nell’Assoluto cristiano. Il quale, come forma dinamica religiosa, rappresenta la sostanza della stessa azione costruttiva realistico-cristiana e dunque di una vera e propria prassi cristiana.

Se pertanto da parte delle metafisiche diveniriste è pos­sibile una «filosofia della prassi» nonché una sua mobilita­zione ideologica ed operativa senza passare attraverso una metafisica dell’essere (compresa quella dell’ente dinamico); ciò rimane per esse del tutto logico, insieme al loro concentra­mento sull’azione e la loro spregiudicatezza di fronte all’agire. Ciò fa parte, purtroppo, della loro liberazione da Dio.

Da parte realistico-cristiana invece, il punto di partenza e di arrivo, nonché il cammino da percorrersi costantemente è quello dell’essere, e non altro.

Ma non sarà un elemento di svantaggio nemmeno dal punto di vista attivistico. Basta che l’essere in questione sia quello dinamico, e non già (o meglio, non solo) quello «sta­tico»; e che la sua «metafisica» sia condotta fino alla sua estrema conclusione, perché sfoci anch’essa in una «filoso­fia della prassi», dalle infinite ed inesauribili possibilità ed applicazioni. Sarà questa la «filosofia della prassi cristiana ‘ fondata sull’Assoluto cristiano e mobilitatrice di tutte le sue risorse, che si riscoprono (anche se di natura diversa) infini­tamente superiori a quelle dell’errore e del male.

A tale scopo, sarà dunque necessario innanzitutto, spin­gere la nostra metafisica dell’essere dinamico ossia della realtà storica, fino alle sue ultime conseguenze, che si rias­sumono precisamente nell’essenza conclusiva della realtà storica stessa, la quale si profila, fin da questo momento come essenza superorganico-dinamica cristiana.

E’ questo il tema del nostro studio che viene affrontato nel terzo ed ultimo volume della nostra trilogia sul realismo dinamico, intitolato appunto «La realtà storica come superor­ganismo dinamico n.

 

 

 

Conclusione

 

La nostra Metafisica della realtà storica ha concentrato la propria attenzione sulla realtà storica come essere. Per un’ottica realista, niente di più ovvio. Ma tale ovvietà, senza la mediazione dell’ente dinamico e più precisamente del­l’EDUC, avrebbe ceduto ancora una volta ad ottiche diverse quali potevano essere l’ottica personalista, storicista, ideali­sta, theilhardiana, o marxista, vanificando la metafisica della realtà storica in una qualsiasi «filosofia della storia».

L’aver superato questo scoglio è forse il merito maggiore (se di meriti si può parlare) del realismo dinamico applicato alla storia intesa come realtà storica.

A nostro modo di vedere, si tratta di un’acquisizione per il sistema filosofico realista tutt’altro che irrilevante. Esso riveste così un senso di maggior completezza, adeguandosi maggiormente all’esigenza del realismo integrale, e ponen­dosi in grado di reggersi su due gambe – le due gambe del realismo «statico», e del realismo a dinamico» -, sì da poter camminare effettivamente.

Un sistema filosofico in tanto conta in quanto è vivo, in quanto cammina non solo come cultura corrente, ma come «sapienza» illuminatrice e operante.

La cultura filosofica muta, tanto più oggi che la filosofia ha subito un processo di dissoluzione nelle «filosofie», giu­stificato col così detto «pluralismo ‘, che manco a dirlo deve essere anche pluralismo filosofico: campo di elezione di una filosofia (e anche di una teologia) come «moda», la quale porta con sè la labilità, l’estrosità petulante e capricciosa, l’inconsistenza, congenite alla moda stessa, che tuttavia si autogiustifica e s’impone attraverso una propria dittatura, semplicemente perché è moda.

Se però a questo stato di cose un’eccezione va fatta questa è l’eccezione della filosofia come «ideologia» (ben distinta dall’ideologia come filosofia), perché l’ideologia come anima della prassi è cosa assai diversa da una moda filo­sofica o culturale, nel senso che è matrice di cultura e di

 

 

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storia, come realtà viva e operante nel contesto storico e parte costitutiva del tessuto storico stesso.

Tanto da dover dire, forse, che oggi la filosofia ricupera la funzione e il suo senso di sapienza teorica e pratica, in quanto cede il posto ad una effettiva ideologia come anima della prassi, sia pure con tutti i rischi che l’accompagnano.

Tali rischi non possono essere ignorati da nessuno, nep­pure da chi non riduce, con una riduzione di tipo manicheo o emblematico, l’ideologia al nazismo o al fascismo, che a farlo apposta, dietro un’indagine ideologica approfondita, risultano al più delle pseudoideologie, ben lontane dall’au­tentica «ideologia come anima della prassi». Tali sono in­vece l’ideologia laicista liberal-capitalista e l’ideologia marxi­sta statal-collettivista ateo-materialista, come anime delle ri­spettive prassi che costruiscono la rispettiva società.

Ora, sia l’una che l’altra, sono ben lontane dal rappre­sentare una effimera moda filosofica, anche se ieri era di moda essere liberal-borghesi e oggi è di moda essere social­comunisti.

Il perché ultimo, anche se non unico, di questa loro dif­ferenza, a parte la verità o falsità della rispettiva «sapien­za», consiste nel fatto che l’ideologia ha ridato alla metafi­sica il suo autentico meccanismo «sapienziale», o più esat­tamente una metafisica ridiventata «sapienziale», ha reso possibile, in combinazione con altri fattori, l’ideologia come anima della prassi.

La metafisica in questione è appunto la metafisica dina­mica della realtà storica, intesa formalmente come metafisica «dinamica» di una realtà storica «dinamica», in un preciso contesto ideologico animatore della prassi.

Posto in questi termini il problema metafisico della realtà storica nel suo connaturale rapporto con l’ideologia come anima della prassi, l’importanza decisiva di una metafisica «realistico-dinamica» della realtà storica risulta evidente di per se stessa, poiché un’ideologia come anima della prassi non è effettivamente modificabile e tanto meno sostituibile con un’altra, senza modificare o sostituire la metafisica dina­mica della realtà storica da cui mutua la sua «sapienza».

Metafisica dinamica della realtà storica a valore realistico-oggettivo, o soggettivo-antirealistico. E’ qui la linea di displuvio che separa le acque dell’ideologia vera e dell’ideo­logia falsa: dell’ideologia cristianamente da accettarsi, o da rifiutarsi, indipendentemente da altri criteri semplicemente etici, assiologici, o anche religiosi.

Ciò che infatti risulta decisivo sul terreno concreto della costruzione storica, è l’essere della realtà storica stessa, che è appunto «essere» dinamico da costruirsi attivisticamente di continuo nello spazio e nel tempo. In altre parole, è il criterio ontologico-dinamico, che si pone come problema ra­dicale in sede di metafisica dinamica della realtà storica, e s’impone attraverso la rispettiva soluzione metafisica dina­mica, sia per la verità che per l’errore, sia per il bene che per il male.

Se un autentico realismo oggettivo e integrale è garanzia di verità, sia in sede di ricerca di metafisica «statica» che in sede di ricerca di metafisica «dinamica ‘, tale garanzia deve anche giocare a favore di una realistica e oggettiva metafisica della realtà storica. Ciò, proprio in ordine a quel criterio ontologico-dinamico di giudizio e di sano impegno operativo, che presiede non solo alla scelta dell’ideologia come anima della prassi, ma a qualsiasi scelta teorico-pratica in campo dinamico. L’importante è garantire l’acquisizione e la disponibilità di tale criterio ontologico-dinamico, tanto per la teoria che per la prassi.

Ora, l’unico modo di garantire detto criterio, è svilup­pare la metafisica della realtà storica quale autentica meta­fisica dinamica della realtà storica come essere, e precisa­mente come essere dinamico, c ente dinamico», a valore ontologico, realistico oggettivo, e non semplicemente etico­personalistico-soggettivo, o assiologico, o teleologico-prassio­logico.

La nostra metafisica della realtà storica è appunto una metafisica realistico-dinamica della realtà storica come es­sere, senza lasciarsi inibire o fuorviare dalla sua sconcertante polivalenza e ricchezza.

Una metafisica realistico-dinamica deve seguire la sua linea, che è sostanzialmente la ricerca dell’essenza del ri­spettivo essere. Questo suo itinerario è sfociato nell’essenza superorganico-dinamica della realtà storica.

 

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Realtà storica come superorganismo dinamico: questa è risultata la sua essenza reale, a valore ontologico-metafisico, al di là della metafora. E’ un punto d’arrivo, però, che apre tali e tanti altri problemi metafisici, da dover affrontare il tema della realtà storica come superorganismo dinamico in sede propria. Ciò viene fatto – sempre a livello di ricerca metafisica – nel terzo volume della trilogia sul realismo dinamico.

 

 

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[1] Interessa anche ed in modo specialissimo lo studio dell’«ideologia come a anima della prassi». Vedi il nostro volume: L’ideologia cristiana.

[2] Il problema viene ripreso in funzione dell’ideologia come anima della prassi nel nostro studio: L’ideologia cristiana. In esso si svi­luppano le esplicitazioni sulle funzioni del Divino (o dell’Antidivino).

[3] Cfr. L’ideologia cristiana.

[4] Il modo con cui ciò avvenga viene illustrato nel volume citato.

[5] L’insieme delle questioni, connesse con l’ideologia, vengono da noi trattate nel volume L’ideologia cristiana.

[6] Ricordiamo il nostro senso tecnico di «prassiologico» e «praxio­logico». Il primo richiama l’azione in senso empirico e personali­stico. Il secondo richiama la prassi, che è propria dell’EDUC.

[7] Per non equivocare, ed inserire nel contesto incongrue prospettive confessionali o clericali, si tenga presente il significato trascenden­tale di «religioso », e metafisico di «realtà religiosa». Ciò è neces­sario specialmente in tema di a socialità», la quale richiama la realtà politico-sociale.

[8] La «missionarietà» come TD, in funzione dell’Assoluto ateo-ma­terialista e dunque del TD sintetico dell’antireligiosità, costruirà un EDUC antireligioso, come realtà storica sostitutiva della religione.

[9] Il rimedio mistico e profetico a tale dicotomia, oltre a non giusti­ficarsi logicamente, alla resa dei conti può risultare più negativo del male. Possono qui inserirsi alcune forme di personalismo esi­stenzialista, che cercano di superare esistenzialmente i limiti me­tafisici e religiosi del personalismo suddetto.

 

[10] La diagnosi attuale è peggiore. Si vuole spiegare la scristianizzazione delle masse come effetto dell’assenza della Chiesa dalla poli­tica e lotta di classe, spingendola a politicizzarsi in modo quanto mai ambiguo e pericoloso.

 

[11] Ovviamente dalle metafisiche dinamiche immanentiste la realtà storica viene interpretata in altro modo e con altra terminologia. Ma è l’interpretazione realistico-dinamica della realtà storica, che può illuminare più a fondo la loro interpretazione. La traduzione e comprensione terminologica ne viene di conseguenza.

 

[12] Basta pensare all’epilogo di tanti n personalismi» politico-sociali cristiani. Il loro sbocco finale è troppo spesso quello marxista, an­che se più o meno confessato. In questo mondo dinamico dominato dalla prassi animata dall’ideologia, in funzione dell’Assoluto e dei TD, è la vertigine insuperabile del personalismo, proprio perché ne è privo, che spinge inavvertitamente verso l’abisso.

 

[13] Diventava allora in qualche modo ipotizzabile, e forse anche rea­lizzabile, la dicotomia tra filosofia e movimento storico che ne era stato originariamente ispirato.

[14] Già abbiamo ripetutamente definito l’ideologia come anima della prassi. E’ superfluo il dire che nel nostro contesto l’ideologia va intesa in tal senso. Cfr. anche il nostro studio: L’ideologia cristiana.

[15] I tre fattori sono l’Assoluto come forma dinamica religiosa (antireligiosa); la fede operativa e costruttiva a partire da esso; e la cultura a suo servizio.

[16] L’ontico e il salvifico si identificano pienamente per le metafisiche dinamiche immanentiste e le prassi animate dall’ideologia che ne deriva, perché per esse non esiste salvezza «spirituale ed eterna». Per la metafisica realistico-dinamica invece, l’ontico e il salvifico non si identificano, per cui il problema si complica non nel senso dell’ambiguità, ma della complessità.

 

[17] E’ per questo che le metafisiche dinamiche lanciano una fede c ideologica N come anima della prassi. Non sono più semplice «interpretazione n del mondo; ma una «mobilitazione» per cam­biarlo. Ricordare la XIII glossa di Marx a Feuerbach.

 

[18] E’ ovvio che la fede religiosa in questione, in riferimento alla realtà storica dinamica profana, si specificherà in «fede ideolo­gica» (sempre intendendo l’ideologia come anima della prassi). Anzi, trattandosi, come oggi accade, di fede antireligiosa, questa non potrà essere che fede ideologica.

 

[19] Essenza metafisica cristiana o anticristiana, della realtà storica. Se la metafisica della realtà storica non arriva a stabilirne il contenuto, che sarà precisamente cristiano o anticristiano, essa si esaurisce in categorie vuote, che non risolvono il problema meta­fisico della realtà storica stessa. Il cristiano o l’anticristiano non si aggiungono alla metafisica della realtà storica come articolazioni in due specie di uno stesso genere; ma come adeguazione di essa al proprio oggetto, in senso positivo o negativo. E’ per questo che le metafisiche dinamiche immanentiste della realtà storica sono «ateologiche ». Al pari., la metafisica realistico-dinamica della real­tà storica dovrà essere «teologica».

[20] Questo terzo EDUC, che chiamiamo materiale e coincide con la realtà storica profana, assumerà un’importanza enorme per l’ideo­logia come anima della prassi, perché appunto viene costruito dalla prassi animata dall’ideologia. Rimandiamo per la questione al volume L’ideologia cristiana.

 

[21] Le comunità «religiose» si reggono sullo «spirito x, che è appunto la loro forma viva, la loro c anima».

 

[22] L’accostamento ha ragion d’essere solo in riferimento al dato di esperienza, di indole estremamente diversa, ma altrettanto vigo­roso, anche se rimasto ignorato in ambo i casi.

 

 

[23] Questa almeno è la dialettica dell’attuale EDUC negativo e anti­cristiano. Che se non è servito ed attuato a perfezione è per una felice incoerenza dei suoi adepti, e per la congenita imperfezione  dell’ente dinamico.